Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31794 del 07/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 07/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 07/12/2018), n.31794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4459-2017 proposto da:

ASEC SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE ACERO 2/A presso lo studio BAZZANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato EMILIO MASCHERONI;

– ricorrente –

contro

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE MUSCARA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 938/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA

GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva accolto il ricorso di V.G., volto ad ottenere la rideterminazione del TFR a lui dovuto da Asec s.p.a., computando nella base di calcolo l’indennità videoterminale e le differenze retributive dovute per effetto dell’inquadramento in una categoria superiore, riconosciuti con sentenze dell’autorità giudiziaria, e liquidato in suo favore l’importo di Euro 40.854,51.

2. Asec Spa ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi, ed ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3. V.G. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso viene denunciata- ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione degli artt. 62 e 194 c.p.c., dell’art. 157 c.p.c., comma 2, dell’art. 2967 c.c., nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c.. La Corte territoriale avrebbe erroneamente disatteso le censure mosse dall’odierna ricorrente avverso le conclusioni del CTU di primo grado, le quali erano state fatte proprie dal Giudice di primo grado. Il CTU, esulando dal proprio mandato, avrebbe infatti computato, ai fini del calcolo del TFR, anche le differenze retributive maturate dal lavoratore nel periodo compreso tra il 1982 ed il 1991, esorbitando dai limiti del mandato ricevuto e acquisendo documentazione (anche dal c.t.p. dell’Asec) attestante tali differenze.

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha disatteso in motivazione l’analoga eccezione formulata da Asec s.p.a. nel ricorso in appello, argomentando che l’oggetto dell’acquisizione del c.t.u. (prospetti contabili resi disponibili dai c.t.p. relativi al periodo dal 1982 al 1992 al fine di calcolare il relativo T.F.R., la cui correttezza non era stata contestata dalle parti) non avevano valore probatorio dei fatti affermati dalla parte e come tali soggetti al regime processuale proprio di questi, bensì meri conteggi di emolumenti la cui spettanza al lavoratore era stata accertata da sentenze definitive, che per questo non avevano valore dimostrativo dell’an delle pretese, ma solo del quantum.

Nel caso in esame, il motivo non censura adeguatamente la motivazione della Corte d’appello nella parte in cui afferma che gli emolumenti oggetto del conteggio erano stati già riconosciuti al V. con sentenze definitive, sicchè la Corte territoriale risulta essersi attenuta al principio secondo il quale “il consulente tecnico d’ufficio può acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse, o quando emerga l’indispensabilità dell’accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio, mentre non può ricercare “aliunde” ciò che costituisce materia rimessa all’onere di allegazione e prova delle parti stesse” (Cass. n. 26893 del 15/11/2017). Il consulente tecnico d’ufficio ha infatti il potere di acquisire ogni elemento necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, anche se risultante da documenti non prodotti in giudizio, sempre che non si tratti di fatti che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni, debbono essere provati dalle parti (Cass. n. 12921 del 23/06/2015 e, da ultimo, n. 16989 del 27/06/2018).

Nè rileva che tale acquisizione da parte dell’ausiliare potesse eventualmente avere ecceduto i limiti del mandato ricevuto dal giudice di primo grado, essendo comunque funzionale all’ accertamento cui la consulenza era finalizzata (v. in tal senso Cass. n. 5965 del 25/03/2004).

2. Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata- ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la nullità della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e viene inoltre censurata la motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, in quanto la Corte avrebbe contraddittoriamente affermato la correttezza del calcolo delle differenze retributive operato dal CTU e dal Giudice sulla scorta di una consulenza resa in un altro giudizio, che aveva quantificato il dovuto in Lire 11.264.461 (v. ultima pagina della sentenza), mentre in altra parte della sentenza dava atto che tale calcolo produceva una somma diversa (Euro 9.512.808).

2.1. Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che “in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia”, decisività che il ricorrente ha l’onere di illustrare (v. da ultimo Cass. n. 22341 del 26/09/2017, Cass. n. 16102 del 02/08/2016).

Nel caso, non è invece adeguatamente illustrato se ed in che misura l’asserito errore avrebbe inciso sulla quantificazione finale degli importi, effettuata in Euro 40.856,51.

3. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, cui le parti non hanno opposto memorie, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.

5. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018

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