Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3187 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. I, 11/02/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16810/2004 proposto da:

COMUNE DI MARSALA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37,

presso l’avvocato FURITANO MARCELLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato PENSABENE LIONTI Salvatore, giusta procura a margine

ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A., G.R.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 468/2004 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato M. FURITANO, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 227/1984 il Tribunale di Marsala condannò il Comune di Marsala al pagamento della somma di L. 55.380.000, oltre agli accessori in favore della signora C.A. a titolo di risarcimento del danno per occupazione acquisitiva di un’area di sua proprietà. La pronuncia fu confermata dalla Corte d’appello di Palermo con la sentenza n. 61/1989, che sul ricorso del comune fa tuttavia cassata da questa corte per non aver tenuto conto, ai fini della qualificazione della natura del suolo illegittimamente occupato, dell’esistenza di un vincolo archeologico, imposto con D.M. Pubblica Istruzione 16 dicembre 1942 (sentenza n. 7530/1994).

La causa fu riassunta dalle eredi dell’attrice, signore A. e G.R.A., e decisa dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza 27 aprile 2004. La corte determinò il danno risarcibile a norma del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 7 bis, introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 6 62. Premesso che le aree oggetto di causa erano state dichiarate di particolare interesse sotto il profilo archeologico con decreto 16 febbraio 1942, confermato con Decreto Presidente Regione Siciliana 8 agosto 1964, la corte ritenne che il vincolo non escludesse l’edificabilità del terreno, argomentando dal piano coraprensoriale n. 1, Decreto Presidente Regione Siciliana 29 novembre 1977, n. 133/A, il quale consente di realizzare insediamenti previo nulla osta della Sovrintendenza alle antichità, sebbene con parametri ridotti di densità fondiaria, altezza massima e distacchi minimi dai cigli stradali. Procedendo con il metodo sintetico, seguito dal consulente, la corte ritenne non condivisibile la stima di quest’ultimo, di L. 15.000 al mq, perchè contrastante con la stima di L. 35.000 al mq, pari al prezzo pagato dallo stesso comune ad una cooperativa per di un’area per la realizzazione di un marciapiede in una delle strade che delimitano la “zona verde” (OMISSIS), comprendente l’area oggetto della causa; e ritenne meno rilevanti altre sentenze della stessa corte con le quali il valore commerciale di terreni compresi nella zona (OMISSIS) in L. 5.400 al mq, perchè in quei casi si era ritenuto, contrariamente a quanto ritenuto nella fattispecie, che gli immobili espropriati non fossero suscettibili di sfruttamento edilizio.

Per la cassazione di questa sentenza, ricorre il comune di Marsala con atto notificato il 7 luglio 20 04, con due mezzi d’impugnazione.

Le intimate non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo si denuncia la violazione del principio di diritto enunciato nella sentenza n. 7630/1994 di cassazione con rinvio, e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e L. n. 865 del 1971, art. 16, nonchè vizi di motivazione. Nella citata sentenza era stato affermato il principio della natura conformativa del vincolo archeologico, ma questo principio non era stato correttamente applicato dal giudice di rinvio, che non aveva tenuto conto della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale sebbene da quel vincolo non discenda in ogni caso e necessariamente un divieto assoluto di edificazione, l’edificazione resta tuttavia radicalmente esclusa quando l’interesse archeologico si correli al luogo stesso nel suo complesso, quale sede di una pluralità di reperti testimonianti uno specifico insediamento, ipotesi che appunto ricorre nella fattispecie.

Il secondo motivo verte su vizi di motivazione della sentenza, nel punto in cui adotta per la stima dell’area, procedendo con il metodo sintetico comparativo, il valore di L. 35.000 al mq in luogo di quella di L. 15.000 indicata dal consulente tecnico. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, vertendo sulla questione della determinazione del valore venale dell’area espropriata, sulla quale vi è un vincolo archeologico.

Il ricorso è fondato. Il giudice del rinvio, pur dichiarando di muovere dalla premessa – alla quale era vincolato dal principio di diritto enunciato da questa corte nella precedente sentenza di cassazione con rinvio – dell’esistenza di un vincolo archeologico di natura conformativa, ha poi erroneamente disconosciuto la natura di area inedificabile, argomentando da un piano comprensoriale che, in questa materia è del tutto ininfluente.

Conviene muovere dal principio, ripetutamente affermato da questa corte, che il vincolo previsto dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 11, non è assimilabile ai vincoli c.d. espropriativi o di inedificabilità relativi a beni singoli. A differenza di questi ultimi, esso s’iscrive tra le limitazioni legali della proprietà ed ha., quindi, natura conformativa, rientrando nell’area di riserva (relativa) di legge stabilita dall’art. 42 Cost., comma 2, garantire, mediante interventi diretti o attributivi di analoghi poteri all’autorità amministrativa, l’aderenza della proprietà privata alla funzione sociale, che concorre alla sua strutturazione e ne fonda la copertura costituzionale. Pertanto, mentre i vincoli espropriativi o di inedificabilità non influiscono riduttivamente sulla determinazione dell’indennità di espropriazione o del danno per appropriazione illegittima, le limitazioni legali, concorrendo alla configurazione giuridica della proprietà e non comportando, perciò, obbligo di indennizzo, incidono negativamente sul valore di mercato dei beni coinvolti e, quindi, sul calcolo dell’indennità o del danno (Cass. 29 dicembre 1988 n. 7091; 3 settembre 1994 n. 7630;

22 agosto 2006 n. 18219; 17 aprile 2008 n. 10102).

Questa corte, inoltre, ha ripetutamente affermato – ed è a queste pronunce che è stato fatto un riferimento non pertinente dal giudice di rinvio – che il divieto di edificazione previsto dalla citata L. n. 1089 del 1939, art. 11, non ha valore assoluto, non potendosi teoricamente escludere un’attività edificatoria che non snaturi nè pregiudichi la conservazione ed integrità dei reperti archeologici;

con la precisazione, peraltro, che in concreto il vincolo si configura come assoluto quando l’interesse archeologico non rimanga circoscritto ad alcuni resti presenti nell’area, ma si correli al luogo nel suo complesso, quale sede di una pluralità di reperti testimonianti uno specifico assetto storico di insediamento (Cass. 21 maggio 1998 n. 5060; 23 settembre 2005 n. 18681; 17 aprile 2008 n. 10102). Che nella fattispecie si tratti proprio di un simile vincolo esteso al luogo nel suo complesso è quanto deduce il comune ricorrente.

Occorre tuttavia ribadire innanzi tutto che la stessa valutazione dell’estensione del vincolo, e della sua incidenza sui progetti di utilizzazione dell’area sono rimesse alla valutazione della competente autorità amministrativa. Lo scopo della norma sopra ricordato, che è quello di garantire, mediante interventi attributivi di poteri all’autorità amministrativa alla quale la funzione è specificamente demandata, l’aderenza della proprietà privata alla funzione sociale, nella specie di preservazione del patrimonio archeologico, sarebbe completamente frustrato qualora le valutazioni riservate alla competente amministrazione potessero essere ignorate dalle altre amministrazioni deputate al governo del territorio. La previsione in un piano comprensoriale della regione, includente aree sottoposte al vincolo archeologico, della realizzazione di insediamenti previo nulla osta della Sovrintendenza alle antichità, con parametri di edificabilità ridotta, mentre detta regole generali riguardanti l’urbanizzazione del comprensorio, anche con riguardo all’area protetta, non può che far salvo il potere riservato all’autorità competente alla tutela del vincolo, che si estende evidentemente anche alle valutazioni di cui s’è detto. Quella previsione non può pertanto essere interpretata, in contrasto con la natura del provvedimento in cui è contenuta e con la competenza dell’amministrazione dalla quale emana, come tale da rendere edificabile, seppur in misura ridotta, l’area vincolata; ed è proprio questo l’errore in cui è incorsa la corte territoriale.

La salvezza delle valutazioni riservate alle sovrintendenze, infatti, comporta necessariamente che, fin quando quelle amministrazioni non si siano pronunciate – ciò che può avvenire solo con riguardo a progetti specifici che siano sottoposti dagli interessati alla sua approvazione a norma dell’art. 18 della legge n. 1089 del 1939 (oggi D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 23) – l’area debba ritenersi assolutamente inedificabile, anche ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione.

Sebbene, dunque, il vincolo in questione non implichi necessariamente un divieto assoluto di edificazione, il fatto che la possibilità di edificare sia in ogni caso soggetta all’autorizzazione della competente sovrintendenza fa sì che un’area sottoposta a vincolo archeologico in tanto può essere ritenuta legalmente edificabile, entro limiti compatibili con il vincolo medesimo, anche ai fini della determinazione dell’indennità dì espropriazione, in quanto sulla compatibilità del progetto con la conformazione vincolata dell’area si sìa già pronunciata favorevolmente la competente autorità; e che qualora sìm dia una tale evenienza l’edificabilità legale può essere riconosciuta solo nei limiti del progetto approvato.

Quanto poi alla censura circa la motivazione della stima del valore venale, è un corollario del principio appena enunciato che in questi casi, nella determinazione del valore venale dell’area, il necessario collegamento con il progetto approvato renda il più delle volte impraticabile il metodo cosiddetto sintetico comparativo, che è stato utilizzato nel giudizio di merito.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, e la causa deve essere rinviata, anche ai fini delle spese del presente giudizio di legittimità, alla medesima corte territoriale, in altra composizione, per un nuovo esame nel quale, tenuto conto del materiale probatorio già raccolto nel precedente giudizio di merito, si atterrà al seguente principio di diritto:

Ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione di un’area sottoposta a vincolo archeologico, le possibilità legali di edificazione sussistono solo sul presupposto che la competente sovrintendenza abbia approvato un progetto, e nei limiti del progetto approvato, dovendo altrimenti l’area medesima ritenersi assolutamente inedificabile, con la conseguente necessità di determinare l’indennità a norma della L. n. 865 del 1985, art. 16.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla corte d’appello di Palermo in altra composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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