Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31811 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 05/12/2019), n.31811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10855/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

L.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 26/11/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, emessa in data 11/11/2011, depositata in

data 8/3/2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10/10/2019 dal

Consigliere Giudicepietro Andreina;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Lanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con tre motivi contro L.A. per la cassazione della sentenza n. 26/11/2012 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, emessa in data 11/11/2011, depositata l’8/3/2012 e non notificata, che ha parzialmente accolto il ricorso del contribuente, rigettando l’appello incidentale dell’Amministrazione relativo alla compensazione delle spese di lite, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento per maggiori Irpef, Iva ed Irap per l’anno di imposta 2003.

2. La fattispecie trae origine da una verifica della G.d.F. di Manerbio nei confronti della ditta individuale ” L.A.”, esercente attività di commercio di autoveicoli, che evidenziava violazioni tributarie per il periodo dal 2/4/2002 al 30/10/2003, riportate nel p.v.c. redatto l’11 settembre 2006.

In particolare, l’impresa effettuava acquisti intracomunitari di autoveicoli, che rivendeva a prezzi inferiori rispetto a quelli di acquisto, caricando il 20% di Iva, senza provvedere al relativo versamento all’Erario.

Con l’avviso di accertamento notificato il 14/12/2006, l’Ufficio accertava un reddito imponibile di Euro 362.501,00, in luogo di quello dichiarato dal contribuente di Euro 297.968,00, e determinava il valore della produzione ai fini Irap in Euro 332.282,00 e l’Iva evasa in Euro 323.183,00.

L’Amministrazione, con accertamento induttivo, aveva quantificato il maggior reddito (pari ad Euro 64.533,00), applicando la percentuale di redditività del 3% sul complessivo volume di affari non dichiarato di Euro 2.151.133,19, quale redditività presunta del settore merceologico di appartenenza, sulla base del presupposto che il contribuente avesse comunque ricevuto un minimo provento in relazione alle operazioni poste in essere.

In data 30/4/2007, successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento, il contribuente inviava una dichiarazione integrativa, nella quale indicava, come ricavi delle vendite, la somma di Euro 2.162.000,00 e come costi per merci e materie prime Euro 2.384,00, con una conseguente perdita di esercizio per l’anno 2003 di Euro 222.000,00.

3. Con ricorso alla C.T.P. di Brescia, il contribuente impugnava l’avviso di accertamento, deducendo di aver proceduto alla rettifica della dichiarazione dei redditi e di aver documentato tutte le operazioni di vendita, con i relativi costi e ricavi.

La C.T.P. di Brescia rigettava il ricorso, ritenendo legittimo il ricorso dell’Ufficio all’accertamento induttivo e tardiva la dichiarazione integrativa, favorevole complessivamente al contribuente, perchè presentata oltre i termini di cui al citato D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8-bis.

4. Con la sentenza impugnata, la C.T.R., confermando la statuizione del primo giudice in ordine al mancato versamento dell’Iva, riteneva tempestivamente presentata la dichiarazione integrativa nei termini di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, ed accoglieva parzialmente l’appello del contribuente, in ordine alla mancata deduzione dei costi per Euro 572.000,00, relativi a 15 autofatture riguardanti l’acquisto di altrettante autovetture.

Inoltre, il giudice di appello riteneva che la C.T.P. di Brescia avesse congruamente motivato sulla compensazione delle spese giudiziali, giustificata dall’impossibilità del ricorrente di attivarsi per l’emenda in termini brevi, poichè la documentazione contabile era stata acquisita dalla G.d.F. e non era più in suo possesso.

5. A seguito del ricorso, il contribuente è rimasto intimato.

6. Il ricorso è stato fissato alla pubblica udienza del 10/10/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Ragioni di priorità logica impongono la trattazione del terzo motivo, con cui il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.2. Esso è infondato e va rigettato.

1.3. Invero, la sentenza impugnata non tiene conto del fatto che la dichiarazione integrativa, con l’indicazione di ricavi e costi non dichiarati precedentemente, che complessivamente evidenziavano una perdita, era favorevole al contribuente dal punto di vista fiscale, quindi doveva essere presentata nel termine di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8-bis, e, comunque, prima della notifica dell’avviso di accertamento.

Ai sensi della norma citata “Le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’art. 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17”.

Nel caso di specie, quindi, erroneamente la C.T.R. ha ritenuto che la dichiarazione integrativa fosse stata presentata tempestivamente, ritenendo applicabili i termini più ampi di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, e che, per ciò stesso, fossero deducibili i costi in essa riportati, relativi alle 15 autofatture escluse dal conteggio contenuto nell’avviso di accertamento.

Deve, comunque, rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha delineato un orientamento secondo il quale, poichè la dichiarazione è – in linea generale, salvo casi particolari o parti specifiche di essa – un atto di scienza e quindi sempre emendabile, il contribuente può fare valere eventuali vizi commessi nella redazione della stessa, che attengano al merito della pretesa tributaria, anche in sede contenziosa indipendentemente dal rispetto dei termini per la presentazione della emenda (Sez. 5, n. 23574 del 2012 e Sez. 6-5, n. 21740 del 2015).

Sulla questione sono intervenute nel 2016 le Sezioni Unite che, recependo l’orientamento citato, nello statuire sui termini di presentazione della dichiarazione integrativa per correggere errori od omissioni, hanno affermato che il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria. (Sez. Un., n. 13378 del 2016; cfr. ex multis Cass. n. 2220/2018).

2.1. Passando, quindi, al primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 38 e 39, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), del D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.2. I motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti.

2.3. Invero, riguardo ai costi relativi alle 15 autofatture, l’Agenzia ricorrente rileva che la loro deduzione contrasta con il metodo accertativo induttivo prescelto dall’Amministrazione, che aveva quantificato i maggiori redditi applicando la percentuale di redditività del 3% sul complessivo volume di affari non dichiarato, evidentemente sul presupposto dell’inattendibilità della documentazione contabile.

In materia questa Corte ha affermato che il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile e quello condotto con metodo induttivo cd. puro sta nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non consente di prescindere del tutto dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a completare le lacune riscontrate, utilizzando anche presunzioni semplici, rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c.; nel secondo caso invece “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare integralmente l’attendibilità, e dunque l’utilizzabilità, degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che l’amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti”, ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, privi dei requisiti previsti per la prova presuntiva dagli artt. 2727 e 2729 c.c.. In queste ipotesi, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, legittimamente l’Amministrazione finanziaria determina il reddito sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali è compresa la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento, ben potendo la rideterminazione del ricarico, sulla base di dati concreti, integrare operazione finalizzata alla ricostruzione del volume d’affari (Cass., sent. n. 17952 del 2013 e sent. n. 11813 del 2002, richiamate in Cass. n. 18695/18).

Nel caso di specie, l’Amministrazione, con metodo induttivo, ha quantificato il maggior reddito (pari ad Euro 64.533,00), applicando la percentuale di redditività del 3% sul complessivo volume di affari non dichiarato di Euro 2.151.133,19, quale redditività presunta del settore merceologico di appartenenza, sulla base del presupposto che il contribuente avesse comunque ricevuto un minimo provento in relazione alle operazioni poste in essere.

L’accertamento, quindi, per la metodologia applicata, prescindeva dalla dimostrazione dei costi sostenuti in concreto.

Questa Corte, invero, ha chiarito che in tema di imposte sui redditi, in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione (vedi Sez. 5, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017, secondo cui incombe invece al contribuente l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo), mentre “in tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria, nell’ipotesi di omessa fatturazione, abbia proceduto ad accertamento induttivo puro D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, la base imponibile deve essere determinata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, con la conseguenza che non assumono alcuna incidenza i costi di produzione dei beni o servizi ceduti” (Sez. 5, Ordinanza n. 21828 del 07/09/2018).

Il giudice di appello non risulta aver dato corretta applicazione ai principi sopra riportati, per cui la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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