Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3186 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. I, 11/02/2010, (ud. 04/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.F.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Bazzoni 1, presso l’avv. ZUCCONI GALLI FONSECA Corrado, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via Germanico

197, presso l’avv. NAPOLEONI M. Cristina, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3313/06 del

12.7.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

4.12.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Zucconi Galli Fonseca per R. e Napoleoni per

B.;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21.10.2003 il Tribunale di Roma, pronunciando sulla domanda proposta da R.F.M. nei confronti della moglie B.P., dichiarava la separazione personale tra i coniugi con affidamento alla madre della figlia minore S. (nata nel (OMISSIS)), assegnazione della casa coniugale di proprietà della moglie a quest’ultima, obbligo per il ricorrente di corresponsione di un assegno mensile di Euro 1.300,00 per il mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese scolastiche e mediche.

La decisione, impugnata dal R. che lamentava l’eccessiva quantificazione del contributo posto a suo carico, veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, che rilevava come la situazione economica dell’appellante (libero professionista con incarico di docenza presso l’Università di (OMISSIS)) fosse di gran lunga superiore a quella della moglie (insegnante di scuola media), come l’acquisto di un immobile a (OMISSIS) con accollo di mutuo il cui piano di ammortamento prevedeva il pagamento di consistente rata mensile (Euro 1.294,00) costituisse ulteriore riprova delle capacità reddituali del R., come infine il contributo assegnato dal giudice di primo grado per il mantenimento della figlia risultasse congrue.

Avverso la sentenza R. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva la B. con controricorso.

Entrambe le parti depositavano infine memoria.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 4.12.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione R. ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 155 c.c., e vizio di motivazione, con riferimento all’omessa considerazione della diminuzione di reddito subita a partire dal 2002 ed accentuatasi ulteriormente dal 2004;

all’errata attribuzione di una potenziale capacità di incremento reddituale all’incarico universitario, dovendo il relativo fatturato risultare dalla denuncia dei redditi; al mancato ricorso alla polizia tributaria per le informazioni di carattere economico fornite dalle parti, ove non sufficientemente documentate.

2) vizio di motivazione e violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 155 c.c., u.c., per il fatto che il reddito elevato di esso ricorrente era stato affermato “in considerazione della notoria redditività dell’attività libero professionale di ingegnere”, con una presunzione quindi non calibrata sul caso concreto ma a torto riferita ad una intera categoria. Per di più l’art. 155 c.c., precluderebbe la legittimità del ricorso a presunzioni nel caso di insufficiente documentazione delle informazioni di carattere economico fornite dalle parti, dovendo le eventuali lacune essere colmate dagli accertamenti della polizia tributaria.

3) vizio di motivazione e violazione dell’art. 155 c.c., u.c., per la rilevanza a torto attribuita all’acquisto di immobile: con accollo di mutuo e per l’errata comparazione tra la capacità economica della B. e quella di esso ricorrente.

Sul primo punto, infatti, la rata media sarebbe stata di Euro 860,00 (solo la prima sarebbe stata di Euro 1.294,02), il canone di locazione mensile della casa di abitazione sarebbe stato di Euro 930,00 l’immobile acquistato era in (OMISSIS), ove i prezzi sarebbero stati inferiori a quelli romani, e l’erogazione del prezzo non avrebbe previsto l’esborso di alcuna somma capitale.

Sul secondo, la Corte avrebbe poi omesso di considerare che la B. è proprietaria di appartamento e che, detratta la somma dovuta da esso ricorrente prima per canone di locazione quindi per il pagamento della rata di mutuo, alla luce delle risultanze delle denunzie dei redditi sarebbe residuata una somma pari a Euro 1.643,00 mensili, che non avrebbe consentito in alcun modo la corresponsione di Euro 1.300,00 mensili per il mantenimento della figlia.

Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., in particolare per quanto riguarda il vizio di motivazione, il R. ha sempre omesso, in ciascuno dei tre motivi, la rappresentazione del pur prescritto momento di sintesi del fatto controverso, sicchè l’inosservanza del dettato normativo risulta di assoluta ed incontestabile evidenza.

Ad analoghe conclusioni deve però pervenirsi anche per quanto concerne i denunciati vizi di violazione di legge, rispetto ai quali i quesiti sono stati per vero redatti, ma con una formulazione che li rende non conferenti alla decisione, e che determina conseguentemente l’inammissibilità dei relativi motivi (C. 08/11650, C. 07/14385).

In proposito occorre precisare che il R. con il quesito del primo motivo ha chiesto di conoscere se in materia di assegno di mantenimento per i figli la riduzione dei redditi di lavoro dell’obbligato non imponga una nuova valutazione e se, ove le informazioni non tranquillizzino, non debbano essere disposti accertamenti tramite la polizia tributaria; con il quesito del secondo motivo ha analogamente chiesto di conoscere se nella medesima materia sia consentita l’adozione del parametro avente ad oggetto il reddito medio di una categoria professionale, se a tal fine la decisione possa essere basata sul fatto notorio, se, ove le informazioni non tranquillizzino, non debba farsi ricorso agli accertamenti della polizia tributaria; con il quesito del terzo motivo ha infine chiesto di conoscere se nella medesima materia non si imponga una valutazione comparativa tra le situazioni di entrambi i coniugi, prendendo in considerazione gli elementi utili per calcolarne la disponibilità.

Peraltro questa Corte, con riferimento alle modalità contenutistiche del quesito di diritto, ha costantemente e reiteratamente affermato che il ricorrente deve procedere all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato, e perciò tale da comportare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice “a quo” (C. 08/28280, C. 08/16569, C. 08/11535, C. 08/3519, C. 07/14682), circostanza questa che rende inammissibile un motivo che si concluda con l’esposizione di un quesito che si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione denunciata nel motivo.

Inoltre occorre uno specifico collegamento del quesito alla fattispecie oggetto di esame, collegamento che richiede che sia debitamente evidenziato il principio di diritto differente da quello affermato nel provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione dovrebbe indurre alla diversa decisione (C. 08/28536, C. 08/11535, C. 08/11210, C. 08/6420).

Il rispetto di tali requisiti non è peraltro riscontrabile nei quesiti oggetto di esame, che si esauriscono al contrario in enunciazioni di carattere generale ed astratto, che in quanto tali non consentirebbero comunque di definire la causa nel senso voluto dal ricorrente.

Da ciò dunque consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile.

Il ricorrente, soccombente, va infine condannato al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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