Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31779 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 05/12/2019), n.31779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.N., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale

stesa a margine del ricorso, dall’Avv. Claudio Preziosi, che ha

indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliato in Roma, presso

la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 7965, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, il 10.2.2014

e pubblicata il 23.9.2014;

sentita la relazione svolta dal Consiglier Paolo Di Marzio;

ascoltato l’Avv. Claudio Preziosi, quale procuratore del ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

Umberto De Augustinis, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso;

la Corte osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.N. riceveva dall’Agenzia delle Entrate l’avviso di accertamento (OMISSIS), mediante il quale gli veniva contestata la omessa contabilizzazione di elementi positivi del reddito nella sua dichiarazione ai fini IRPEF, in riferimento all’anno 2007, per l’importo di Euro 749.651,00, ed era in conseguenza richiesto il pagamento di quanto dovuto per imposta e sanzioni. In particolare, l’Amministrazione finanziaria contestava la detenzione di attività finanziarie e di investimento non dichiarate presso la Banca HSBC, sede di (OMISSIS) (Svizzera).

Il contribuente proponeva opposizione innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, e premetteva di aver profittato del c.d. “scudo fiscale” e di aver rimpatriato in forma legittima dalla Svizzera la somma di Euro 329.372,00, tramite l’intermediario Banca Fideuram, versando la prevista imposta straordinaria agevolata. La CTP, comunque, accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo illegittima, ai sensi dell’art. 191 c.p.c., l’acquisizione e la conseguente utilizzazione della c.d. (OMISSIS), un prospetto delle liquidità detenute all’estero fornita dall’autorità francese, da cui emergevano le disponibilità detenute dal T. in Svizzera e non dichiarate.

L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione assunta dalla CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli, sezione staccata di Salerno. La CTR, in riferimento alla (OMISSIS), reputava “la piena legittimità dell’acquisizione dei dati a seguito di rituale richiesta all’amministrazione fiscale francese, avvenuta nel pieno rispetto delle procedure e dei trattati, prevista peraltro dalle Dir. Europee (n. 77 del 1999 CE)”. Osservava quindi che il contribuente non aveva offerto alcun indizio della erroneità dell’intestazione della scheda iscritta a suo nome nella lista. Riteneva, inoltre, che sia dal PVC che dall’avviso di accertamento se emergesse che la divisa in cui risultavano espresse le disponibilità del contribuente era il dollaro USA. Inoltre, valutava che le somme rimpatriate mediante lo scudo fiscale non avevano alcun riferimento con la somma contestata. In conseguenza accoglieva il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, e confermava validità ed efficacia del contestato avviso di accertamento.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale campana ha proposto ricorso per cassazione T.N., affidandosi a sei motivi di gravame. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il ricorrente ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Il contribuente contesta mediante il suo primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 240 c.p.c., del D.L. n. 259 del 2006, art. 3, (come conv. in L. n. 281 del 2006), e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR impugnata omesso di pronunciarsi circa la non utilizzabilità dei dati contenuti nella (OMISSIS) nel caso di specie, essendone stata ritenuta la illegittimità dell’acquisizione, e disposta la distruzione, in sede penale.

1.2. – Con il secondo motivo di gravame il contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, in combinato disposto con la L. n. 212 del 2000, art. 7, per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato l’illegittimità dell’accertamento, perchè fondato su atti non conosciuti nè ricevuti dal contribuente.

1.3. – Mediante il terzo motivo di impugnazione il contribuente censura la decisione impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per essere la CTR incorsa nel vizio di motivazione e nella violazione del D.L. n. 78 del 2009, artt. 12 e 13 bis, nonchè del D.L. n. 350 del 2001, art. 14, in relazione all’art. 2697 c.c., per non aver tenuto conto degli effetti preclusivi ed estintivi dello scudo fiscale, avendo il contribuente rimpatriato un valore di Euro 221.900,00 in titoli.

1.4. – Con il quarto motivo di ricorso il contribuente sostiene la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in conseguenza della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1,49,54,61 e 22, per essere la CTR incorsa nel vizio di omessa pronuncia, in materia di natura sostanziale della disposizione di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 12, e di conseguente sua inapplicabilità retroattiva all’anno d’imposta oggetto della pretesa impositiva, il 2006.

1.5. – Mediante il quinto motivo di impugnazione il ricorrente contesta, nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione in ordine ad un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’accertamento della divisa in cui le pretese disponibilità estere del contribuente risultavano espresse nella fiche della (OMISSIS).

2.1. – Mediante il suo primo motivo di ricorso il contribuente lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in cui ritiene sia incorsa la impugnata CTR per aver ritenuto utilizzabili nei suoi confronti i dati contenuti nella c.d. (OMISSIS), sebbene nel giudizio penale instaurato in materia fosse già stata disposta la distruzione degli stessi.

Questa Suprema Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in materia, esprimendo principi che le difese del contribuente non inducono a rivedere. Nella sentenza n. 8605 del 2015 la Corte di legittimità ha sinteticamente concluso che “l’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento della evasione fiscale può – in linea di principio avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco)”. Merita di essere chiarito, in proposito, che la Suprema Corte si è pronunciata in un giudizio in cui il contribuente, proprio come l’odierno ricorrente, era stato sottoposto ad accertamento fiscale per aver investito capitali all’estero non avendoli dichiarati, e le somme risultavano detenute proprio presso una sede svizzera della stessa Banca, la HSBC, essendo già stata disposta la distruzione dei dati contenuti nella lista (in giudizio relativo a diverso contribuente), ed avendo il contribuente invocato la inutilizzabilità dei dati ai sensi dell’art. 240 c.p.c., proprio come nella presente vicenda processuale. La Corte di legittimità, alla cui integrale motivazione si opera espresso richiamo, ha innanzitutto chiarito che pure in quella vicenda, “l’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di F.C.B. un atto di contestazione con il quale sanzionava il contribuente per l’omessa compilazione del modello RW nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2006, in relazione alle movimentazioni del conto corrente esistente presso la HSBC Private Bank S.A. avente sede in (OMISSIS) intestato al predetto. Gli elementi sui quali si era fondata la contestazione, rappresentati da una scheda di sintesi – denominata “(OMISSIS)” contenente indicazioni del conto, del suo titolare e delle movimentazioni eseguite – erano stati trasmessi dall’autorità finanziaria francese attraverso i canali di collaborazione previsti dalla Dir. n. 77/799/CEE, e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata da Italia e Francia il 5.10.1989 e ratificata con la L. n. 20 del 1992, recepita nella legislazione italiana dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis”. La Suprema Corte ha quindi sottolineato in motivazione, tra l’altro, che è “errata la ritenuta inutilizzabilità – da parte della CTR – dei documenti in ragione della provenienza illecita – trafugamento dei dati bancari da parte di un ex dipendente della banca svizzera HSBC, F.H. acquisiti successivamente dall’autorità francese… la giurisprudenza di questa Corte è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio – sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari (D.L. n. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, successivamente confermato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20), ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale” (Cass. nn. 22984, 22985 e 22986 del 2010; Cass. n. 13121/2012).

Si riconosce quindi, generalmente, che “non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sè, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.), cfr. Cass. n. 24923/2011. Non può dubitarsi nemmeno della piena utilizzabilità di elementi – qui la (OMISSIS) – rispetto ai quali l’eventuale illiceità si colloca a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale (francese), essendo riferibile personalmente al Falciani. In questa direzione esistono precisi indici normativi dai quali inferire la piena utilizzabilità del materiale del quale qui si discute. Ed infatti, tanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, che l’art. 41, comma 2, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, prendono esplicitamente in considerazione l’utilizzo di elementi “comunque” acquisiti, e perciò anche nell’esercizio di attività istruttorie attuate con modalità diverse da quelle indicate nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Tali disposizioni individuano, quindi, un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima – di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza di un fatto rilevante e non direttamente conosciuto… Nè l’utilizzazione, nel procedimento amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti provenienti dalla (OMISSIS) determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente”, Cass. n. 8605 del 2015.

In applicazione di questi principi il primo motivo di ricorso risulta quindi infondato, dovendo piuttosto rettificarsi la osservazione della CTR secondo cui “resta fermo il potere del giudice tributario di valutare le informazioni illecitamente acquisite quali elementi indiziari che possono concorrere, unitamente ad altri elementi probatori, a formare il convincimento della propria decisione” (sent. CTR, p. 2), dovendo piuttosto confermarsi che “anche un solo indizio può risultare già di per sè idoneo a giustificare la pretesa fiscale, essendo ormai ferma la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che in materia tributaria, è sufficiente, quale prova presuntiva, un unico indizio, preciso e grave (ancorchè l’art. 2729 c.c., si esprima al plurale) e la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevolezza e probabilità – cfr. Cass. n. 656/2014; Cass. n. 12438/2007; Cass. n. 28047/2009; Cass. n. 27063/2006”, Cass. n. 8605 del 2015, principio recentemente confermato, proprio in riferimento agli elementi indiziari assicurati dalla (OMISSIS), da Cass. n. 3276 del 2018.

2.2. – Con il secondo motivo di ricorso il contribuente contesta la violazione di legge in cui ritiene sia incorsa la impugnata CTR per non aver ritenuto la nullità dell’avviso di accertamento notificato al contribuente per non essere stati portati a sua conoscenza gli atti richiamati. Lo stesso ricorrente, si osservi, riconosce che l’avviso di accertamento risulta fondato sul processo verbale di costatazione redatto nei suoi confronti dalla Guardia di Finanza e regolarmente notificatogli, nonchè su elementi informativi di natura finanziaria acquisiti presso l’Amministrazione finanziaria francese, che invece non gli sarebbero stati integralmente comunicati. Invero è lo stesso contribuente che allega al suo ricorso la “(OMISSIS)” che lo riguarda, estratta dalla (OMISSIS), cioè il documento di sintesi della sua posizione creditizia con indicazione delle generalità del titolare del conto (nome, cognome, data di nascita) e delle movimentazioni eseguite, e può pertanto rilevarsi che non appare conforme all’aspetto del documento l’affermazione del ricorrente secondo cui si tratterebbe di “fogli anonimi ed informali”, visto che risultano timbrati e siglati e sono completi di indicazioni specifiche in ordine al conto ed al suo titolare, incluso il suo indirizzo di reperibilità.

Allo stato degli atti di causa, pertanto, deve ritenersi che gli elementi di natura finanziaria provenienti dalla Francia di cui disponevano i verificatori della Guardia di Finanza e l’Amministrazione finanziaria, si risolvessero nella (OMISSIS) indicata, di cui il ricorrente ha dimostrato di avere piena conoscenza. Del resto è sul fondamento della (OMISSIS) che l’avviso di accertamento è stato redatto, non di documentazione ulteriore.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

2.3. – Mediante il suo terzo motivo di ricorso il contribuente contesta, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, la decisione della CTR impugnata per non aver tenuto conto delle conseguenze che dovevano derivare sulla pretesa impositiva dall’avere egli aderito al c.d. scudo fiscale, riportando in Italia e sottoponendo alla tassazione straordinaria prevista ingenti capitali.

Invero la questione della incidenza dell’adesione allo scudo fiscale del contribuente è stata specificamente presa in considerazione dalla CTR, ed è stata pure fatta oggetto di specifiche osservazioni da parte del giudicante, risulta pertanto da escludersi che ricorra il vizio di motivazione nella forma applicabile al giudizio. Invero la CTR ha osservato che “le somme legittimamente rimpatriate con lo scudo fiscale, non hanno alcun riferimento alla somma contestata per cui alcun errore può essere invocato nella determinazione del quantum contestato in evasione”. Sarebbe stato preciso onere del ricorrente, pertanto, nel presente giudizio di natura impugnatoria, indicare in quali atti del procedimento potesse rinvenirsi la prova che le somme rimpatriate con lo scudo fiscale potessero considerarsi parte delle somme contestate, indicando pure quando avesse proposto le proprie critiche e con quali formule, e come avesse successivamente diligentemente coltivato le censure, in modo da consentire a questo Giudice di legittimità il controllo che gli compete in ordine alla tempestività e congruità delle censure proposte. Tanto deve osservarsi anche a prescindere dalla scarsa comprensibilità delle affermazioni del contribuente, il quale richiama l’avviso di accertamento, ove si contesta la omessa contabilizzazione di componenti positivi di reddito ai fini Irpef di Euro 749.651,00, e sostiene che “tale somma è sostanzialmente corrispondente al valore di carico delle azioni Telecom scudate, pari a Euro 1.232.500,00”. Invero, i due valori sono evidentemente assai diversi. Non solo, il contribuente non provvede ad indicare dove si rinvenga, nell’incartamento dibattimentale, la prova che il valore di carico delle azioni fosse quello da lui indicato.

2.4. – Non sussiste, invero, neppure il vizio di nullità della sentenza denunciato con il quarto motivo di ricorso. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. di recente, Cass. ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; n. 20718 del 2018, n. 17956 del 2015, n. 13425 del 2016) non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. Nel caso in esame la CTR ha espressamente pronunciato sulla fondatezza, nel merito, della pretesa impositiva argomentando che l’Ufficio aveva pienamente assolto all’onere probatorio attraverso idonee presunzioni.

Tale argomentazione svolta dal Giudice di appello appare conforme ai principi espressi da questa Corte in materia e come tale rimane esente da censura, con conseguente rigetto del motivo di gravame.

Questa Corte (Cass. n. 2662 del 2 febbraio 2018; n. 33223 del 21 dicembre 2018) ha, invero, statuito che la presunzione di evasione sancita, con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura processuale, essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, ed inoltre perchè una differente interpretazione potrebbe -in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., – pregiudicare l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione.

Tale principio, peraltro, non risulta sconfessato dal Giudice di appello il quale ha fondato la sua decisione (come statuito da Cass. n. 16951/2015 cit.) correlando il principio di diritto relativo all’utilizzabilità della cd. (OMISSIS), al pari di qualsiasi altro elemento indiziario, quanto agli effetti, agli obblighi dichiarativi e alle presunzioni di redditività stabiliti dalla L. n. 167 del 1990, nel testo vigente ratione temporis, a carico del contribuente per i trasferimenti di denaro ed altri valori verso l’estero. Conf. Cass. n. 31085/2019 inter partes.

Il Giudice di appello, partendo dal dato che il T. era intestatario di un conto corrente in un Paese a fiscalità privilegiata, di cui non aveva fatto denuncia ai fini fiscali e che sul conto era state fatte movimentazioni nell’anno oggetto di contestazione, ha correttamente ritenuto provata la pretesa tributaria sulla base di presunzioni semplici, in assenza di idonea prova contraria fornita dal contribuente.

Infatti la non contestata presenza di disponibilità finanziarie sul conto aperto presso l’Istituto bancario svizzero, intestato al T., lascia ritenere seppure a livello presuntivo, che l’Amministrazione, mediante la raccolta dei dati emergenti dal conto corrente bancario, abbia assolto al suo onere probatorio (cosi, in fattispecie analoga, Cass. n. 33223/2018 cit., che richiama il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui qualora l’accertamento si fondi su verifiche di conti correnti bancari l’onere probatorio dell’Amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti da detti conti correnti, determinandosi in tal caso un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente il quale deve dimostrare, non come prova generica, ma con prova analitica per ogni versamento bancario che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale) D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, (Cass. 31085/2019).

Occorre, altresì, confermare, quanto agli elementi raccolti dalle Autorità francesi, che pure un solo indizio può risultare di per sè idoneo a giustificare la pretesa fiscale, se grave e preciso, ovvero dotato dell’alta valenza probabilistica connessa alla provenienza interna dei dati bancari. (Cass. n. 8605/2015; n. 9760/2015; n. 7353/2018).

La Commissione regionale non è, pertanto, incorsa nella denunciata violazione di legge avendo fatto corretto uso dei criteri di ripartizione dell’onere della prova e valutato tutti i fatti sottoposti al suo esame.

2.5. – Con il quinto motivo di ricorso il contribuente lamenta la mancata pronuncia della CTR impugnata circa la divisa in cui risultavano espresse le sue disponibilità estere, detenute presso la HSBC di (OMISSIS), nella (OMISSIS). Allega in proposito il ricorrente di aver proposto già nel primo grado del giudizio, e poi nuovamente in appello, la contestazione secondo cui essendo il valore delle disponibilità del T. espresso in dollari, non è dato sapere nella divisa “dollaro” di quale Paese (USA, Canada, Australia, etc.) risultasse calcolato, con la conseguenza che non era possibile ritenere accertato l’ammontare in Euro del controvalore dei suoi investimenti svizzeri, con la conseguenza che nessuna attendibilità poteva avere la somma calcolata nella sua disponibilità ai fini Irpef nell’anno 2006. La contestazione non appare fondata. Invero dalla (OMISSIS) relativa al contribuente contenuta nella (OMISSIS), per come riprodotta dal ricorrente, non emerge quale sia la divisa in cui sono espresse le sue disponibilità. Tuttavia l’intera (OMISSIS) riporta valori espressi in dollari USA, come è del resto usuale nei conti della natura di quello intrattenuto presso la sede ginevrina della HSBC, secondo quanto rilevato pure nelle diverse decisioni giudiziarie, ormai divenute definitive, e relative alle (OMISSIS) estratte dalla lista. Il contribuente non offre del resto elementi di valutazione i quali possano indurre a ritenere che, nel suo caso, la divisa fosse diversa.

2.6. – Mediante il sesto motivo di gravame il ricorrente contesta che la CTR è incorsa nella nullità della sentenza pronunciata per avere omesso ogni decisione in ordine agli originari motivi di contestazione proposti dal contribuente, riproposti in grado di appello, e diversi da quello accolto dalla CTP, che ha conseguentemente ritenuto assorbiti tutti gli altri.

La critica risulta mal proposta. Il ricorrente, infatti, non provvede a riportare l’originaria formulazione delle proprie contestazioni circa il merito della pretesa tributaria nel primo grado del giudizio. Si limita, infatti, a riprodurre un passaggio di quelle che afferma essere le proprie controdeduzioni in sede di appello, in cui contesta, a quanto è dato comprendere, l’inattendibilità dell’accertamento effettuato nei suoi confronti lamentando che le sue medesime disponibilità sarebbero state sottoposte a tassazione sia nell’anno 2005 che nell’anno 2006. Orbene, il presente giudizio ha ad oggetto soltanto un avviso di accertamento relativo alle somme dovute dal contribuente in relazione a disponibilità non dichiarate nell’anno 2007 (redditi 2006) e non risulta esservi collegamento con un accertamento IRPEF relativo all’anno 2005, di cui il contribuente neppure riporta gli estremi.

Anche queste ulteriori contestazioni proposte dal ricorrente devono pertanto essere rigettate.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da T.N. e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese di lite, che liquida in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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