Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31804 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 05/12/2019), n.31804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6479-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTEZEBIO 23,

presso lo studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIORGIO BERSANI giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2012 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 01/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato ALESSI che si riporta agli

atti.

Fatto

Con sentenza n. 36 del 1.2.2012 la CTR di Genova respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di S.A. avverso la decisione della CTP di La Spezia con cui era stata dichiarata cessata la materia del contendere a seguito del passaggio in giudicato, nelle more del giudizio, della sentenza n. 130 del 2006 che aveva ritenuto definibile per condono, ai sensi della L. n. 289 del 2002, ex art. 16, la lite pendente su imposta principale di successione. Osservava il Giudice di appello che la contribuente aveva contestato, in qualità di legataria, la debenza della maggiore imposta richiestale con l’avviso di rettifica dell’Ufficio in relazione alla denuncia di successione presentata in data 11.1.2000 a seguito del decesso di S.A..

Rilevava che lo scopo del condono è quello di definire transattivamente la controversia sull’esistenza del presupposto impositivo, sicchè non era possibile per l’Ufficio procedere alla rettifica dei valori immobiliari ai fini dell’imposta complementare.

Aggiungeva che congrui dovevano comunque ritenersi i valori dichiarati. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a 4 motivi, cui resiste con controricorso e memoria integrativa la contribuente.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16 e del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 33 e 34, in combinato disposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Osserva che, come emerge dagli atti di causa, l’avviso opposto in questa sede riguarda unicamente la rettifica di valori e la liquidazione di imposta complementare, diversamente dal precedente avviso relativo ad imposta principale, la cui impugnativa è stata definita ai sensi della L. n. 289 del 2002, ex art. 16.

Rileva, pertanto, che detta definizione concerneva unicamente la lite avente ad oggetto uno specifico atto impositivo, vale a dire l’imposta principale, sicchè non poteva ritenersi venuto meno il potere dell’Ufficio di rettificare i valori dichiarati nella denuncia di successione richiedendo una maggiore imposta. Sostiene infatti che gli effetti del condono sono solo ed esclusivamente quelli previsti dalla legge, e non possono essere ampliati in forza di una “totalizzante” natura transattiva del condono, o in relazione alle affermazioni e aspettative del contribuente.

Con un secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 ed art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

L’Agenzia lamenta che il giudice di appello avrebbe fondato il rigetto su di un motivo che era estraneo al thema decidendum, che avrebbe investito unicamente la questione relativa alla congruità dei valori dichiarati nella denuncia di successione, con ciò incorrendo nella violazione delle norme sopra indicate.

Con un terzo motivo deduce I”omessa motivazionè su di un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta, in particolare, che la decisione di appello non avrebbe fornito alcuna motivazione in relazione alla congruità dei valori dichiarati nella denuncia di successione; congruità che costituiva un fatto decisivo della controversia.

Con un quarto motivo denuncia, in via subordinata, il medesimo profilo di cui sopra, ma come ‘insufficiente motivazionè su di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Relativamente alla questione veicolata attraverso il primo motivo, va condiviso l’assunto secondo cui la lite pendente attenga, per sua definizione, solo e soltanto all’imposta che ne costituisce oggetto.

Ma ciò, se giustifica che il condono relativo all’imposta complementare – ossia quella parte del tributo dovuto in aggiunta a quello liquidabile in ragione della dichiarazione del contribuente per l’accertamento di un maggior valore da parte dell’amministrazione finanziaria – non abbia effetti “estintivi” rispetto all’imposta principale (quella, appunto, liquidabile in ragione della dichiarazione del contribuente: v. in questo senso Cass. n. 3482 del 2014), non altrettanto può dirsi tout court per il caso inverso, e in particolare quando si tratti, come nel caso di specie, dell’imposta principale di successione.

Relativamente a tale imposta giova ricordare che, in tema di condono fiscale, è stato affermato come esulino dal concetto normativo di lite pendente, e quindi dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni.

Rientra pertanto nell’ambito applicativo del beneficio l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, il quale comporta sempre una previa valutazione, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, dovendo esso ufficio, in caso di dichiarazione incompleta o infedele, procedere alla rettifica, ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 27, comma 3; ciò implica che, allorquando alla rettifica non si sia proceduto, non è affatto mancata la valutazione, ma questa è consistita nel giudicare congrui i valori dichiarati.

L’avviso di liquidazione dell’imposta di successione è quindi compreso fra gli atti impositivi cui si riferisce la legge di condono, art. 16, contenendo necessariamente una valutazione di congruità, e non essendo finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti (Cass. n. 18840 del 2006; Cass. n. 8196 del 2011).

Ai fini di quanto qui interessa, i termini del problema non mutano. La Corte ha affermato che: “In tema di condono fiscale, esulano dal concetto normativo di lite pendente e, quindi, dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni, con la conseguenza che rientra nell’ambito applicativo del beneficio, la controversia conseguente all’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione il quale partecipi nella sostanza alla funzione propria dell’accertamento, in quanto emesso previa valutazione e rettifica, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, derivandone, in tal caso, la persistente controvertibilità del presupposto della materia imponibile” (Cass. n. 8196 del 2011).

Orbene,in questa prospettiva non sembra certamente più vero che l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione contenga “necessariamente una valutazione di congruità, e non sia finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti”. Non solo: l’orientamento espresso sembra preludere a quanto più recentemente affermato da questa Corte circa la possibilità che l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione esuli dal concetto normativo di lite pendente se emanato sulla base di dichiarazione proveniente dagli eredi, senza rettifica di valori e senza irrogazione di sanzioni (Cass. n. 20898 del 2014).

Tuttavia resta immutata la necessità di un accertamento in concreto che l’atto impositivo, oggetto della controversia, sia effettivamente limitato alla mera pretesa dell’imposta (principale), liquidata esclusivamente “sulla base di dichiarazione proveniente dagli eredi, senza rettifica di valori e senza irrogazione di sanzioni”. Perchè solo in questo caso la “condonabilità della lite” potrebbe essere esclusa.

Nella fattispecie in esame, invece, la controversia relativa all’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione è stata ritenuta, con sentenza passata in giudicato (e senza che vi sia sul punto contrasto tra le parti), lite pendente condonabile ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16: sicchè l’atto impositivo, in quanto considerato condonabile, non era evidentemente finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti, ma doveva contenere elementi – ad es. una rettifica di valori – che giustificassero la persistente controvertibilità del presupposto della materia imponibile (in termini, e con riguardo alla posizione di un altro chiamato alla medesima successione S.: Cass. 24022/2015).

Resta da aggiungere che l’argomento secondo cui le ipotesi riguarderebbero imposte differenti, trattandosi in un caso d’imposta principale e nell’altro d’imposta complementare, trascura di considerare che ciò che rileva ai fini qui in esame è la tipologia d’imposta (in concreto: l’imposta di successione) e non la prestazione dedotta, da riferirsi, dunque, al medesimo presupposto impositivo.

Pertanto, deve essere rigettato il primo motivo di ricorso, restando così assorbiti tutti i restanti motivi: la ratio decidendi criticata con il rigettato primo motivo di ricorso è, infatti, sufficiente a sorreggere da sola la decisione impugnata (Cass. 2015 n. 24022, cit.)

Il consolidamento dei principi enunciati in epoca successiva alla proposizione del ricorso giustifica la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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