Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31754 del 07/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/12/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 07/12/2018), n.31754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10890-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.B.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5500/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/04/2013 R.G.N. 5242/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESA BONFRATE per delega verbale Avvocato LUIGI

FIORILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 18.4.2013 la Corte d’appello di Napoli ha respinto il gravame di Poste Italiane spa avverso la sentenza del tribunale della stessa città che aveva accolto il ricorso di D.B.S. avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di Poste spa con cui era stato trasferito presso altro ufficio, Succursale 12, della filiale di (OMISSIS) in data 28.1.2002, con mutamento di mansioni non equivalenti alle precedenti e la conseguente condanna della società a riammetterlo nel precedente posto di lavoro ed a risarcirgli il danno professionale.

La corte territoriale, dopo aver premesso che nel caso in esame non poteva ravvisarsi un trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c., ha comunque condiviso l’iter argomentativo del primo giudice, ritenendo sussistere il demansionamento lamentato dal lavoratore, essendo incontestato che questi fosse inquadrato nell’Area quadri di 2 livello, come accertato da altra sentenza d’appello passata in giudicato. In particolare la corte di merito ha accertato che le mansioni svolte in precedenza, di addetto all’ufficio contenzioso con compiti anche di coordinamento nei confronti degli altri colleghi, erano connotate da un rilevante grado di autonomia ed ha ritenuto che le nuove mansioni attribuitegli, di sportellista, fossero chiaramente dequalificanti rispetto alle precedenti, in quanto più connotate dal attività manuali e comunque ripetitive.

La corte napoletana ha poi confermato anche la statuizione relativa al riconoscimento e liquidazione del danno professionale derivato dalla dequalificazione, danno che nasceva dall’evidente e stridente contrasto tra le mansioni precedentemente svolte e quelle di sportellista, affatto diverse e per le quali non erano utilizzabili il bagaglio professionale e le cognizioni tecniche prima acquisite, con evidente impossibilità di preservarle. E’ stata poi confermata la determinazione del danno professionale effettuata dal tribunale, che lo aveva liquidato nella misura del 50% della retribuzione dovuta a far tempo dal 28.1.2002, data della nuova collocazione presso la succursale dell’ufficio postate.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane affidato ad un solo articolato motivo, illustrato poi da memoria ex art.380 1 bis c.p.c.. E’ rimasto intimato il D.B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di gravame la ricorrente deduce l’omesso esame decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, individuato nella (mancata) prova del danno professionale.

Secondo la ricorrente la corte avrebbe confuso la necessaria prova, ai fini della risarcibilità, del danno professionale derivante dal demansionamento con la prova della sussistenza del demansionamento, reintroducendo con diverso nome (“lesione dell’identità professionale”) quel concetto di danno professionale in re ipsa, del tutto inesistente. La sentenza sarebbe insufficientemente motivata laddove si è riferita ad affermazioni del tutto generiche quali “l’impossibilità di utilizzare non solo le cognizioni tecniche acquisite, ma anche di poterne tutelare il mantenimento”, concetti insiti in qualsiasi demansionamento, che nulla attestano in ordine all’effettivo danno subito.

Per la ricorrente anche il danno professionale non può prescindere dall’allegazione e dalla prova di un pregiudizio, non meramente interiore, ma che incide sul fare reddituale. Pregiudizio che non è conseguenza automatica del demansionamento.

Il motivo ha in primo luogo dei profili di inammissibilità. Ed infatti si lamenta un omesso esame di un fatto decisivo, ma in concreto la censura si muove sul piano di una critica all’insufficienza della motivazione per non avere la sentenza impugnata evidenziato fatti concreti che provassero il pregiudizio derivante dal demansionamento. E dunque è in termini di una mancata prova del danno che le doglianze di Poste spa si concentrano, non sull’ omissione dell’esame di fatti storici decisivi che, nell’ottica della ricorrente, dovrebbero consistere in ulteriori effetti pregiudizievoli del demansionamento; fatti che tuttavia non risultano essere stati oggetto di discussione nel giudizio.

Ma comunque le censure sono infondate.

Come statuito da questa corte “In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, di natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (così Cass. 19778/2014, Cass. n.22930/2015).

Nel caso specifico la corte distrettuale ha posto in evidenza lo stridente contrasto tra i due compiti e l’impossibilità di utilizzare le pregresse cognizioni tecniche nel tempo acquisite, e dunque l’impossibilità di preservare il proprio acquisito bagaglio professionale con esercizio quotidiano delle mansioni precedenti, stante la palese inferiore complessità delle nuove mansioni. Dalla prova della sussistenza di tali elementi secondari la corte di merito ha inferito, mediante un ragionamento presuntivo, la prova del pregiudizio subito, danno che ha ritenuto di determinare equitativamente.

Il ricorso deve pertanto essere respinto; nessuna pronuncia sulle spese essendo rimasto solo intimato il d.B..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente è obbligato al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018

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