Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3184 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/02/2017, (ud. 22/11/2016, dep.07/02/2017),  n. 3184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16581/2014 proposto da:

H.E.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA OTRANTO 18, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

FABRIZI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO RAGAZZINI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POLLO DEL CAMPO SOC. COOP. AGRICOLA A.R.L., C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio

dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati GERMANO DONDI, NICOLA GHEZZI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1549/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/01/2014 R.G.N. 454/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato VARUTTI MAVIA per delega verbale Avvocato VESCI

GERARDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

H.E.R. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Forlì con cui vennero rigettate le sue domande dirette al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti per effetto di una serie di condotte illegittime e vessatorie datoriali, con conseguente annullamento delle dimissioni da lui rassegnate per giusta causa l’11.7.06 e condanna della società cooperativa agricola a r.l. “Pollo del Campo” al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Assumeva il ricorrente di aver subito un illegittimo mutamento di mansioni (da addetto alle pulizie alla macellazione dei polli), peraltro avvenuto al rientro di un permesso non retribuito per recarsi in Marocco ed in contrasto con l’art. 2087 c.c., non avendo l’azienda ottemperato alle prescrizioni mediche limitative dell’idoneità del lavoratore alle nuove mansioni. In tali condotte il ricorrente ravvisava anche un “mobbing” da parte della datrice di lavoro.

Resisteva la Cooperativa.

Con sentenza depositata il 9 gennaio 2014, la Corte d’appello di Bologna respingeva il gravame, ritenendo non provate le domande alla luce delle risultanze processuali, già in tal senso valutate dal Tribunale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il lavoratore, affidato a tredici motivi.

Resiste la società cooperativa con controricorso, poi illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorrente, senza alcuna indicazioni delle norme di diritto denunciate o di specifici vizi motivi, e senza alcuna qualificazione dei motivi di ricorso ex art. 360 c.p.c., evidenzia il carattere ritorsivo del mutamento di mansioni ed il demansionamento subito, con conseguente diminuzione della retribuzione; i ripetuti infortuni occorsigli sul luogo di lavoro; la mancata sua formazione in ordine alle nuove mansioni affidategli ed il carattere ritorsivo di ciò; il mobbing verticale subito dalla datrice di lavoro; la tempestiva revoca di una sanzione disciplinare irrogatagli per scarso rendimento; la giustificatezza delle dimissioni a seguito dell’assegnazione “alla raccolta dei polli morti da terra”; il riconoscimento da parte dell’INAIL del carattere lavorativo degli infortuni occorsi al ricorrente nell’esercizio delle nuove mansioni; la mancata ammissione delle istanze istruttorie (esibizione del libro matricola e del registro degli infortuni; ulteriore prova per testi, stante la contraddittorietà delle deposizioni di quelli ascoltati in primo grado).

2.- Il ricorso, essenzialmente rivolto ad un inammissibile riesame delle circostanze di fatto già valutate in sede di merito, è innanzitutto inammissibile per la mancata indicazione dei vizi denunciati e delle norme di diritto pretesamente violate, non consentendo a questa Corte di individuare le norme e i principi di diritto di cui si denunci la violazione, ed in sostanza la delimitazione dell’oggetto del giudizio di legittimità, giudizio a critica vincolata, contraddistinto dalla limitazione dei motivi di ricorso e dalla specificità delle censure sottoposte all’esame della Corte di cassazione (Cass. n. 23789/15, Cass. n. 4233 del 16/03/2012, Cass. n. 25044 del 07/11/2013).

Ed invero, pur considerando che in tema di ricorso per cassazione, l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina “ex se” l’inammissibilità dell’atto, ciò vale esclusivamente qualora la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura (Cass. 3.8.2012 n. 14026), nella specie assenti. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. sez. un. 24.7.2013 n. 17931).

A ciò aggiungasi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis applicabile alla fattispecie.

Deve allora rimarcarsi che “..Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito.

3.- Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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