Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31844 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 05/12/2019), n.31844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25809-2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA STIMIGLIANO

N. 5, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CONTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.F.I., G.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO 440, presso lo studio

dell’avvocato ISABELLA TASSONI, che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6198/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.F.I. e C.A., deducendo di avere acquistato da P.C. l’appartamento compreso nel Condominio di via delle Rondini 128, citavano il venditore davanti al giudice di pace di Roma, pretendendo dal convenuto il rimborso di quanto pagato per debiti condominiali pregressi, relativi a lavori approvati prima della vendita.

Il giudice di pace accoglieva la domanda e contro la sentenza il Panariello Giro proponeva appello davanti al Tribunale di Roma, che dichiarava inammissibile l’impugnazione, rilevando che la stessa si esauriva nella trasposizione integrale degli atti del giudizio di primo grado, in assenza di qualsiasi critica alla decisione impugnata.

Per la cassazione della sentenza P.C. ha proposto ricorso sulla base di un solo motivo, con il quale si denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c.

Si sostiene che il giudice di pace non aveva minimamente vagliato la tesi del ricorrente, nè i documenti prodotti. L’appello poteva pertanto legittimamente esaurirsi nella riproposizione delle linee difensive del primo grado.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

Il ricorso è infondato.

Nel costituirsi in primo grado dinanzi al giudice di pace P.C. aveva eccepito che quanto dovuto al Condominio per i lavori approvati allorchè egli rivestiva ancora la qualità di condomino era stato integralmente pagato. In verità le somme richieste agli attori riguardavano le maggiori spese a cui aveva dovuto far fronte il Condominio a seguito di un innalzamento del prezzo dei lavori inizialmente previsto, dovuto anche alla sostituzione dell’impresa appaltatrice. Tale maggiorazione del corrispettivo era stata approvata con delibera assembleare del 7 maggio 2012, quando il C. e la G. erano già subentrati nella proprietà dell’appartamento, ragion per cui erano gli attori gli effettivi debitori, e non potevano pretendere da lui la restituzione degli importi oggetto di causa.

Risulta dalla sentenza impugnata (la cui lettura è consentita in questa sede in relazione alla natura di error in procedendo della violazione dedotta) che il giudice di pace, attraverso il richiamato della giurisprudenza di legittimità, aveva riconosciuto che tenuto a sopportare i costi dei lavori condominiali era il soggetto proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che aveva disposto l’esecuzione di detti interventi.

In questo senso, secondo la corretta interpretazione della sentenza del giudice di pace data dal Tribunale in grado d’appello, erano “decisive le delibere dell’assemblee condominiali svoltesi nell’anno 2010, quando era ancora proprietario il P.”.

A sua volta il rilievo decisivo riconosciuto a tali delibere è perfettamente compatibile con la ricostruzione dei fatti proposta dal P., secondo cui il costo era lievitato per scelte dell’amministratore, ratificata dall’assemblea quando il ricorrente non era più proprietario.

La sentenza impugnata, nel riconoscere l’inammissibilità dell’appello, ha fatto applicazione del principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 27199 del 2017 in relazione all’attuale 342 c.p.c. Sulla base dello stesso principio il ricorrente formula la propria censura, sostenendo che, in rapporto al contenuto della sentenza impugnata, l’appello poteva esaurirsi nella mera ripresa delle tesi sostenute in primo grado, in quanto non esaminate dal primo giudice.

Questa Suprema Corte, pure dopo l’intervento delle Sezioni Unite, ha chiarito che “l’appellante che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare ex novo le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sè l’inammissibilità dell’appello” (Cass. n. 3115/2018).

Il richiamo di tale principio non giova però al ricorrente, perchè, nel caso di specie, il giudice di pace aveva deciso la causa risolvendo non una questione di fatto sulla base delle prove assunte, ma perchè ha riconosciuto che per stabilire chi fosse tenuto al pagamento, occorreva avere riguardo al momento in cui lavori furono deliberati. E’ stato già anticipato che tale regola iuris (di cui non occorre ai fini che interessano in questa sede verificare la correttezza) è compatibile con la versione dei fatti fornita dall’appellante, che aveva invocato a sua discarico fatti e vicende successive all’approvazione iniziale. Tale contenuto della decisione imponeva allora all’appellante di formulare l’impugnazione nei termini indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, “mediante la quale l’appellante individua le ragioni in virtù delle quali la sentenza di primo grado deve essere riformata (Cass., S.U., n. 27199/2017).

Consegue che l’appello proposto dal P., in quanto si esauriva nella pura trasposizione integrale degli scritti difensivi di primo grado, non si confrontava con la ratio decidendi della sentenza, verso la quale non muoveva alcuna censura, come correttamente ha riconosciuto il tribunale.

Nel giudizio dinanzi al giudice di pace l’attuale ricorrente aveva inoltre negato che fossero dovuti gli importi risultanti dal consuntivo del 2011, in quanto riferiti ad annualità nella quale era già avvenuto il trasferimento di proprietà della unità immobiliare. La domanda degli attori è stata poi accolta interamente, tuttavia il primo giudice non aveva preso posizione su questo aspetto.

L’appello è però inammissibile anche in relazione a tale ulteriore profilo.

Questa Corte ha chiarito che, quando l’appello si diriga contro una omissione di pronuncia, non è certamente configurabile un onere di motivazione sulla quale costruire la doglianza in grado d’appello, essendo sufficiente la riproposizione (Cass. n. 4388/2016; n. 6529/2917), ma ciò non toglie che la riproposizione, per essere riconoscibile come tale, debba essere accompagnata dalla denuncia della omissione di pronuncia incorsa in primo grado. Nel caso di specie, al contrario, l’appello si esauriva nella denuncia della totale mancanza, nella sentenza impugnata, di “alcun riferimento alle tesi della difesa, così come manca alcun riferimento ai documenti depositati dalla stessa difesa”, senza operare alcuna distinzione, nell’ambito del contenuto, fra statuizioni positive denunciate come ingiuste e omissioni di pronuncia rispetto alle quali non era configurabile alcun onere di critica.

Il ricorso, pertanto, va interamente rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro, 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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