Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31857 del 10/12/2018

Cassazione civile sez. II, 10/12/2018, (ud. 27/04/2018, dep. 10/12/2018), n.31857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30202/2014 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 61,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CLAUDIO MICHELON;

– ricorrente –

contro

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI

29, presso lo studio dell’avvocato GIANPIERO ZUCCALA’, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRAZIA DE NICOLAO;

F.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO GUIDUCCI;

– controricorrenti –

e contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2753/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2018 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

F.L. citava in giudizio innanzi al Tribunale di Padova le sorelle F.A., F.F. e B.A., figlio della premorta sorella Gianna, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria in relazione all’asse relitto di F.G., deceduto ab intestato in data (OMISSIS); con il medesimo atto introduttivo, l’attore svolgeva domanda di rendiconto nei confronti di F.A. in relazione alla gestione dei terreni da lei amministrati dopo la morte del comune genitore.

Si costituivano F.F. e F.A., aderendo alla domanda di divisione e contestando quella di rendiconto, mente rimaneva contumace B.A..

Il Tribunale di Padova, con sentenza parziale N.1357/2003 e con sentenza non definitiva N. 1200/2007, dichiarava lo scioglimento della comunione e condannava F.A. al pagamento in favore delle parti della somma di Euro 20.235,16 in favore di ciascun convenuto oltre interessi dall’1.1.2005 al saldo, rimettendo la causa in istruttoria per procedere alla discussione del progetto di divisione.

La Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 22.20-14.11.2013 rigettava l’appello proposto da F.A..

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso F.A. sulla base di cinque motivi, cui resistono con separati controricorsi F.F. e F.L.; B.A. è rimasto intimato.

In prossimità dell’udienza F.F., F.A. e F.L. hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Con il primo motivo di ricorso, F.A., allegando la violazione degli artt. 100,112 e 167 c.p.c., deduce che la condanna nei confronti di F.F. e B.A. sarebbe stata pronunciata ultra petita, in quanto i medesimi non avevano proposto domanda di rendiconto. In particolare, B.A. era rimasto contumace e F.F. si era tardivamente costituita, quando erano maturate le preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c., per proporre domanda riconvenzionale. Il vizio di ultrapetizione avrebbe riguardato, inoltre, la condanna alla corresponsione di interessi anatocistici, che non erano stati richiesti con la domanda introduttiva.

Il motivo è fondato.

E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che sussista autonomia tra il procedimento di divisione e l’azione di rendiconto. Nell’ambito dei rapporti tra coeredi la resa dei conti può essere inserita nel procedimento divisorio, ai sensi dell’art. 723 c.c., con la finalità di definire i rapporti interni inerenti la comunione ma può svolgersi anche indipendentemente dal giudizio di divisione. Si tratta, in questo caso, di un obbligo a sè stante, fondato sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti (Cassazione civile, sez. 2^, 30/12/2011, n. 30552; Cassazione civile, sez. 2^, 31/01/2014, n. 2148; Cass. 13 novembre 1984 n. 5720).

Poichè l’azione di rendiconto non può pregiudicare gli interessi dei coeredi non sono ravvisabili gli estremi del litisconsorzio necessario. (Cassazione civile, sez. 3^, 14/10/2011, n. 21288).

Ha, infatti, affermato questa Corte che, nel caso in cui taluni degli eredi agiscano con azione di rendimento nei confronti dei coeredi immessisi nel possesso e nel godimento esclusivo di un bene ereditario fruttifero, per ripetere, nei limiti della quota di loro spettanza, i frutti da costoro percepiti in costanza del rapporto di comunione ereditaria, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri (eventuali) coeredi non possessori, in quanto ad essi nessun concreto pregiudizio potrebbe derivare dalla decisione richiesta. (Cassazione civile, sez. 2^, 25/02/1995, n. 2162).

Il rendiconto consiste nella formazione di uno stato attivo e passivo dell’eredità munito dei documenti giustificativi (art. 263 c.p.c., comma 1); la relativa domanda comporta, a livello processuale, che se il conto è approvato il giudice emette un’ordinanza di pagamento delle somme che costituisce titolo esecutivo (art. 263 cpv. c.c.), e che in ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile, il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso (art. 264 c.p.c., comma 3). Dall’insieme di tali disposizioni risulta di tutta evidenza che la domanda di rendiconto reca ineludibilmente in sè anche quella di condanna al pagamento delle somme che risulteranno dovute, essendo il rendiconto finalizzato proprio all’emissione di titoli di pagamento.

Non viola, pertanto, l’art. 112 c.p.c., il giudice che pronunci condanna alla corresponsione di tali somme anche senza un’espressa domanda al riguardo (Cass. Civ. Sez. 2^ 31.1.2014 n.2148).

L’obbligo di uno dei coeredi, nell’ambito del rendiconto con gli altri coeredi (art. 724 c.c., comma 2), di restituire in tutto o in parte i frutti civili prodotti da un bene in comunione, integra “ab origine” un debito di valuta (Cassazione civile, sez. 2^, 17/12/1991, n. 13595).

La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra affermati.

Nella specie, F.L. aveva proposto, insieme alla domanda di divisione, domanda di rendimento dei conti unicamente nei confronti di F.A. e non delle altre parti, sicchè la condanna andava pronunciata unicamente nei suoi confronti. F.F., costituendosi tardivamente, non aveva proposto – e non era in termini per proporre- domanda riconvenzionale di rendiconto, mentre B.A. era rimasto contumace.

Ne consegue che è errata la pronuncia del giudice d’appello di condanna di F.A. al pagamento nei confronti di F.F. e B.A., perchè emessa ultra petita, non avendo i medesimi proposto domanda di rendiconto nei suoi confronti.

La decisione è stata pronunciata anche in violazione dell’art. 167 c.p.c., in quanto F.F. si era costituita tardivamente, quando erano già maturate le preclusioni per proporre domanda riconvenzionale.

La sentenza è viziata da ultrapetizione anche per aver riconosciuto gli interessi anatocistici in assenza di specifica domanda.

La natura del vizio dedotto, avente carattere processuale, consente l’esame del fascicolo, considerata la specificità del motivo, articolato attraverso la trascrizione degli atti su cui il ricorso si fonda, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Nella specie, nonostante l’attore non abbia formulato specifica domanda, la corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto in favore delle parti gli interessi anatocistici.

La corte territoriale, dopo aver calcolato il reddito netto e detratti i costi ha aggiunto gli interessi; la somma finale è stata ripartita tra gli eredi e sull’importo ricavato sono stati nuovamente aggiunti gli interessi in assenza di espressa domanda di interessi anatocistici.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invece, gli interessi anatocistici possono essere corrisposti solo in presenza di specifica domanda, essendo generica la richiesta di “ulteriori interessi”. (Cassazione civile, sez. 1^, 12/11/2014, n. 24160).

Con il secondo motivo di ricorso si allega la violazione, dell’art.1243 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e la nullità della sentenza per contrasto tra dispositivo e motivazione. Deduce la ricorrente che la corte territoriale avrebbe omesso di compensare le somme dovute ai coeredi con le spese da lei sostenute per la gestione dei terreni, nonostante in motivazione fosse stato accertato il suo credito; il giudice d’appello, confermando il ragionamento del primo giudice, aveva, infatti, rilevato che l’eccezione di compensazione, non ritualmente proposta, avrebbe potuto essere sollevata in futuro.

Il motivo è fondato.

La Corte ha disposto la condanna di F.A. al pagamento in favore di ciascuno dei coeredi dell’importo di Euro 20.236,16, accertando contestualmente che la predetta aveva sostenuto spese per la conservazione delle cose comuni pari ad Euro 13.875,25, senza però che tra gli importi dovuti e quelli sostenuti venisse disposta compensazione alcuna. Ha ritenuto “pur riconoscendo che F.A. aveva sostenuto spese per Euro 13.873,25, che nulla ostava ad una futura compensazione con quanto sarebbe tenuta a pagare” (pag.10 della sentenza impugnata), sicchè, confermando il ragionamento del giudice di prime cure, ha mantenuto ferma la condanna di una parte verso l’altra e viceversa.

In tal modo la corte territoriale non ha tenuto conto che l’azione di rendiconto è finalizzata a ristabilire il saldo tra operazione attive e passive, attraverso il meccanismo della compensazione che, attesa la peculiarità dell’azione, ha natura meramente contabile, in ciò differendo dalla compensazione prevista dall’art. 1243 c.c., la quale presuppone l’autonomia dei rapporti ai quali i debiti delle parti si riferiscono.

Come è stato affermato da questa Corte con orientamento al quale si intende dare continuità, le norme che regolano la compensazione, ivi compresa quella concernente il divieto di rilevarla di ufficio, riguardano la ipotesi della compensazione in senso tecnico, la quale postula l’autonomia dei contrapposti rapporti di credito, ma non si applicano allorchè i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto ovvero da rapporti accessori. La giurisprudenza sulla c.d. “compensazione impropria”, formatasi in ambito lavoristico, si riferisce alle ipotesi in cui le reciproche ragioni creditorie abbiano origine da un unico rapporto di lavoro; in tal caso, è stato affermato il principio secondo cui il giudice deve procedere esclusivamente all’accertamento contabile delle rispettive poste di dare ed avere, anche se le ragioni stesse non siano state dal convenuto dedotte conia memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c., atteso che esse non attengono ad autonome pretese traducibili in domande riconvenzionali nè ad eccezioni in senso proprio, bensì ad argomentazioni difensive che ben possono essere illustrate nel momento in cui nel processo concretamente si pone il problema della determinazione del quantum (Cassazione civile, sez. lav., 30/05/1983, n. 3732; Cassazione civile, sez. lav., 01/09/1982, n. 4765).

La compensazione impropria ha trovato applicazione generale in ogni caso in cui i contrapposti crediti e debiti delle parti abbiano origine da un unico rapporto e la valutazione delle reciproche pretese comporti soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale (Cassazione civile, sez. 1^, 04(05/2018, n. 10798; Cassazione civile, sez. 2^, 10/11/2011, n. 3539).

La medesima ratio informa anche l’azione di rendiconto, in quanto le ragioni di debito e credito nascono dallo stesso rapporto, la gestione ed il godimento dei beni in comunione, e la formazione dello stato attivo e passivo ha come scopo quello di determinare il saldo.

Conseguentemente non assume rilievo la circostanza che l’eccezione di compensazione non sia stata eccepita in primo grado, dovendo il giudice, sulla base della documentazione ritualmente proposta dalle parti, determinare il saldo considerando le poste attive e passive.

E’, quindi, erronea l’affermazione secondo cui la compensazione avrebbe potuto essere sollevata in futuro, mantenendo ferma la condanna di una parte verso l’altra e viceversa, poichè, in tale ipotesi, una volta formatosi il giudicato, benchè erroneo, non sarebbe più possibile dedurre alcuna opposizione nè in sede di opposizione all’esecuzione nè in altra sede.

Con il terzo motivo di ricorso si allega la violazione dell’art. 263 c.p.c. e seg., degli artt. 163,183 e 184 c.p.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la corte territoriale esaminato la domanda di rendiconto non fino all’anno 1999, come richiesto da F.L., ma fino al 2004; il ricorrente si duole, anche, dell’omessa motivazione in ordine alla nomina del CTU per l’accertamento delle poste attive e passive.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della CTU per violazione dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il CTU sconfinato oltre i limiti del mandato, estendendo gli accertamenti fino al 2004, mentre la domanda introduttiva di rendiconto avrebbe dovuto arrestarsi al 1999.

I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.

Va preliminarmente evidenziato che non merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità per l’esistenza di una “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in quanto il giudizio d’appello è stato introdotto in data antecedente all’11.9.2012.

Il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito nella L. n. 134 del 2012, prevede l’applicabilità della normativa ai giudizi introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11.9.2012.

E’ pacifico che il condividente abbia diritto al rendiconto fino alla divisione ed all’assegnazione o comunque fino al permanere della situazione che ha dato origine al rendiconto (Cass. Civ. 10.2.2004 n.2483).

Del resto F.L., nell’atto di citazione, ha chiesto il rendimento dei conti “ad oggi”, senza fare riferimento ad un anno specifico, ed ha reiterato tale richiesta sia nelle memorie di cui all’art. 183 c.p., che all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Quanto al procedimento seguito, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice possa avvalersi delle modalità più opportune per l’elaborazione dei rapporti di dare/avere tra coeredi, sicchè non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 263 c.p.c., (Cassazione civile, sez. 1^, 03/11/2004, n. 21090.

Il rendiconto, ancorchè per il disposto dell’art. 723 c.p.c., costituisca operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della porzione spettante a ciascun condividente, non si pone tuttavia in rapporto di pregiudizialità con la proposizione della domanda di divisione giudiziale poichè ben può essere richiesta la divisione giudiziale ex art. 1111 c.c., a prescindere dal rendiconto, a tanto potendosi e dovendosi provvedere nel corso del giudizio di divisione, sia nelle forme di cui all’art. 263 c.p.c. e ss., sia mediante indagini e prove di tipo diverso, come la consulenza tecnica (Cassazione civile, sez. 2^, 19/07/1993, n. 8040).

Per quanto riguarda la nullità della CTU, che avrebbe sconfinato i limiti del mandato, come rilevato dalla corte territoriale, trattasi di vizio del procedimento che doveva essere rilevato nella prima difesa utile e non in comparsa conclusionale. Premesso che non possono essere censurate con il ricorso per cassazione violazioni di norme costituzionali, l’eventuale vizio del procedimento di cui all’art. 195 c.p.c., doveva essere dedotto nella prima difesa utile, trattandosi di un’ipotesi di nullità relativa (Cassazione civile, sez. 6^, 09/10/2017, n. 23493; Cass. Civ., sez. 02, del 24/01/2013, n. 1744).

Non è, infine, ravvisabile il vizio di motivazione in relazione all’applicazione di una norma processuale, essendo l’art. 360, n. 5, volto a censurare l’omessa motivazione su un fatto storico oggetto di discussione tra le parti.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione alla mancata ammissione dei documenti prodotti in appello, relativi ad alcune poste contabili; nell’ambito dello stesso motivo, si censura il vizio di motivazione in relazione alle risultanze della CTU.

Il motivo non è fondato.

La corte territoriale ha correttamente ritenuto che trattasi di prove nuove, inammissibili in appello, di cui non viene dedotta l’indispensabilità, come interpretata da questa Corte, ovvero di una prova idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato (Cassazione civile, sez. un., 04/05/2017 n. 10790).

Quanto alle contestazioni mosse alla CTU, il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito; ne consegue che il vizio di motivazione, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, o quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).

Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 8355 del 03/04/2007) Nella specie, il ricorrente, riportando stralci della CTU, i rilievi del CTP e la contestazione alle conclusioni adottate, tende ad una riesame della consulenza, laddove la corte territoriale ha ampiamente motivato sugli aspetti che avevano investito il motivo d’appello (pag. 12-14 della sentenza), spiegando il motivo per il quale non aveva contabilizzato alcune poste e dando conto dei criteri utilizzati.

Vanno, pertanto, accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, previa cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, la causa va decisa nel merito.

Deve essere esclusa la condanna di F.A. al rendimento del conto in favore di B.A. e F.F.; va compensato l’importo di Euro 20.236,16 dovuto da F.A. a F.L. con le somme da questi dovute alla predetta pari ad Euro 13.875,25 e, per l’effetto, F.A. va condannata al pagamento della somma di Euro 6.360,91 oltre interessi dalla domanda al soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici.

Considerato il parziale accoglimento del ricorso, le spese di lite dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità vanno interamente compensate.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e, decidendo nel merito, esclude la condanna di F.A. in favore di B.A. e F.F.; condanna F.A. al pagamento in favore di F.L. della somma di Euro 6.360,91 oltre interesse dalla domanda al soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del giudizio di merito e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 27 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018

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