Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 318 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 10/01/2011), n.318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, gia’ elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLA

CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell’avvocato NICOLELLA MARIO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta

delega in atti e da ultimo domiciliata d’ufficio presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

T.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO NATALE EDOARDO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 386/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/03/2006 r.g.n. 1623/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega PAOLO TOSI;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO NATALE EDOARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 714/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Torino, in parziale accoglimento della domanda proposta da T. D. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullita’ del termine apposto al contratto stipulato con decorrenza dal 29-6-1999, per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 e acc. az. 25-9-97, e condannava la societa’ a riammettere in servizio la ricorrente con prestazione di 18 ore settimanali, come da contratto concluso il 28-11-2003.

La T. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendo che venisse dichiarato il suo diritto ad essere riammessa in servizio con modalita’ full – time, con corresponsione delle retribuzioni nella misura piena.

La societa’ si costituiva contestando il fondamento della impugnazione della T. e proponendo appello incidentale per ottenere il rigetto integrale della domanda attorea.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 27-3-2006, in accoglimento dell’appello principale condannava la societa’ a riammettere la T. al lavoro con orario a tempo pieno ed a corrispondere alla stessa le retribuzioni arretrate corrispondenti all’orario pieno; respingeva, inoltre, l’appello incidentale e confermava nel resto l’appellata sentenza.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste italiane ha proposto ricorso con un unico motivo, corredato dal quesito di diritto ex art. 366 bis. c.p.c., che va applicato nella fattispecie ratione temporis.

La T. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e art. 1362 c.c. e segg. e vizi di motivazione, in sostanza lamenta che la sentenza impugnata si fonda sull’erroneo pregiudizio secondo cui “La L. n. 56 del 1987, art. 23 non consentirebbe all’autonomi’a collettiva di costruire fattispecie legittimanti assunzioni a termine collegate a situazioni (oggettive o soggettive) tipicamente aziendali e che non siano direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro”.

La ricorrente deduce, infatti, che l’art. 8 del ccnl del 1994, cosi’ come integrato dall’accordo 25-9-97, subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda, per cui l’interpretazione di tale accordo compiuta dalla Corte torinese “risulta viziata, oltre che dall’erronea lettura della L. n. 56 del 1987, art. 23 che ha condizionato, viziandola irrimediabilmente, anche la successiva esegesi della disciplina contrattuale, anche dall’autonoma e concorrente violazione delle regole ermeneutiche legali di cui all’art. 1362 c.c. e segg. (ed in particolare del criterio letterale e del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione)”.

Il motivo non puo’ essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come piu’ volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7/1/2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, e’ stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove pero’ un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha piu’ volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso e’ stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed e’ pertanto privo di presupposto normativo (tale considerazione, del resto, pur richiamata nella sentenza impugnata, e’ stata considerata assorbita dalla Corte di Torino in ragione della ritenuta necessita’ della prova del collegamento concreto della assunzione de qua con la ristrutturazione in atto).

In tal senso, quindi, va respinto il ricorso, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullita’ della clausola appositiva del termine.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la societa’ ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

La richiesta della societa’ e’ contrastata, con varie argomentazioni, dalla difesa dell’intimata.

Orbene, a prescindere dall’esame delle obiezioni da quest’ultima svolte in ordine alla problematica relativa alla possibilita’ di ricomprendere, tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6, anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimita’ lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimita’, il cui perimetro e’ limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Infine, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della T..

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla T. le spese liquidate in Euro 35,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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