Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31823 del 10/12/2018
Cassazione civile sez. VI, 10/12/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 10/12/2018), n.31823
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18162-2016 proposto da:
D.C., elettivamente domiciliata in ROMA, (OMISSIS),
presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA
dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;
– resistente –
avverso la sentenza n. 6/2016 del TRIBUNALE di RIETI, depositata il
12/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.
Fatto
RILEVATO
Che il Tribunale di Rieti respingeva l’opposizione ad ATP ex art. 445 bis c.p.c., proposto ad istanza di D.C. per sentire accertare il requisito sanitario relativo all’assegno di assistenza L. n. 1118 del 1971, ex art. 13, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Rilevava il Tribunale che, ai fini della liquidazione delle spese non vale nè l’autocertificazione prodotta in sede di a.t.p. al doc. 2 “dichiaro di non svolgere alcuna attività lavorativa e che il mio unico reddito personale per il 2013 è stato di zero. Dichiaro, inoltre, che il mio unico reddito familiare rientra nel D.L. n. 269 del 2003, art. 42 comma 11”, nè quella identica prodotta in sede di merito e che da tali autocertificazioni, inoltre, si evinceva che la ricorrente aveva un “reddito familiare”, circostanza in contrasto con la sbarratura delle voci relative ai componenti della famiglia nell’autocertificazione allegata al ricorso;
che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione D.C. sulla base di unico motivo;
che l’Inps si è costituito con memoria in calce al ricorso;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Diritto
CONSIDERATO
che con unico motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando che non si comprende il motivo del rifiuto dell’autocertificazione prodotta sia in sede di ATP che in sede di merito, posto che, secondo le indicazioni offerte dalla suprema Corte, la nuova normativa non impone all’interessato di formulare la dichiarazione in oggetto secondo uno schema rigido e predeterminato per legge, nè alcuna rigida formula per il soddisfacimento del suddetto onere. Precisa che nelle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di ATP nonchè nel giudizio di opposizione, aveva precisato di trovarsi nelle condizioni indicate dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, per l’esenzione dalla condanna al pagamento delle spese in caso di soccombenza, come da allegata dichiarazione sostitutiva di certificazione sottoscritta personalmente dalla parte ricorrente;
che il motivo è ammissibile, risultando assolte le prescrizioni desumibili dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto il contenuto essenziale delle dichiarazioni ivi valorizzate è riprodotto nel ricorso e ne è indicata la collocazione processuale, con riferimento agli atti contenuti nei fascicoli di merito pure prodotti;
che nel merito, esso è fondato, alla luce della giurisprudenza di questa Corte cha ha stabilito (v. Cass. 29-11-2016, n. 24303, Cass. n. 16616 del 25/06/2018) che l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42,comma 11, conv., con modif., dalla L. n. 326 del 2003, e risultante dall’aggiunta operata dalla L. n. 69 del 2009, art. 52,comma 6, stante il richiamo limitato ai commi 2 e 3, con esclusione del comma 1, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, che disciplina il contenuto dell’istanza per il gratuito patrocinio, non impone alla parte ricorrente l’indicazione specifica dell’entità del reddito nella prescritta dichiarazione sostitutiva, in un’ottica di semplificazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale, coerente con la “ratio” ispiratrice della disciplina di favorire l’effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti, benchè diretta ad evitare e punire gli abusi;
che, inoltre, la disposizione va interpretata nel senso che della ricorrenza delle condizioni di esonero deve essere dato conto nell’atto introduttivo del giudizio, cosicchè va ritenuta efficace la dichiarazione sostitutiva che, pur materialmente redatta su foglio separato, sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo (v. Cass. 26-07-2011, n. 16284);
che ne consegue l’idoneità della dichiarazione in atti a determinare, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. l’esonero dalle spese di lite;
che la sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione alla statuizione sulle spese e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decisa nel merito, dichiarando non dovuto dalla ricorrente l’importo delle spese poste a suo carico nel giudizio di merito ed esonero della parte dal pagamento delle spese di c.t.u., che vanno poste a carico dell’Inps;
che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, sono regolate secondo soccombenza e vanno distratte in favore del difensore in virtù della dichiarata anticipazione.
PQM
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto l’importo relativo alle spese del giudizio di merito, ponendo a carico dell’Inps le spese di c.t.u..
Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore della ricorrente.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018