Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31853 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. II, 05/12/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 05/12/2019), n.31853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6628/2016 proposto da:

M.A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIACOMO

BONI 15, presso lo studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI LENTINI;

– ricorrente –

contro

CORPO REGIONALE MINIERE REGIONE SICILIANA DISTRETTO MINERARIO

PALERMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 149/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Marsala rigettò l’opposizione proposta da M.A.P. avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal Capo del Distretto Minerario di Palermo, con la quale alla predetta era stata applicata la sanzione pecuniaria di Euro 20.738,00, oltre alla sanzione amministrativa accessoria dell’esclusione per il periodo di dieci anni dal diritto al rilascio e alla titolarità del provvedimento autorizzativo all’esercizio di cave nel territorio regionale, per avere la medesima svolto attività estrattiva senza la dovuta autorizzazione (in area diversa da quella autorizzata);

– la Corte d’appello di Palermo rigettò l’appello della M., escludendo, per quel che qui rileva, l’incolpevolezza della sanzionata e affermando pienamente provato il fatto;

ritenuto che M.A.P. ricorre sulla base di due motivi e che l’Amministrazione è rimasta intimata;

ritenuto che con i due motivi, tra loro osmotici, la M. denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 3 e art. 23, u.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo, in sintesi, che:

– la Corte panormita non aveva scrutinato il motivo d’appello con il quale si era dedotta l’insufficienza di prove a carico dell’incolpata, prove che non potevano consistere nelle relazioni del Corpo delle Miniere e della Guardia di Finanza, avendo la ricorrente, giunta sul posto nell’immediatezza, proclamato la propria incolpevolezza, essendosi trattato dell’errore di un operarlo, il quale aveva sconfinato nei lavori di scavo nella proprietà adiacente;

– non era stata fornita la prova della colpevole commissione del fatto;

considerato che entrambe le censure, unitariamente vagliate, appaiono manifestamente destituite di giuridico fondamento, proponendo, in sostanza, una rilettura, peraltro arditamente congetturale, dei fatti, sui quali il Giudice d’appello ha ampiamente e partitamente motivato;

che, per vero, la Corte di Palermo ha preso in esame la censura, con la quale l’appellante aveva prospettato la propria incolpevolezza (cfr. le pagg. da 4 a 7 della sentenza), e il dedotto corollario di denunziate violazioni di legge è privo di pregio e sul punto è bastevole chiarire che:

a) il ricorso invoca un improprio accertamento di merito da parte di questa Corte sulla base, peraltro, di una tesi congetturale, che contrasta con l’accertamento fattuale e le univoche deduzioni che ne ha tratto il Giudice del merito;

b) nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, l’insieme delle doglianze investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’improprio riferimento all’evocazione dell’art. 116, c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299);

c) la dedotta violazione dell’art. 2697, c.c., è chiaramente infondata, non rinvenendosi qui alcuna illegittima inversione del carico probatorio (la Corte d’appello ha spiegato, sulla base delle emergenze di causa, la inverosimiglianza della discolpa della M., la quale, in contrasto con l’accertata situazione dei luoghi e con la presenza dell’attrezzatura utilizzata per lo scavo, si è difesa assumendo che la coltivazione abusiva della cava di 14.400 mq., della forma di un rettangolo di 90 x 160 m. e con una profondità di scavo già effettuato di 20 m., era da addebitarsi a un’iniziativa estemporanea di un dipendente);

d) la denunzia di violazioni di legge in genere non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente;

considerato che nulla va disposto per il capo delle spese, non avendo l’intimata Amministrazione svolto in questa sede difese;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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