Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31848 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 05/12/2019), n.31848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26604-2018 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO

IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato GUIDO POLLINO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO BUCOLO;

– ricorrente –

contro

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIOVANNA ELISABETTA SARACENI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1670/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2019 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

R.L. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Milano, di rigetto dell’appello da lei proposto contro la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta rigettato la propria domanda contro la sorella R.S., intesa a fare accertare, in relazione a una divisione consensuale inter partes di una cascina, la persistente proprietà comune del sedime di corte lato sud del fabbricato e del relativo portone/androne carraio.

La corte d’appello ha riconosciuto che era rimasta in comune fra le condividenti una diversa porzione, rientrando invece l’androne lato sud per intero nelle assegnazioni in proprietà esclusiva a R.S..

Per la cassazione della sentenza R.L. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che la corte milanese, invece di indagare la volontà delle parti, ha riconosciuto a priori la prevalenza dato catastale. Si sostiene che, in conseguenza di tale errore nell’approccio interpretativo al contratto di divisione, la corte ha svalutato il significato della planimetria allegata al contratto stesso, nonostante le parti avessero espressamente riconosciuto a tale planimetria la funzione di individuare e meglio individuare le porzioni oggetto di proprietà esclusiva.

R.S. ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso fosse manifestamente infondato, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

La ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso è infondato.

Nella sentenza impugnata, infatti, non si ravvisa alcuna affermazione di principio circa la prevalenza del dato catastale rispetto al contenuto descrittivo del titolo (Cass. n. 3996/2017; n. 9896/2010).

La corte di merito è invero partita dalla considerazione che la porzione rivendicata dall’attrice era identificata da una particella catastale compresa nella assegnazione divisoria fatta alla controparte.

Essa ha poi preso in esame una ulteriore previsione del titolo in cui era definito comune il portone, traendone da ciò la conseguenza che tale espresso riconoscimento, in quanto riferito al portone, escludeva che le parti avessero inteso conservare la proprietà comune anche del portico e relativo sedime lato sud.

Ha poi riconosciuto che la planimetria allegata al contratto avesse valore indicativo, ritenendo che la “vera” planimetria catastale fosse quella prodotto dall’appellata.

L’espressione “vera planimetria” usata dalla corte di merito, su cui la ricorrente insiste, non va tuttavia sopravvalutata. La valutazione di prevalenza non è riconosciuta in via di principio in base al rilievo che la planimetria allegata al contratto non aveva valore catastale e l’altra invece si, ma, appunto, all’esito di una valutazione che ha preso l’avvio dall’analisi delle previsioni del contratto. Del resto, nel riconoscere la prevalenza della diversa planimetria catastale, la corte ha aggiunto che essa era conforme all’atto divisionale ed era stata richiamata nella nota di trascrizione del titolo.

Così identificato il contenuto essenziale della decisione, emerge con chiarezza che la censura mossa dalla ricorrente non attiene alla violazione di regole ermeneutiche, ma ha per oggetto il risultato interpretativo per sè stesso, in base a una diversa lettura degli stessi elementi considerati dal giudice di merito: ciò in cassazione non è consentito.

“In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati” (Cass. n. 2465/2016; n. 10891/2016).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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