Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31795 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 05/12/2019), n.31795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10726/2012 R.G. proposto da:

S.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Angelo Scavone,

con domicilio eletto in Roma, via Quintino Sella, n. 41, presso lo

studio dell’Avv. Camilla Bovelacci;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, Ufficio 4 di Bologna, in persona del Direttore

pro tempore, e contro il Ministro – Segretario di Stato

dell’economia e delle finanze;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna n. 103/06/11 depositata il 20 ottobre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 ottobre 2019

dal Consigliere Dott. Nicastro Giuseppe;

udito l’Avv. Angelo Scavone per il ricorrente e l’Avv. dello Stato

Marinella di Cave per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott.ssa De Renzis Luisa, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di accesso nel suo studio professionale, del quale fu redatto processo verbale, e di successive indagini bancarie, L’Agenzia delle entrate notificò a S.F. (hinc anche: “il contribuente”) un avviso di accertamento con il quale rettificava, ai fini dell’IRPEF, il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio, nell’anno 1982, dell’attività di consulente tributario.

In particolare, la rettifica scaturì, tra l’altro e per quanto qui interessa: a) dal recupero a tassazione del maggiore corrispettivo di Lire 199.800.000,00 percepito per la prestazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982, emessa, con l’indicazione di un corrispettivo di Lire 200.000.000,00, nei confronti della Cattaneo Costruzioni Bergamo s.p.a. per lo svolgimento di un’indagine di mercato e registrata con l’indicazione di un imponibile di Lire 200.000,00; b) dal disconoscimento della deducibilità, come spesa sostenuta per l’effettuazione di tale prestazione, della somma di Lire 173.000.000,00 risultante da 10 assegni circolari emessi a favore di vari soggetti, con addebito sul conto bancario del contribuente, il giorno stesso del versamento sullo stesso conto del corrispettivo della predetta prestazione.

2. L’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Bologna, che, per quanto qui interessa, confermò l’indeducibilità della somma di Lire 173.000.000,00 con la motivazione che i menzionati 10 assegni circolari, da cui essa risultava, erano “intestati a nomi di fantasia (così come riferito a verbale dal contribuente) e i beneficiari non erano individuabili” (così la sentenza impugnata).

3. Avverso tale pronuncia, S.F. propose appello alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna (hinc anche: “CTR”). L’Agenzia delle entrate propose appello incidentale. La CTR, disposta la riunione del processo con un altro concernente l’avviso di accertamento emesso nei confronti dello S. per l’anno 1983, rigettò sia l’appello che l’appello incidentale, ribadendo, per quanto qui interessa, “che non possono essere presi in considerazione come componenti negativi del reddito i diversi assegni circolari intestati a vari nomi di fantasia per cui non sono individuabili i beneficiari” (così la sentenza impugnata).

4. Avverso tale sentenza della CTR il contribuente propose ricorso per cassazione per cinque motivi. Con la sentenza 21/01/2011, n. 1367, la Corte di cassazione, rigettati i primi tre, accolse il quarto e il quinto motivo – che “riguardava(vano) esclusivamente l’accertamento del 1982” (così la sentenza n. 1367 del 2011) – con la seguente motivazione: “(c)on il quarto e il quinto motivo di ricorso si deduce oltre che violazione di legge la illogicità della motivazione circa la fattura 18/82 che la Commissione tributaria regionale ha ritenuto riferirsi ad operazione inesistente per quanto riguardava i costi mentre ha contabilizzato il ricavo come reddito. Il motivo appare fondato, in quanto la lettura della sentenza impugnata non consente di comprendere l’iter seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua statuizione ed in particolare non consente di comprendere quali siano i fatti che la Commissione tributaria regionale abbia ritenuto accertati”. La Corte di cassazione cassò pertanto la sentenza impugnata in relazione ai menzionati quarto e quinto motivo di ricorso, rinviando la causa a un’altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna.

5. S.F. riassunse la causa davanti a tale Commissione che, pronunciandosi sul giudizio di rinvio, dichiarò “legittimo l’operato dell’Ufficio che ha ripreso a tassazione per l’anno 1982 l’importo di Lire 199.800.000 (maggiori proventi accertati per le prestazioni di cui alla fattura n. (OMISSIS)8 del 3/6/1982) disconoscendo quale costo relativo l’importo di Lire 173.000.000”. La CTR, in particolare: a) premise: a.1) quanto agli esiti – invocati nell’atto di riassunzione della causa – del processo penale nei confronti del contribuente per il delitto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 50, comma 4, per avere emesso, nei confronti della Cattaneo Costruzioni Bergamo s.p.a., la fattura n. (OMISSIS) del 1982 relativa a un’operazione inesistente, che: da un lato, la sentenza penale irrevocabile non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario ma che il giudice tributario, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui essa è destinata ad operare; dall’altro lato – e con specifico riguardo al caso di specie – il menzionato processo penale nei confronti del contribuente si era concluso con una sentenza del Tribunale penale di Bologna declaratoria di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, cosicchè tale “decisione di prescrizione del reato per la fattura di (Lire) 200.000.000 non è assolutamente indiziaria sulla convinzione del giudice penale sulla regolarità o meno della fattura”; a.2) quanto alle dichiarazioni rese dal contribuente nel corso dell’accesso e riportate nel relativo verbale – pure invocate nell’atto di riassunzione della causa e secondo le quali “(i)I versamento di Lire 230.000.000 effettuato in data 21 luglio 1982, rappresentava il compenso (Lire 200.000.000 + Lire 30.000.000 per IVA) relativo ad un’indagine di mercato tendente a segnalare alla società Cattaneo Costruzioni Bergamo spa i nominativi di aziende idonee ad eseguire lavori di subappalto per la pitturazione del Centro Direzionale di Agrate (…). Per tale operazione fui contattato dal rag. P.A.. In pari data ho consegnato al rag. P. diversi assegni circolari intestati a vari nomi di fantasia per un importo complessivo di Lire 173.000.000” – che esse non “possono ritenersi prova” in quanto “la figura della confessione stragiudiziale non assume al rango di strumento probatorio che può essere posto a base dell’accertamento tributario”, mentre “la dichiarazione resa dal contribuente in sede di verifica deve considerarsi un indizio, oggetto di una valutazione libera dei giudici alla luce di tutto il complesso probatorio esistente”; b) affermò quindi che: b.1) è “provata l’esistenza della fattura di Lire 200.000.000, irregolarmente registrata nella minore somma di Lire 200.000 (…) e provato altresì l’introito dell’intera somma che lo S. ha versato sul c/c a lui intestato”; b.2) “(i)n punto di diritto si può (…) affermare che in linea di principio, è legittimo il comportamento dell’Ufficio che si limiti a recuperare i costi fittizi, senza, poi, escludere dai ricavi quelli asseritamente fittizi”; b.3) “la ricorrenza dei presupposti per l’adozione del metodo induttivo (…) non è, di per se stessa, preclusiva della valutazione analitica di dati comunque emergenti dalle scritture dell’imprenditore”; b.4) esiste il principio di tipicità degli atti di accertamento, in base al quale, fatta eccezione per i provvedimenti adottati in via discrezionale in autotutela o su richiesta di rimborso, non sono previsti provvedimenti finalizzati alla riduzione del debito d’imposta dichiarato dal contribuente; b.5) non aveva rilievo la disposizione del D.P.R. n. 197 del 1986, art. 75 nel testo risultante dall’abrogazione, a opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5, comma 1, del comma 6 dello stesso art. 75 – ancorchè tale articolo, ai sensi del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36, comma 1, abbia effetto anche per il periodo d’imposta 1982 – atteso che “(n)ella specie l’Ufficio non esclude (…) il costo per ragioni formali ma lo esclude per ragioni di pertinenza” in quanto il “contribuente non è riuscito a spiegare il motivo per cui abbia emesso nello stesso giorno assegni circolari per Lire 175.000.000 e consegnati gli stessi a tale rag. P., per compenso, e pertanto l’esborso di tale somma non può considerarsi spesa pertinente all’introito di Lire 230.000.000”; b.6) non “può ritenersi non tassabile la somma di Lire 230.000.000 dato che lo stesso contribuente anche in sede di ricorso per riassunzione oltre che nell’immediatezza degli accertamenti bancari ha dichiarato che si trattava di un compenso (Lire 200.000.000 + Lire 30.000.000 per IVA) relativo ad una indagine di mercato tendente a segnalare alla società Cattaneo Costruzioni Bergamo spa i nominativi di aziende idonee ad eseguire lavori di subappalto per la pitturazione delle facciate del Centro Direzionale di Agrate e l’assegno e la fattura sono stati rinvenuti presso la società Cattaneo. Dell’operazione, poi, è rimasta traccia presso la contabilità dello S. ancorchè l’importo registrato era di Lire 200.000 anzichè di Lire 200.000.000”, di talchè “spettava quindi al contribuente, eventualmente, provare che si trattava di operazione inesistente, il che non è avvenuto, anzi ha sostenuto il contrario”.

6. Avverso tale sentenza della CTR, depositata il 20 ottobre 2011 e non notificata, ricorre per cassazione S.F., che affida il proprio ricorso, notificato il 20 aprile 2012, a cinque motivi.

5. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 30 maggio 2012.

6. S.F. ha depositato una memoria.

7. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2019, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, poichè privo di legittimazione passiva in quanto il procedimento è stato introdotto successivamente al 1 gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, per i procedimenti introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva la legittimazione ad causam e ad processum (per tutte, Cass., Sez. U, 14/02/2006, n. 3118).

2. Con il primo motivo, S.F. denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Premesso che, ai sensi di tale disposizione, la sentenza rescindente vincola il giudice di rinvio sia in ordine ai principi di diritto affermati, sia in relazione ai necessari presupposti di fatto, da ritenersi accertati in via definitiva, nella fase di merito, quali premesse logico-giuridiche della pronunzia di annullamento, il ricorrente censura la sentenza impugnata in quanto avrebbe omesso “di affrontare la questione sottoposta” dalla Corte – la quale avrebbe “richiamato la contraddittorietà della decisione di appello, laddove a fronte dell’acquisita ed accertata inesistenza dell’operazione di cui alla fattura 18/1982, aveva considerato il corrispettivo (…) quale ricavo legittimamente ripreso a reddito dall’Ufficio” – e avrebbe illegittimamente operato “una nuova valutazione generalizzata del merito della controversia”, in particolare, una “nuova valutazione circa la asserita assenza della prova dell’inesistenza dell’operazione enunciata nella fattura 18/82”.

Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha ripetutamente chiarito che, “(i)n caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass., 02/02/2018, n. 2652; nello stesso senso, ex plurimis, Cass., 14/06/2006, n. 13719).

Nel caso di specie, l’annullamento della sentenza di appello è avvenuto per vizi della motivazione. Ne discende che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la CTR, conservando, quale giudice del rinvio, tutte le facoltà che le competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, ben poteva operare “una nuova valutazione generalizzata del merito della controversia” e in particolare, una “nuova valutazione circa la asserita assenza della prova dell’inesistenza dell’operazione enunciata nella fattura 18/82”.

Inoltre, la CTR non ha fondato la propria decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato ritenuti illogici dalla Corte di cassazione nè è incorsa nelle stesse contraddizioni o negli stessi difetti argomentativi da essa riscontrati. La sentenza rescindente infatti, sempre contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non ha affatto motivato la fondatezza degli accolti quarto e quinto motivo di ricorso con la “contraddittorietà della decisione di appello, laddove a fronte dell’acquisita ed accertata inesistenza dell’operazione di cui alla fattura 18/1982, aveva considerato il corrispettivo (…) quale ricavo legittimamente ripreso a reddito dall’Ufficio” – questo era, in realtà, il riassunto del contenuto dei motivi accolti – ma sul rilevo che “la lettura della sentenza impugnata non consente di comprendere l’iter seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua statuizione ed in particolare non consente di comprendere quali siano i fatti che la Commissione tributaria regionale abbia ritenuto accertati”. Statuizioni che, in tutta evidenza, lasciavano la CTR libera di valutare liberamente i fatti e di scegliere l’iter motivazionale da seguire.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “omessa, apodittica, illogica, contraddittoria e perplessa motivazione” circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio dell’esistenza (o no) dell’operazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982, rappresentando che, nell’affermare tale esistenza, la sentenza impugnata avrebbe trascurato che l’inesistenza della stessa operazione risultava sia “dall’accertamento che di tale fatto venne operato dagli uffici tributari (…) in ambito di verifiche ispettive”, sia dalla sentenza di appello della CTR, sia dalla sentenza del Tribunale penale di Bologna, sia, infine, dalle dichiarazioni rese a verbale dallo stesso contribuente nel corso dell’accesso (dalle quali ultime sarebbe emerso che “il provento prodotto dall’operazione inesistente” è pari non all’intero importo di Lire 200.000.000,00 dei corrispettivi ricevuti ma alla differenza “tra i corrispettivi ricevuti e quelli restituiti” mediante i 10 assegni circolari di complessive Lire 173.000.000,00).

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha ritenuto provato il conseguimento del maggior corrispettivo di Lire 199.800.000,00 per la prestazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982, che il contribuente aveva registrato con l’indicazione dell’imponibile di sole Lire 200.000,00.

A tale fine, la CTR ha valutato il complesso degli elementi probatori acquisiti, inclusi quelli correttamente invocati dal contribuente.

In particolare, essa ha preso in considerazione sia la sentenza del Tribunale penale di Bologna – che, peraltro, ha rilevato essere non di assoluzione ma di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione e che ha, in ogni caso, valutato insieme con le complessive risultanze istruttorie – sia le dichiarazioni rese a verbale dal contribuente nel corso dell’accesso, anch’esse considerate quali elementi indiziari. Quanto alla sentenza di appello della CTR, il fatto che essa fosse stata annullata dalla Corte di cassazione perchè “non consente di comprendere l’iter seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua statuizione ed in particolare non consente di comprendere quali siano i fatti che la Commissione tributaria regionale abbia ritenuto accertati” escludeva in radice non solo che essa dovesse essere presa in considerazione come possibile fonte di convincimento ma, addirittura, che potesse esserlo. Quanto, infine, “all’accertamento che (dell’inesistenza dell’operazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982) venne operato dagli uffici tributari (…) in ambito di verifiche ispettive”, il ricorrente ha omesso di trascrivere il testo dell’atto che lo conterrebbe o, almeno, della parte significativa di esso, sicchè il motivo, sul punto, difetta di autosufficienza (ex plurimis, Cass., 21/05/2019, n. 13625).

Esaminati anche gli atti correttamente invocati dal contribuente, la CTR li ha valutati nel complesso delle risultanze probatorie e, sulla scorta di esse, in base al principio del libero convincimento del giudice, ha ritenuto provato l’effettivo conseguimento del maggiore corrispettivo di Lire 199.800.000,00 per la prestazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982, valorizzando, in tale senso, oltre all’esistenza di tale fattura (rinvenuta presso la Cattaneo Costruzioni Bergamo s.p.a.): l’emissione dell’assegno con il quale la stessa era stata pagata (anch’esso rinvenuto presso la Cattaneo Costruzioni Bergamo s.p.a.); l’introito dell’intera somma di Lire 200.000.000,00 da parte del contribuente, che l’aveva versata sul proprio conto corrente bancario; il fatto che lo stesso contribuente aveva dichiarato (dichiarazione riprodotta a pag. 3 della sentenza impugnata) che tale versamento “rappresentava il compenso (Lire 200.000.000 + Lire 30.000.000 per IVA) relativo ad un’indagine di mercato tendente a segnalare alla società Cattaneo Costruzioni Bergamo spa i nominativi di aziende idonee ad eseguire lavori di subappalto per la pitturazione del Centro Direzionale di Agrate”.

Da quanto esposto discende che la sentenza impugnata ha valutato l’intero complesso degli elementi probatori acquisiti, inclusi quelli correttamente invocati dal ricorrente, ritenendolo idoneo a dimostrare il conseguimento, non fittizio, del maggior corrispettivo di Lire 199.800.000,00.

Tale valutazione, risultando immune da vizi logici, non è sindacabile nel giudizio di cassazione. La censura in esame cela dunque, in realtà, una richiesta di revisione del giudizio di merito, pacificamente inibita a questa Corte sulla base del consolidato principio di diritto secondo cui, “(c)on la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (così, ex plurimis, Cass., 27/06/2019, n. 17258).

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 75 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, “n. 4” (recte: comma 4).

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, infatti, si è limitato a indicare le due disposizioni che assume essere state violate e falsamente applicate, senza però fornire alcuna argomentazione nè in ordine alla fattispecie astratta da esse recata nè, soprattutto, in ordine alle ragioni per le quali la sentenza impugnata ne avrebbe operato un’erronea ricostruzione. La formulazione del motivo non consente, perciò, di comprendere quale sia l’esatta censura che il ricorrente intendeva fare valere e, in particolare, quale sia l’esatto perimetro della questione di diritto che intendeva sottoporre al vaglio di questa Corte.

L’unico riferimento a un contenuto normativo che figura nel motivo di ricorso – quello all’irretroattività della disciplina “in forza della quale i costi e le spese relativi ad illeciti penalmente rilevanti sono ritenuti indeducibili (…) solo a far data dal 1 gennaio 2003” – oltre che essere del tutto generico, è, altresì, incongruente atteso che la sentenza impugnata ha escluso la deducibilità della spesa di Lire 173.000.000,00 non perchè “relativ(a) ad illeciti penalmente rilevanti” ma perchè non pertinente a ricavi e, in particolare, al ricavo dell’operazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982.

Va quindi confermata l’inammissibilità del motivo.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “motivazione apodittica, illogica, contraddittoria e perplessa” circa la negazione della deducibilità, come costo relativo all’operazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982, della somma di Lire 173.000.000,00, atteso che “gli elementi probatori accertati in sede tributaria e confermati in sede penale conducono univocamente a concludere che i costi non contabilizzati dal contribuente risultano non solo non fittizi, ma altresì pertinenti ed inerenti alla produzione del reddito relativo ai ricavi di cui alla fattura (OMISSIS)/82” in quanto i “fatti accertati e la complessiva operazione economica dagli stessi (…) evidenziata” e, in particolare, la “provata contestualità delle restituzioni rispetto agli incassi”, dimostra, “senza possibilità di alternative logicamente plausibili”, che tali “restituzioni rappresentano (…) un costo (…) inerente alla produzione del provento conseguito”.

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha valutato il complesso degli elementi probatori acquisiti, ritenendolo non idoneo a dimostrare la deducibilità, come costo relativo all’operazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982, della somma di Lire 173.000.000,00.

In particolare, la CTR ha ritenuto che il contribuente “non è riuscito a spiegare il motivo per cui abbia emesso nello stesso giorno assegni circolari per (Lire) 175.000.000 e consegnati gli stessi a tale rag. P. per compenso, come si legge in ricorso per riassunzione, e pertanto l’esborso di tale somma non può considerarsi spesa pertinente all’introito di Lire 230.000.000”.

A fronte di ciò, il contribuente – sul quale pacificamente grava l’onere di dimostrare il diritto alla deduzione – si è limitato, nel motivo di ricorso, da un lato, a invocare, in modo del tutto generico, “gli elementi probatori accertati in sede tributaria e confermati in sede penale”; dall’altro, a sottolineare la “contestualità delle restituzioni rispetto agli incassi”. Elemento, quest’ultimo, che è stato peraltro considerato dalla sentenza impugnata, che ha tuttavia escluso che il fatto che gli assegni circolari per 175.000.000 consegnati al P. siano stati emessi “nello stesso giorno” costituisca, di per sè, dimostrazione della correlazione di essi con l’operazione di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 1982.

Anche il presente motivo si risolve dunque in realtà nel tentativo di proporre un’inammissibile revisione delle valutazioni di merito effettuate dalla CTR, le quali sono insindacabili nel giudizio di cassazione, stante la mancanza di vizi logici.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d).

Il motivo è inammissibile.

Analogamente al terzo motivo di ricorso, anche in questo caso il ricorrente si è limitato a indicare la disposizione che assume essere state violata e falsamente applicata, senza fornire alcuna argomentazione nè in ordine alla fattispecie astratta da essa recata nè in ordine alle ragioni per le quali la sentenza impugnata ne avrebbe operato un’erronea ricostruzione, così precludendo a questa Corte la possibilità di comprendere quali siano i termini della questione di diritto a essa sottoposta.

6. In conclusione, il ricorso proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze deve essere dichiarato inammissibile e il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e sono liquidate, in favore della sola Agenzia delle entrate – non avendo il Ministro dell’economia e delle finanze svolto attività difensiva – come indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della stessa Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 08 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 5 dicembre 2019

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