Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31756 del 07/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 07/12/2018), n.31756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15195-2014 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 90,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PATRIZI, che lo rappresenta

e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 70/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 03/06/2013 R.G.N. 106/2012.

Fatto

RILEVATO

1. che con sentenza n. 70/2013 la Corte di appello di Perugia ha confermato il rigetto della domanda di S.M. intesa all’accertamento dello svolgimento delle superiori mansioni di quadro ed alla condanna della datrice di lavoro Trenitalia s.p.a. al relativo inquadramento ed al pagamento delle connesse differenze retributive;

1.1. che la statuizione di conferma è stata fondata sulla mancata allegazione nel ricorso di primo grado delle declaratorie del profilo rivestito e di quello rivendicato, sulla carenza di raffronto tra le mansioni svolte e le declaratorie contrattuali di riferimento e sulla mancata evidenziazione delle ragioni che giustificavano la dedotta corrispondenza delle mansioni in concreto svolte con il superiore livello preteso, il mero deposito degli estratti del contratto collettivo non potendo sopperire alla rilevata carenza dell’atto introduttivo. La Corte territoriale ha ulteriormente osservato di condividere, comunque, la valutazione del giudice di prime cure il quale, pur non essendovi tenuto in ragione delle riscontrate carenze dell’atto introduttivo, “per mero scrupolo motivazionale”, avvalendosi delle declaratorie riportate nella memoria di costituzione della società in prime cure (da reputarsi relative solo all’ultimo dei contratti collettivi applicati al rapporto), aveva escluso nel merito la fondatezza della pretesa al superiore inquadramento per difetto dei prescritti requisiti di autonomia gestionale propria degli appartenenti alla categoria quadri, della preposizione a impianto o ad unità organizzativa di rilievo e per assenza di responsabilità diretta nei risultati dell’attività produttiva;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.M. sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 380- bis.1 c.p.c.; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 115 c.p.c. e/o error in procedendo. Premesso di avere, in prime cure, depositato l’estratto dei contratti collettivi succedutisi nel periodo oggetto di pretesa, deduce violazione del principio secondo il quale il giudice deve decidere la causa sulla base delle prove acquisite e dei documenti prodotti dalle parti; censura, infatti, la sentenza di appello per avere affermato che nello specifico non solo difettava il raffronto tra mansioni svolte e declaratorie contrattuali ma che era stata omessa la stessa allegazione di queste ultime. Deduce, inoltre, violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice di appello pronunziato solo su una parte della domanda laddove aveva confermato la statuizione di prime cure circa l’infondatezza nel merito della pretesa azionata, statuizione dichiaratamente limitata solo all’ultimo periodo in controversia, decorrente dall’anno 2002;

2. che con il secondo motivo deduce “violazione dell’art. 414 c.p.c. come interpretato dalla giurisprudenza di codesta Suprema Corte e/o, dell’art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3 e/o error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4)” censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto la originaria domanda carente da un punto di vista contenutistico;

3. che con il terzo motivo deduce carenza assoluta o insufficienza e/o contraddittorietà di motivazione su un punto decisivo della controversia censurando la sentenza impugnata per avere, con motivazione insufficiente e contraddittoria che non teneva conto delle argomentazioni a riguardo formulate nell’atto di appello e della concreta fattispecie in esame, affermato di condividere la valutazione, formulata ad abundantiam del giudice di prime cure, in ordine alla riconducibilità delle mansioni espletate all’inquadramento attribuito;

4. che con il quarto motivo deduce, in via subordinata, violazione dell’art. 414 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per non avere dichiarato la nullità del ricorso una volta rilevata la carenza ” degli elementi di diritto sui quali in ricorso si fonda la domanda”;

5. che il primo motivo di ricorso laddove denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c. è inammissibile per difetto di pertinenza con le effettive ragioni del decisum ravvisabili, nel profilo che viene in esame, in una carenza contenutistica del ricorso di primo grado scaturita dalla mancata riproduzione delle declaratorie contrattuali di riferimento e della mancata evidenziazione delle ragioni per le quali l’inquadramento attribuito dalla società avrebbe dovuto ritenersi inadeguato;

5.1. che la prospettazione di violazione dell’art. 115 c.p.c. fondata sulla mancata considerazione degli estratti dei contratti collettivi depositati in prime cure non appare, pertanto, conferente in quanto la violazione denunziata è destinata ad operare sul piano della verifica probatoria della pretesa azionata e non sul piano della verifica dell’adeguatezza contenutistica del ricorso di primo grado, le cui riscontrate carenze sono alla base della decisione di appello. L’errore di diritto riconducibile alla violazione dell’art. 115 c.p.c., ravvisabile nell’ipotesi in cui il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (ex plurimis, Cass. 27/12/2016 n. 27000; Cass 10/06/2016 n. 11892), presuppone, infatti, già superato con esito positivo il vaglio di conformità del ricorso introduttivo al modello legale delineato dall’art. 414 c.p.c.;

5.2. che non sussiste il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., non formalmente e specificamente enunciato in rubrica ma prospettato nella illustrazione del motivo e fondato sull’avere il giudice di appello dichiarato di condividere anche la valutazione effettuata ad abundantiam del giudice di prime cure in ordine alla infondatezza nel merito della domanda con riguardo al periodo successivo all’anno 2002, atteso che tale affermazione costituisce mera argomentazione aggiuntiva ed ulteriore trovando le ragioni del rigetto della intera domanda fondamento nella rilevata carenza contenutistica del ricorso di primo grado;

6. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza. E’ noto che secondo recenti arresti di questa Corte, ai quali si ritiene di dare continuità, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Un. 22/05/2012 n. 8077; Cass. 28/11/2014 n. 25308; Cass. 21/04/2016 n. 8069);

6.1. che, pertanto, in base alla giurisprudenza richiamata, era necessaria la riproduzione o comunque il riassunto del ricorso di primo grado al fine consentire il diretto esame dell’atto onde verificarne la completezza contenutistica. Parte ricorrente non ha osservato tale onere posto che la tecnica di redazione utilizzata nella illustrazione del motivo, caratterizzata dalla riproduzione testuale di alcuni punti soltanto del ricorso di primo grado, estrapolati dal complessivo contesto di riferimento, punti sostanzialmente riferiti al contenuto delle mansioni espletate, non consente di stabilire se effettivamente sussistevano le lacune riscontrate e se era possibile, pur in assenza della riproduzione delle declaratorie di riferimento, in base all’interpretazione complessiva dell’atto, ritenere comunque evidenziati i profili caratterizzanti le mansioni della qualifica reclamata e le ragioni dell’asserita riconducibilità agli stessi delle mansioni effettivamente svolte, come prescritto (Cass. 26/03/2014 n. 7123; Cass. 21/05/2003 n. 8025);

7. che il terzo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità determinati: a) dalla sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare la valutazione nel merito della pretesa azionata stante il rigetto del motivo con il quale era investita la statuizione, configurante autonoma ratio decidendi, relativa alle carenze contenutistiche del ricorso di primo grado; b) dalla modalità di deduzione del mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non conforme alla configurazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis; come chiarito, infatti, da questa Corte, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 12/10/2017 n. 23940; Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053), fatto storico neppure indicato dall’odierno ricorrente;

8. che il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto muove dall’inesatta individuazione delle ragioni alla base del decisum di appello; invero la sentenza impugnata non ha fondato la valutazione di inadeguatezza della domanda introduttiva sulla carente individuazione degli elementi di diritto sui quali il ricorso si fonda, come, invece, assume parte ricorrente; il giudice di appello non ha evidenziato, infatti, alcuna perplessità o difficoltà ricostruttiva in ordine agli aspetti giuridici o agli elementi di fatto della pretesa azionata la quale è stata puntualmente ricondotta dalla Corte di merito all’ambito della pretesa al superiore inquadramento fondata sull’espletamento, nel periodo dedotto, di mansioni corrispondenti alla qualifica rivendicata; il giudice di appello si è, infatti, limitato ad evidenziare una carenza contenutistica della originaria domanda sotto il profilo della mancata evidenziazione delle ragioni, da svilupparsi con riferimento alle declaratorie contrattuali, per le quali la pretesa azionata doveva ritenersi fondata. In altri termini, il giudice di appello non ha mai mostrato di porre in discussione la possibilità di identificazione del contenuto della domanda sotto il profilo della causa petendi e del petitum avendo solo rappresentato una lacunosità contenutistica del ricorso in ordine a aspetti rilevanti della concreta fattispecie sottoposta al vaglio giurisdizionale e tale da non consentire alcuno sviluppo del ragionamento cd. trifasico proprio della verifica della pretesa al superiore inquadramento (Cass. 21/05/2003 n. 8025) necessario al fine della verifica di riconducibilità delle mansioni svolte alla declaratoria rivendicata;

9. che le spese di lite sono liquidate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018

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