Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31870 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 05/12/2019), n.31870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28195/2018 R.G. proposto da:

P.P., rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Nicolucci, con

domicilio eletto in Roma, Via Marco Marulo n. 87.

– ricorrente-

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in proprio e quale

successore di SCIP S.P.A., in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Daniela Anziano e dall’avv.

Dario Bottura, con domicilio eletto in Roma, alla Via Cesare

Beccaria 29.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1165/2018,

depositata in data 21.2.2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

12.9.2019 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.P. ha adito il Tribunale di Roma, esponendo di aver concluso, con l’Inps, quale rappresentante della SCIP s.p.a., un contratto preliminare di vendita dell’appartamento sito in Roma, alla Via (OMISSIS), per il prezzo di Euro 99.366,04, prevedendo che la stipula del definitivo dovesse avvenire entro i successivi quarantacinque giorni; di aver versato un anticipo di Euro 5000,00, ma di non esser stata mai convocata dinanzi al notaio per il contratto definitivo; che con nota del 23.2.2007, l’istituto resistente le aveva comunicato che, in mancanza di ulteriori richieste, il bene sarebbe stato ceduto al miglior offerente e che, con missiva del 7.8.2007, la P. aveva proposto di acquistare l’immobile al prezzo di Euro 116.901,32, senza ottenere alcun riscontro, neppure a seguito dell’ulteriore sollecito del 9.10.2007.

Ha chiesto di disporre il trasferimento con sentenza costituiva ex art. 2932 c.c..

Si è costituito l’Inps, sostenendo che l’attrice aveva rinunciato all’acquisto con comunicazione del 7.8.2007.

Ha chiesto in via riconvenzionale il risarcimento del danno cagionato dall’impossibilità di porre il bene in vendita alla data del 21.11.2007. Il Tribunale ha respinto entrambe le domande.

La Corte distrettuale di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale dell’Inps volto ad ottenere l’accoglimento della riconvenzionale, ed ha respinto l’appello principale della P., osservando che, con la missiva del 7.8.2007, la ricorrente aveva rinunciato ad avvalersi dell’acquisto in forma collettiva dell’immobile, non essendo in condizione di adempiere al contratto definitivo, e che proprio a causa della dichiarata impossibilità di onorare il preliminare alla scadenza del termine previsto nel contratto, non aveva titolo per ottenere la sentenza costitutiva del trasferimento.

Ha inoltre stabilito che, sebbene l’Inps avesse accettato la successiva proposta di acquisto inoltrata in data 7.8.2007, la promissaria acquirente era rimasta “inerte rispetto all’obbligo assunto di addivenire alla stipula del definitivo”.

La cassazione di questa sentenza è chiesta da P.P. con ricorso strutturato in due motivi, illustrati con memoria.

L’INPS ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 214,215 e 2719 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte d’appello non abbia tenuto conto dell’avvenuto disconoscimento delle sottoscrizioni apposte in calce agli avvisi di ricevimento delle missive inviate dall’INPS in data 10.9.2007 e 17.10.2007 e del fatto che l’istituto resistente non aveva provveduto a depositare gli originali.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

Il ricorso non chiarisce in quale fase la P. abbia disconosciuto la conformità delle copie agli originali degli avvisi di ricevimento delle suddette missive e l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce, ed omette di dar conto della tempestività di dette contestazioni oltre che del relativo contenuto, così come eventualmente formulate negli atti di primo grado.

Non appaiono risolutive le osservazioni formulate dalla ricorrente nella memoria illustrativa, poichè il ricorso, pur sostenendo che la documentazione era stata disconosciuta, non contiene alcuna menzione dell’udienza in cui tale difesa sarebbe stata formulata ed anzi chiarisce che le contestazioni erano state meglio esplicitata in corso di causa (cfr. memoria pag. 3 e ricorso pag. 7), non consentendo in tal modo di individuare, con la dovuta analiticità, se e quali argomentazioni fossero stati spese nel rispetto dell’onere di tempestiva contestazione dei documenti, non potendo valere la mera affermazione che il disconoscimento era stato tempestivo (cfr. memoria, pag. 3).

Inoltre, non risulta dal contenuto dell’impugnazione – e non si evince dalla sentenza impugnata – se la questione sia stata specificamente oggetto dei motivi di appello, posto che le argomentazioni risultanti a pag. 7 del ricorso appaiono meramente illustrative delle questioni dibattute, senza dar conto dell’ammissibilità della censura proposte in questa sede, con riferimento ai profili evidenziati.

Poichè le norme in materia d’onere della prova e di ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori attengono al diritto sostanziale, e quindi la loro violazione dà luogo ad “errores in iudicando” e non “in procedendo”, nel giudizio di cassazione, in cui l’esame diretto degli atti da parte del giudice è ammesso solo per la verifica dello svolgimento del giudizio in conformità al rito, il ricorrente interessato a far valere la descritta violazione ha l’onere di indicare dettagliatamente gli elementi necessari per la valutazione delle censure (cfr., in un caso analogo, Cass. 1247/2000).

Giova inoltre ricordare che l’onere, ex art. 2719 c.c., di disconoscere “espressamente” la copia fotostatica di una scrittura implica che il disconoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una dichiarazione che, in relazione ad uno o più determinati documenti prodotti in copia, contenga una non equivoca negazione della loro conformità all’originale e la precisazione degli aspetti per i quali si assume tale difformità (Cass. 4912/2017; Cass. 16557/2019; Cass. 27633/2018).

Sia il disconoscimento della conformità di una copia all’originale che la contestazione della firma sono inoltre disciplinate dagli artt. 214 e 215 c.c. e quindi sono soggette all’onere di tempestivo disconoscimento. La copia fotostatica non autenticata si ha – difatti -per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga contestata in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. 13425/2014; Cass. 3540/2019; Cass. 4053/2018).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1362 c.c. e ss., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte di appello sia incorsa nell’errore di ritenere che la ricorrente avesse rinunciato all’acquisto immobiliare con la missiva del 7.8.2007, mentre l’unica rinuncia riguardava l’acquisto in forma collettiva e i benefici, in termini di riduzione del prezzo, derivanti da tale modalità di perfezionamento del definitivo.

Il preliminare aveva dunque conservato piena efficacia, essendo stato solo modificato e integrato dagli accordi successivi ed inoltre, con la lettera del 9.11.2007, la ricorrente non aveva affatto manifestato una volontà incompatibile con quella di dar corso al preliminare, essendosi limitata a contestare la ricostruzione dei fatti operata dall’Inps, così come aveva già fatto con la missiva del 25.10.2007.

Il motivo non merita accoglimento.

La ricorrente ha anzitutto omesso di trascrivere il contenuto della missiva del 9.11.2007 e del 25.10.2007, impedendo a questa Corte di valutarne la rilevanza – stante l’impossibilità di procedere all’esame diretto degli atti di causa – ed in ogni caso le censure all’interpretazione degli atti operata in sentenza attengono al merito, senza che, nello specifico, sia evidenziato sotto quale profilo la Corte distrettuale abbia disatteso i criteri legali di ermeneutica, essendo del tutto generico il richiamo agli artt. 1362 c.p.c. e ss..

La sentenza ha – peraltro – ritenuto decisivo che la ricorrente, nel carteggio acquisito al processo, avesse ammesso di non essere in condizione di adempiere il preliminare nei termini e alle condizioni originariamente pattuite (sostenendo che, per tale motivo, non poteva ottenere la sentenza costituiva del trasferimento ai sensi dell’art. 2932 c.c.), ed ha considerato che, per effetto dei contatti intercorsi in prossimità della scadenza del termine di adempimento, le parti avevano ridefinito il contenuto del contratto, senza affatto asserire che fosse venuto l’impegno a trasferire l’immobile, ma dando rilievo decisivo al fatto che la P. era rimasta comunque inerte e non aveva dato corso alla stipula della vendita, nonostante l’intervenuta rinegoziazione delle relative condizioni economiche.

In definitiva la censura, oltre ai profili di inammissibilità già evidenziati, non coglie la ratio decidendi della pronuncia, che riposa non già sull’avvenuto scioglimento consensuale del contratto o sulla rinuncia all’acquisto da parte della ricorrente, ma sull’accertata impossibilità di adempiere il preliminare nel termine concordato e sull’inerzia della promissaria acquirente nel dar corso al trasferimento alle diverse condizioni stabilite dalle parti, questioni oggetto di accertamenti di merito, comunque incensurabili con riferimento al contenuto delle censure proposte in questa sede.

Il ricorso è quindi respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dare atto che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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