Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3177 del 02/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 02/02/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 02/02/2022), n.3177
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14326-2020 proposto da:
A.G., quale amministratore unico della SAN GIORGIO
SERVICE S.R.L., corrente in (OMISSIS), rappresentato e difeso,
giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato
Daniele Boscolo Rizzo, con cui elettivamente domicilia in Roma, al
viale Mazzini n. 121, presso lo studio dell’Avvocato Vittorio
Suster.
– ricorrente –
contro
G.A. e C.A., entrambi rappresentati e difesi,
giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dagli
Avvocati Giovanni Molin e Maria Curti, con cui elettivamente
domiciliano presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla via Paolo
Emilio n. 32.
– controricorrenti –
avverso il decreto n. cronol. 836/2020 della CORTE di APPELLO di
VENEZIA, depositato in data 04/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del giorno 10/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott.
EDUARDO CAMPESE.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. A.G., quale amministratore unico della San Giorgio Service s.r.l., chiese al Tribunale di Venezia, ex art. 2436 c.c., l’omologazione della delibera dell’assemblea sociale del 16 aprile 2019 con cui era stato approvato il nuovo statuto di quest’ultima adeguato alla normativa vigente.
1.1. L’adito tribunale rigettò la richiesta con decreto del 16 ottobre 2019, senza nulla dire, peraltro, in ordine alla invocata declaratoria di inammissibilità dell’intervento spiegato, in quel procedimento, da G.A. ed C.A., soci di minoranza della menzionata società.
2. Il reclamo dell’ A., nella indicata qualità, contro quel decreto è stato respinto dalla Corte d’Appello di Venezia, la quale, con decreto del 4 marzo 2020, n. 836, ha opinato che: i) le maggioranze rafforzate previste originariamente dall’art. 9 dello statuto trovano evidente ragione nella composizione del capitale sociale e appaiono formulate, indipendentemente dal precedente assetto, nell’ottica di consentire all’assemblea di deliberare, in una così stretta base societaria, solo attraverso l’accordo di una significativa maggioranza dei soci; ii) le nuove norme in materia di deliberazioni assembleari sono applicabili salvo diversa disposizione statutaria, quindi appartengono alle disposizioni derogabili; iii) la norma transitoria espressamente prevedeva la possibilità di adeguare lo statuto alle disposizioni inderogabili entro il 30.9.2004 con maggioranze semplificate al fine di anticipare l’inserzione automatica prevista con effetto dall’1.10.2004 e, con le medesime maggioranze agevolate, consentiva l’adozione di clausole escludenti l’applicazione di nuove disposizioni di legge derogabili. Decorso il termine, le disposizioni non soggette alla sostituzione automatica, perché derogabili, hanno conservato efficacia; iv) le originarie disposizioni dello statuto regolano entrambi i quorum senza limitarsi a un generico richiamo delle disposizioni di legge allora vigenti, dovendosi escludere che la disposizione statutaria risponda all’intento di determinare l’automatico recepimento delle norme via via vigenti; v) incontestato che la società non si è avvalsa delle previsioni della norma transitoria nel temine dalla stessa assegnato per l’introduzione di nuove disposizioni derogabili, una modifica statutaria di disposizioni derogabili non è più adottabile, né con procedura semplificata né con le diverse maggioranze previste dall’art. 2479-bis c.c.; vi) le nuove disposizioni, proprio perché derogabili, non possono ritenersi automaticamente inserite nello statuto, come invece previsto per le disposizioni inderogabili; vi) la modifica con le maggioranze non qualificate finirebbe per essere contraria al principio di buona fede, come ritenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità; viiz) l’intervento dei soci nel procedimento di prime cure era inammissibile, così giustificando la compensazione delle spese di entrambi i gradi di merito.
3. Avverso questo decreto ricorre per cassazione, ex art. 111 Cost., l’ A., nella predetta qualità, affidandosi a due motivi. Resistono, con controricorso, G.A. ed C.A., concludendo, pregiudizialmente, per l’inammissibilità dell’avversa impugnazione perché concernente un provvedimento privo di carattere decisorio, e, in via gradata, per il rigetto della stessa.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 223-bis disp. att. c.c.; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento agli artt. 1362 e ss. c.c.; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”. Si assume che il giudice del reclamo, pur partendo da un corretto presupposto, vale a dire la mancata adozione di misure volte ad escludere l’applicabilità delle nuove norme, era arrivato, alla fine, ad affermare, erroneamente, di non ritenere efficace, nel caso di specie, l’art. 2479-bis c.c.;
II) “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento all’art. 92 c.p.c.”, contestandosi l’avvenuta compensazione delle spese di giudizio di entrambi i gradi nonostante la soccombenza degli intervenuti che non avrebbero potuto, in alcun caso, partecipare al procedimento in questione.
2. In relazione al suo primo motivo, l’odierno ricorso deve considerarsi inammissibile avendo questa Corte già reiteratamente statuito che i decreti emessi dalla corte d’appello, in sede di reclamo, contro provvedimenti pronunciati in materia di omologazione di atti societari non sono suscettibili di ricorso straordinario per cassazione Cass. n. 25576 del 2014, in motivazione; Cass. n. 26363 del 2011; Cass. n. 522 del 2005; Cass., SU., n. 3073 del 2003; Cass. n. 5228 del 1997; Cass. n. 9983 del 1993; Cass. n. 4823 del 1988).
2.1. Dal riportato orientamento, da ritenersi ormai consolidato, il Collegio non vede ragione di discostarsi, dal momento che tali provvedimenti sono privi di carattere decisorio, essendo adottati dall’autorità giudiziaria sulla base di un controllo preventivo di legittimità degli atti sottoposti a verifica, il quale non comporta alcuna statuizione su diritti dei soggetti coinvolti, che restano tutelabili nelle forme ordinarie e si pongono, pertanto, al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 111 Cost., comma 7, (cr. Cass. n. 522 del 2005, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 25576 del 2014).
3. Il medesimo ricorso è ammissibile, invece, avverso la statuizione relativa all’avvenuta compensazione delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (cfr., ex multi r, Cass. n. 15995 del 2020; Cass. n. 3668 del 2019; Cass. n. 212 del 2019). Si è al cospetto, invero, in parte qua, di un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, incidente sui diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile (cfr., sostanzialmente in tal senso, Cass. n. 212 del 2019; Cass. n. 9348 del 2017; Cass. n. 4610 del 2017; Cass. n. 21756 del 2015; Cass. n. 2986 del 2012; Cass. n. 14524 del 2011; Cass., SU, n. 20957 del 2004).
3.1. La corrispondente doglianza di cui al secondo motivo, però, si rivela infondata per la dirimente ragione che il procedimento di cui all’art. 2436 c.c. è di giurisdizione volontaria, sicché non prevede statuizioni sulle spese.
4. In definitiva, il ricorso deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (Efr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, nella indicata qualità, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna A.G., quale amministratore unico della San Giorgio Service s.r.l., al pagamento delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2022