Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31784 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 05/12/2019), n.31784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20419-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA in persona dell’Amm.re delegato e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

CASTRO PRETORIO 122, presso lo studio dell’avvocato TONIO DI IACOVO,

che lo rappresenta e difende delega in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 667/2016 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 09/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. FRACANZANI MARCELLO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto dei ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’avvocato DI IACOVO che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Nuova Tirrena s.p.a. ha impugnato il silenzio rifiuto per il rimborso IRAP 2005, 2006 e 2007 relativo alla svalutazione dei crediti. Allegava la società contribuente che l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata deducendo dalla base imponibile le quote delle svalutazioni sui crediti risultanti dai bilanci dei precedenti esercizi, in base al criterio di riparto previsto dell’art. 106 TUIR, comma 3, nel testo ratione temporis vigente, secondo cui le svalutazioni esposte a bilancio erano deducibili nell’esercizio corrente fino ad una determinata percentuale del valore del credito iscritto e, per la parte eccedente, in quote costanti nei nove (già sette) esercizi successivi.

I gradi di merito erano favorevoli alla contribuente, nel frattempo divenuta Groupama Assicurazioni s.p.a., sull’assunto fondamentale per cui la novella introdotta con L. n. 248 del 2005, al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7 non incide su un credito già maturato, per così dire, “cristallizzato”, la cui soddisfazione in forma rateale non può scalfire un diritto quesito, pena l’irretroattività della norma tributaria.

Ricorre per cassazione l’Ufficio affidandosi ad unico articolato motivo, cui replica la contribuente con tempestivo controricorso.

In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico articolato motivo la difesa erariale prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7, come novellato dal D.L. n. 203 del 2005, art. 6, convertito con modifiche in L. n. 284 del 2005, nonchè L. n. 212 del 2000, art. 3, nella sostanza affermando che la portata dell’intervento normativo escluda la deducibilità dei residui crediti.

Più in particolare si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7, comma 1, laddove è stato interpretato nel senso che “i noni” delle svalutazioni, rinviati dagli esercizi precedenti, si siano consolidati in capo alla parte, anche in considerazione dell’indicazione degli stessi nei bilanci relativi.

Così -in tesi- non potrebbe essere, dal momento che il diritto alla deduzione in nove quote costanti di tali “noni” non avrebbe un ambito di operatività pluriennale e, quindi, non potrebbe configurarsi come “già acquisito” al momento dell’entrata in vigore delle predette modifiche normative; di qui la conclusione che le deduzioni consentite nella determinazione del reddito di esercizio potevano essere soltanto quelle previste dalla normativa in vigore nell’anno di riferimento (dovendosi ritenere che, quando la deduzione di una quota non è più consentita da una normativa sopravvenuta, la deduzione stessa non possa più essere operata anche se il suo ammontare è determinato in base a valori capitali contabilizzati in esercizi anteriori).

Il motivo è infondato. Questa Corte condivide e dà continuità a quanto in precedenza affermato (Sez. 5, Sentenza n. 5403 del 04/04/2012; Sez. 6 – 5, Sentenza n. 1111 del 21/01/2015; Sez. 5, Sentenza n. 26547 del 21/12/2016) secondo cui anche in materia di IRAP la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, poichè ad essa è stata riconosciuta rilevanza dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71, comma 3 (poi divenuto del medesimo D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3) per rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del mercato bancario ed assicurare pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico, e la relativa deduzione è soltanto rinviata, per noni, agli esercizi successivi, secondo il criterio di cui al citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3, per evitare il superamento del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio. Ne consegue che l’indeducibilità ai fini dell’IRAP, a partire dall’esercizio 2005, non attinge le quote (cd. “noni pregressi”) di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci e oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata.

In conclusione, è ormai risalente e consolidato l’orientamento della Sezione tributaria di questa Corte in tema “vecchi noni” o “noni pregressi” o “settimi noni”, nel senso di ritenere che la portata della novella non incide su diritti quesiti che, per legge, debbano essere rateizzati in più anni: in questo senso la pronuncia di riferimento è Cass. n. 5403/12 fino, da ultimo, Cass. n. 7410/19, cui il presente ricorso non offre motivi nuovi per discostarsi.

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della contribuente che liquida in Euro 7300/00 oltre a rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 5 dicembre 2019

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