Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31835 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 05/12/2019), n.31835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22542/2018 proposto da:

AVANTUNE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,

presso lo studio dell’Avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente agli Avvocati MASSIMO CORRIAS, PIER

GIORGIO CORRIAS in virtù di delega in atti.

– ricorrente –

contro

A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLA

FALCONIERI 100, presso lo studio dell’Avvocato PAOLA FIECCHI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 167/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 15/05/2018 R.G.N. 29/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità, in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato VINCENZO PORCELLI per delega Avvocato CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO;

udito l’Avvocato NIKOLAUS SUCK per delega Avvocato PAOLA FIECCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.C., dipendente della Akhela srl con inquadramento nel 7 livello del CCNL Metalmeccanici e, da ultimo, con mansioni di tecnico di supporto nel servizio di certificazione qualità per conto di importanti clienti e quale responsabile di un progetto di ricerca in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria di Cagliari, veniva licenziata con lettera del 3.10.2014 nell’ambito di un licenziamento collettivo.

2. Impugnato il recesso con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, il Tribunale di Cagliari, con ordinanza dell’11.2.2016, accoglieva il ricorso annullando il licenziamento e ordinando alla Akhela srl la reintegrazione della lavoratrice oltre al pagamento della retribuzione maturata dal recesso al reinserimento in azienda, nel limite legale di dodici mensilità.

3. Proposta opposizione, con pronuncia del 4.1.2018 il medesimo Tribunale, considerato assorbito il denunciato vizio della procedura di licenziamento, concordava sulla ricorrenza della ipotesi della violazione dei criteri di scelta ritenuta sanzionata dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, con la reintegra nel posto di lavoro e con il pagamento di dodici mensilità dell’ultima retribuzione maturata.

4. La Corte di appello di Cagliari, con la sentenza n. 167/2018, accoglieva il reclamo proposto dalla Avantune srl (nuova denominazione sociale della Akhela srl) e, affermato ingiustificato il licenziamento intimato, dichiarava comunque risolto il rapporto in data 7.10.2014 ne condannava la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

5. Per quello che interessa in questa sede i giudici di seconde cure, da un lato, ritenevano legittima la pronuncia gravata nella parte in cui la controversia era stata decisa sulla base di un solo profilo di invalidità del licenziamento, considerata dirimente, in base ad una corretta applicazione del principio della “ragione più liquida”; dall’altro, precisavano che i criteri di scelta adottati, previsti nei moduli ETP1 – ETP2 ed ETP3, erano incerti, discrezionali e persino contraddittori e la loro violazione, nei termini accertati, dava luogo ad un vizio procedurale sanzionato con la tutela risarcitoria ai sensi del combinato disposto della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 5 e 7.

6. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la Avantune srl affidato a due motivi, illustrati con memoria, cui resisteva con controricorso A.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale definito il giudizio sulla base di un’unica ragione risolvente, esponendo la parte vittoriosa al rischio di una decisione sfavorevole sulla base di questioni sulle quali, in violazione del dettato di cui all’art. 24 Cost., non aveva potuto formulare alcuna difesa mancando lo strumento processuale per impugnare in sede di legittimità le questioni sulle quali il giudice di merito non si era pronunciato, ritenendole assorbite.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, in rapporto all’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto generici i criteri di scelta adottati dalla società, che costituivano una prerogativa imprenditoriale non sindacabile, nella sua discrezionalità, da parte del giudice, omettendo altresì ogni valutazione sulla nozione di “puntualità” richiesta dalla norma in tema di indicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta.

4. Il primo motivo è infondato.

5. L’assunto della Corte territoriale, sulla ammissibilità di una decisione in base alla “ragione più liquida”, che consente di tralasciare l’esame non solo di questioni pregiudiziali (in deroga all’art. 276 c.p.c.) ma anche delle questioni di merito assorbite da quelle che comunque porterebbero al rigetto della domanda, è conforme al consolidato orientamento di legittimità (Cass. 9.1.2019 n. 363; Cass. 8.5.2014 n. 9936) secondo il quale il citato principio della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., è posto a tutela della esigenza di economia processuale e di celerità del giudizio ed è ispirato alla ratio di verificare le soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico-sistematica, sostituendo il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ex art. 276 c.p.c..

6. Non meritevoli di accoglimento sono, pertanto, le doglianze circa una omessa pronuncia, da parte della Corte territoriale, ovvero in ordine ad asserite violazioni del diritto di difesa di essa società che non avrebbe potuto interloquire ed impugnare le questioni non esaminate.

7. Il secondo motivo, come formulato, è inammissibile.

8. La censura è diretta, infatti, ad ottenere un sindacato su valutazioni di merito, operate dalla Corte territoriale, in ordine alla ritenuta validità dei criteri di scelta utilizzati dalla datrice di lavoro al fine di selezionare i lavoratori da collocare in mobilità.

9. In particolare, si chiede di rivalutare, in punto di fatto, i suddetti criteri sotto il profilo della loro discrezionalità, incertezza e coerenza nonchè in relazione al concetto di “puntualità” della indicazione delle modalità di loro applicazione, riguardante la esigenza di una comunicazione che renda trasparenti le scelte del datore di lavoro e controllabili in sede giudiziaria.

10. A tale proposito, è opportuno sottolineare, in punto di diritto, che i parametri cui ha fatto riferimento la Corte di merito, per valutare la correttezza dei criteri di scelta, sono in sostanza quelli più volte precisati in sede di legittimità (per tutte Cass. n. 23041 del 2018) e dalla Corte Costituzionale (sent. n. 268 del 1994) e, cioè, quelli della oggettività, trasparenza, razionalità, ragionevolezza e della non discriminazione. Inoltre, in tema di licenziamenti collettivi, è stato affermato che la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, secondo cui il datore di lavoro deve dare una “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative, impone oltre alla individuazione dei criteri con cui selezionare il personale, anche la specificazione del concreto modo di operare degli stessi, in modo che il lavoratore possa comprendere perchè lui, e non altri, sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo (Cass. 19.9.2016 n. 18306).

11. I giudici di seconde cure, con un accertamento congruamente e correttamente motivato, hanno evidenziato che effettivamente alcuni elementi indicati per il criterio delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, esplicitato nei tre moduli “ETP1, ETP2 ed ETP3”, (nello specifico: maturità ed articolazione del ruolo attuale insieme al curriculum professionale, in ETP1, nonchè la rilevanza delle esperienze insieme alla flessibilità e alle esperienze presso il cliente, in ETP3), da considerare unitamente a quelli della anzianità di servizio e del carico familiare (i quali ultimi avevano, però, una incidenza inferiore su punteggio rispetto al primo), consentivano incerti apprezzamenti rimessi alla discrezionalità del datore di lavoro e, in quanto tali, invalidi perchè non oggettivamente giudicabili: invero, è stato precisato che, nella prima relazione (ETP1), venivano comparati un elemento certo (curriculum professionale) insieme ad uno del tutto eterogeno quale la maturità ed articolazione del ruolo; nella seconda (ETP3), un elemento che poteva essere di incerto apprezzamento, quale la rilevanza delle esperienze, non coincidente con la flessibilità che poteva essere del tutto indipendente dal primo. Conseguentemente hanno valutato in concreto la singola posizione della A., odierna controricorrente, sottolineando proprio come non fosse stato considerato adeguatamente la “rilevanza delle esperienze” di questa nonostante le allegazioni formulate sul punto e la documentazione prodotta ed evidenziando che, solo in sede reclamo, era stato spiegato che si era data invece rilevanza alle esperienze di lavoro all’estero.

12. Le articolazioni della censura, si risolvono, quindi, come detto, nella richiesta di riesame dell’accertamento, operato dalla Corte territoriale in fatto, che non è deferibile al giudice di legittimità cui spetta solo la facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di legittimità al giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (cfr. Cass. 16.12.2001 n. 27197; Cass. 19.3.2009 n. 6694).

13. Da ultimo, deve precisarsi – sempre avendo riguardo a quanto indicato nel motivo di ricorso – che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erronea apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 5.9.2006 n. 19064; Cass. 10.2.2006 n. 2935).

14. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).

15. Anche in relazione a tali censure, il motivo si palesa, pertanto, inammissibile.

16. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso deve essere rigettato.

17. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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