Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31754 del 05/12/2019

Cassazione civile sez. un., 05/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 05/12/2019), n.31754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Cristiana – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13958-2018 proposto da:

SOCIETA’ PER L’INTERPORTO DI BERGAMO – MONTELLO S.P.A. – IN

LIQUIDAZIONE, in persona dei liquidatori pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 11, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO STELLA RICHTER, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTO INVERNIZZI;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., – Società con socio unico,

soggetta alla direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato

Italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso lo

studio dell’avvocato CARMINE PUNZI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, REGIONE LOMBARDIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5346/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 20/11/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Paolo Stella Richter, Roberto Invernizzi e

Giovanni Lazzara per delega dell’avvocato Carmine Punzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Società per l’Interporto di Bergamo-Montello S.p.a. (Sibem) si impegnava alla realizzazione dell'(OMISSIS) con finanziamento in parte statale in forza di una convenzione stipulata con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

La conferenza di servizi, in presenza di diverse autorità statali e locali nonchè della Sibem e della Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. d’ora in avanti, breviter, RFI – (queste ultime senza diritto di voto), in data 7 ottobre 2003 approvava il progetto dei lavori, al cui interno era stato previsto il raccordo dell’interporto con la rete ferroviaria presso la stazione di (OMISSIS), sulla linea (OMISSIS), sulla base di una stima di un traffico ferroviario indotto dall’interporto pari a quattro coppie di treni al giorno a carico completo.

Solo a distanza di tempo dall’approvazione del progetto definitivo e dopo che si era avuto un rallentamento delle iniziative a causa di contenziosi intercorsi con alcuni comuni interessati dall’opera, RFI, con nota della Direzione Compartimentale Movimento di Milano del 7 marzo 2007, nel fissare le condizioni che avrebbero consentito l’allacciamento del raccordo alla linea ferroviaria, aveva prescritto che i binari di presa e consegna delle merci fossero allacciati al prolungamento del terzo binario della stazione di (OMISSIS), dove si trovava, su area di RFI, l’accesso al raccordo ferroviario della società Montello S.p.a. La Sibem aveva quindi sollecitato la modifica di tale prescrizione senza che RFI si pronunziasse in alcun senso sulla stessa, poi predisponendo il progetto esecutivo dell’interporto senza adeguarsi alla prescrizione relativa alla condivisione del raccordo ferroviario della Montello S.p.a., ed invece prevedendo un accesso diretto al binario di corsa della stazione di (OMISSIS).

Dopochè Sibem aveva indetto la gara per l’affidamento dei lavori di realizzazione dell’interporto RFI, con una e-mail del 20 settembre 2013, rifiutava di autorizzare il raccordo ferroviario, osservando che la linea (OMISSIS) era attualmente utilizzata per il traffico regionale, cadenzato con frequenza oraria e destinato a ulteriori sviluppi e presentava limiti prestazionali tali da non consentire l’inserimento di un raccordo per il trasporto merci.

La Sibem impugnava tale atto prospettandone l’illegittimità sotto vari profili, reclamando altresì il risarcimento danni ed in subordine l’indennizzo L. n. 241 del 1990, ex art. 21-quinquies.

Nel corso del giudizio RFI dichiarava di avere autorizzato, con altre note del 18 febbraio 2014, 7 febbraio 2014 e 14 febbraio 2014, il raccordo ferroviario come progettato da Sibem (ossia con allacciamento al binario di corsa della stazione di (OMISSIS)) ma limitatamente a volumi di traffico non superiori a due coppie di treni al giorno all’interno delle ore di morbida del traffico pendolare, giustificando tale limitazione con il fatto che il raccordo interferiva in modo diretto con il binario utilizzato dai treni passeggeri, sicchè l’accesso più frequente di treni non avrebbe garantito il normale servizio passeggeri secondo gli orari stabiliti.

La Sibem impugnava anche tali note unitamente ad un’altra della Direzione Territoriale Produzione di Milano dell’11 marzo 2014.

Il Tar Lombardia, sez. Brescia, con sentenza n. 549/2015, accoglieva parzialmente il ricorso, riconoscendo alla società Sibem un indennizzo pari a Euro 141.280,33, con interessi legali, invece respingendo le domande di annullamento e di risarcimento del danno.

La società Sibem e RFI proponevano rispettivamente appello principale e appello incidentale innanzi al Consiglio di Stato che, con sentenza n. 5346/2017, depositata il 20.11.2017, qui oggetto di ricorso, rigettava tutte le impugnazioni.

Per quel che qui specificamente rileva, il Consiglio di Stato osservò in via assolutamente preliminare che la società appellante era stata posta in liquidazione, da ciò scaturendo l’improcedibilità delle domande demolitorie prospettate in primo grado e riproposte in appello, ritenendo pertanto che le doglianze relative agli atti impugnati sarebbero state esaminate “(…) nell’ottica della delibazione della domanda risarcitoria (ed in via subordinata, indennitaria) proposta dalla società appellante principale, anche in considerazione della circostanza che, peraltro, RFI ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza che ha riconosciuto all’originaria ricorrente un modesto indennizzo”.

Il Consiglio di Stato osservò, quindi, che:

a) nell’ottica dell’attribuzione della tutela risarcitoria ed indennitaria, agli atti del procedimento si rinvenivano evidenze atte a dimostrare la non accoglibilità della tesi secondo cui la condotta di Rfi avrebbe determinato in via causale, od anche concausale, il fallimento dell’intero progetto di realizzazione dell’Interporto;

b) con la nota a firma del Dott. C.D. pervenuta a Sibem il 19.3.2007 RFI aveva già espresso la propria posizione, sicchè a tutto voler concedere nel 2007 Sibem aveva ben chiara e conosceva la posizione di RFI, non l’aveva giudiziariamente contestata ed aveva proseguito nello sviluppo del progetto nel senso iniziale (quanto al binario di raccordo ferroviario nella stazione di (OMISSIS)). Pertanto, il TAR aveva correttamente individuato nella data del 7 marzo 2007 (o meglio quella del 19.3 2007 in cui tale missiva era pervenuta a Sibem) il momento finale di produzione degli effetti della condotta di RFI, potendosi a quella data la Sibem determinare conoscendo la posizione di Rfi;

c) la nota del 2007 di RFI, a più riprese citata, si era distaccata dal contenuto dell’assenso preliminare prestato dalla medesima allo sviluppo del progetto poi presentato in conferenza di servizi ed ivi approvato;

d) la prescrizione n. 1 imposta in via innovativa rispetto a quanto approvato nella conferenza di servizi non era stata rispettata in quanto il progetto redatto da Tekne e consegnato nel 2010 a RFI non aveva previsto l’accesso al raccordo ferroviario della Montello S.p.a., siccome imposto nella stessa nota del 2007;

e) fra la nota del 2007 e quelle successive del 2013 e del 2014 vi era stata piena unità di intenti, essendo invece emersa una netta cesura fra l’atto adottato nella conferenza di servizi e la nota del 2007;

f) Sibem non si era conformata alla prima prescrizione imposta nell’anno 2007, per cui non poteva “imputare” a fini risarcitori a RFI di non avere cambiato idea in epoca successiva;

g) una volta accertato che l’istruttoria era rimasta aperta sino al 2014 e che RFI non aveva mai modificato il contenuto della nota del 2007, dovendosi ritenere che la posizione di quest’ultima non era stata nè arbitraria, nè illogica, nè irrazionale (e quindi legittima intrinsecamente) non era possibile rimproverare a quest’ultima di avere violato alcun affidamento di Sibem nel periodo di tempo 2007-2014 a partire, quindi, dalla prima espressione della posizione di RFI, semmai dovendosi esplorare se ciò fosse accaduto prima del 2007;

h) la conferenza di servizi non aveva avuto ad oggetto il “rilascio dell’autorizzazione”;

i) sia nel 2007 che nel 2010, Sibem aveva richiesto la prescritta autorizzazione da parte di RFI, la quale aveva partecipato alla conferenza di servizi senza diritto di voto e poichè RFI non aveva concorso ad approvare alcunchè, doveva ritenersi corretta la pronunzia del Tar Lombardia secondo la quale tale società, sulla scorta di eventuali sopravvenienze, ovvero anche re melius perpensa rispetto a resultanze già acquisite al momento in cui si tennero i lavori della conferenza di servizi, era pienamente legittimata ad esercitare nuovamente il proprio potere;

j) la deliberazione espressa nella nota del 2007 cui Sibem non ebbe a conformarsi (e per quel che rileva le deliberazioni successive impugnate, rese nel 2013 e del 2014) non appare arbitraria, viziata, od isolatamente considerata, illegittima, non potendosi ritenere affetta da un deficit di proporzionalità quanto alle determinazioni di RFI ivi contenute;

k) detta ultima nota non aveva presentato alcuna carenza motivazionale nè aveva posto oneri a Sibem così rilevanti così da potersi ravvisare un difetto di proporzionalità e di ponderazione dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione dell’Interporto;

I) in definitiva, la richiesta tutela risarcitoria non poteva ritenersi fondata poichè la Sibem avrebbe potuto conformarsi all’atto impositivo delle prescrizioni del 2007 legittimamente adottato (e rimasto inoppugnato, con tutte le conseguenza che dalla mancata impugnazione e dal mancato esperimento di altri “strumenti di tutela previsti” possono comunque farsi discendere ai sensi dell’art. 30, comma 3 c.p.a.);

m) l’avvenuta dimostrazione della non arbitrarietà od irragionevolezza della valutazione resa da RFI escludeva che, quale che fosse il “titolo” – contrattuale o extracontrattuale – della possibile responsabilità, quest’ultima potesse rispondere sia pure con riferimento al limitato lasso temporale che sarebbe potuto venire in rilievo.

La Sibem ha proposto ricorso per cassazione si sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 111 Cost.

Ha resistito con controricorso RFI. Il Ministero delle infrastrutture e trasporti e la Regione Lombardia non hanno depositato difese.

Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.

Il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente prospetta, con il motivo proposto, l’eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa. Lamenta, in particolare che il Consiglio di Stato, nel ritenere la natura provvedimentale della nota RFI del 7.3.20107, in realtà qualificata dallo stesso organo giurisdizionale come “presa di posizione”, avrebbe pronunziato con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, violando non solo l’art. 34, comma 2, primo periodo codice del processo amministrativo, ma anche il sistema di riparto delle giurisdizioni.

2. Prima di esaminare tale censura occorre sgombrare il campo circa la ventilata inammissibilità del ricorso che il Procuratore Generale, nel corso della discussione orale, ha prospettato evocando i principi più volte espressi da queste Sezioni Unite a partire dalla ben nota Cass., S.U., n. 11260/2016, a cui tenore l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione.

2.1 Invero, giova rammentare che il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato, ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione – Cass., S.U., n. 8311/2019 -.

3. Orbene, nel caso di specie la censura mossa alla decisione del Consiglio di Stato non attiene alle ipotesi di diniego o affermazione della giurisdizione da parte del Consiglio di Stato, appuntandosi per converso sulle modalità di esercizio del potere giurisdizionale riservato al giudice amministrativo.

Ciò posto, deve escludersi che rispetto a tale ipotetico vizio possa trovare applicazione il principio espresso dalla ricordata Cass., S.U., n. 21260/2016.

3.1 A ben considerare, detto principio non può trovare in alcun modo applicazione con riguardo all’ipotesi in cui l’oggetto del ricorso innanzi a queste Sezioni Unite attenga alla verifica delle modalità con le quali è stato esercitato il potere giurisdizionale da parte del giudice che ha esercitato la giurisdizione.

4. Tale conclusione costituisce naturale prosecuzione di un principio già espresso nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, sia pur incidentalmente, a riguardo della ricorribilità per motivi di giurisdizione del ricorso straordinario del Capo dello Stato quando la questione di giurisdizione del giudice amministrativo non sia stata prospettata nell’ambito del procedimento.

4.1 Cass., S.U., n. 10414/2014 ha infatti affermato che rispetto al ricorso straordinario al Capo dello Stato – rimedio giustiziale attratto per alcuni profili nell’orbita della giurisdizione amministrativa – laddove la potestas iudicandi sia pacifica e nessuna delle parti l’abbia contesta nel corso del procedimento con le forme dell’art. 48 cod. proc. amm., matura senz’altro una preclusione al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, e art. 362 c.p.c. rispetto alla questione di giurisdizione correlata alla sussistenza o meno del presupposto della giurisdizione del giudice amministrativo per ricorrere a quello speciale rimedio giurisdizionale. Si è però aggiunto incidentalmente che siffatta preclusione non è destinata ad operare quando il ricorso innanzi alle Sezioni Unite prospetti l’eccesso di potere giurisdizionale “(…) perchè la questione di giurisdizione non attiene alla giurisdizione come presupposto che deve sussistere perchè possa proporsi il ricorso straordinario al Capo dello Stato, ma riguarda un momento successivo, quello della decisione che astrattamente potrebbe eccedere dai limiti del potere giurisdizionale”.

5. Ora, risulta evidente che le conclusioni da ultimo espresse lasciano intendere come il principio che intende circoscrivere la possibilità di ridiscutere l’ambito della giurisdizione dopo una decisione di prima istanza resa dal giudice adito dalla parte che ne contesta successivamente il potere giurisdizionale non può operare rispetto alle ipotesi nelle quali si prospetta lo straripamento del potere giurisdizionale esercitato dal giudice – nel caso di specie, dal Consiglio di Stato – per avere qualificato come immediatamente impugnabile un atto invece ritenuto privo, secondo la prospettazione della parte ricorrente, dei contenuti minimi essenziali per poterlo considerare atto amministrativo. A venire in gioco, infatti, non sono le regole del riparto di giurisdizione che secondo il principio di diritto espresso da Cass., S.U., n. 21260/2016, ma le modalità di esercizio del potere giurisdizionale nei vari gradi del giudizio stesso. Ciò che rende evidente l’interesse di una parte a porre in discussione il difetto assoluto di giurisdizione senza alcuna preclusione – cfr., del resto, implicitamente, in questa direzione anche Cass., S.U., 1 agosto 2017 n. 19082, che ha esaminato la censura di eccesso di potere giurisdizionale -.

5.1 Se infatti è in discussione la modalità di esercizio del potere giurisdizionale l’indirizzo preclusivo sopra ricordato non può trovare in alcun modo applicazione, mancando in radice la eadem ratio giustificatrice che, come è noto, in relazione a quanto affermato da Cass. S.U. n. 21260/16, cit., intendeva escludere il diritto al ripensamento in punto di giurisdizione della parte che ha adito un giudice, ma non può per converso “punire” la parte impedendole di reclamare l’eccesso di potere giurisdizionale derivante non già da una sua scelta ma dall’agire del giudice.

6. Va dunque affermato il seguente principio di diritto: Il principio secondo il quale l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione riguarda unicamente le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione e non già quelle di ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale.

7. Ciò posto, il ricorso è inammissibile per le considerazioni di seguito esposte.

7.1 Giova ricordare che la giurisprudenza di questa Sezioni Unite si è stratificata nel senso di ritenere che il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è circoscritto ai limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo ovvero all’esistenza dei vizi che attengono all’essenza della funzione giurisdizionale, e non al modo del suo esercizio, cui ineriscono, invece, gli errori in iudicando o in procedendo; pertanto, le violazioni in rito rientrano nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione, sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione che prospetti tale vizio sotto il diverso profilo del difetto di giurisdizione, non trattandosi di una questione di superamento dei limiti esterni della giurisdizione, nè potendosi configurare nella specie un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo (v. Cass., S.U., n. 18079/2015; Cass., S.U., n. 24468/2013; Cass., S.U., n. 3688/2009, Cass., S.U., n. 8882/2005).

7.2 Va pure ribadito in questa sede che la mancata od inesatta applicazione di una norma di legge da parte del giudice amministrativo integra, al più, un error in iudicando, ma non dà luogo alla creazione di una norma inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1 (Cass., S.U., n. 16974/2018) – cfr. Cass., S.U., n. 9016/2019 -.

8. Si è poi ritenuto che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto Europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il “proprium” della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione – cfr. Cass., S.U., n. 32773/2018 -.

9. Orbene, la censura esposta dalla ricorrente, benchè prospettata con riguardo all’eccesso di potere giurisdizionale, intende in realtà porre sotto la lente di queste Sezioni Unite il sindacato svolto dal giudice amministrativo sull’azione di risarcimento del danno proposto dalla società sul presupposto dell’illegittimità di un compendio di atti posti in essere, in un ampio lasso di tempo, da RFI dai quali, secondo la prospettazione della società ricorrente, sarebbero scaturiti ingenti danni alla stessa, per non avere potuto portare a termine il progetto di interporto a suo tempo oggetto di concessione.

9.1 Pertanto, la circostanza che il Consiglio di Stato abbia pronunciato all’interno della verifica minuziosa di tutta la sequenza procedimentale, iniziata con la conferenza di servizio relativa alla progettazione, alla quale era seguita l’introduzione di una prescrizione diversa rispetto al quadro previsto in seno alla conferenza di servizi, poi confermata con i successivi atti del 2013 e del 2014 dalla stessa RFI, rende evidente come l’oggetto del sindacato sollecitato a queste Sezioni Unite sia per l’appunto correlato, inammissibilmente, alla valutazione degli elementi che la parte aveva individuato a sostegno della domanda risarcitoria.

9.2 Elementi che, a giudizio del Consiglio di Stato, non integravano la prospettata illegittimità della nota resa nell’anno 2007 da RFI in considerazione della sua mancata impugnazione e, ancor prima, in ragione della piena legittimità della scelta di modificare l’originario quadro delle prescrizioni previste per la realizzazione del progetto. Detta scelta, a dire del Consiglio di Stato, rientrava pienamente nelle prerogative della RFI che se ne era avvalsa tanto con la nota del 2007 che con le successive rese negli anni 2013 e 2014, riproduttive del contenuto della prima.

10. Da ciò consegue che le censure esposte dalla ricorrente attengono, in realtà per l’un verso al merito dell’operato del giudice amministrativo e, per altro verso, alla postulata erronea applicazione della disciplina in tema di impugnabilità degli atti amministrativi che, per i principi espressi sopra, non è consentita a queste Sezioni Unite anche quando si prospetta la violazione dell’art. 34, comma 2 codice del processo amministrativo, ipotizzandosi in tal guisa non già un eccesso di potere giurisdizionale ma la contestazione del piano valutativo prescelto dal Consiglio di Stato per ritenere infondata la domanda risarcitoria, come detto correlata alla legittimità dell’azione di RFI per come dispiegatasi nel tempo.

11. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, in favore di Rete Ferroviaria italiana S.p.a.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nelle Sezioni Unite, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019

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