Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31746 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 04/12/2019), n.31746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18668-2018 proposto da:

FELIX SRL, in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 18, presso lo

STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO CBA, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIANLUCA ANTONIO FRANCESCO FERRI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 31217/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata i121/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Felix s.r.l. ha proposto ricorso per revocazione, affidato ad un motivo, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando l’ordinanza n. 31217/2017 resa da questa Corte con la quale è stato accolto il ricorso proposto dall’Ufficio contro la sentenza di prime cure che aveva annullato l’avviso di liquidazione per il recupero di imposte di registro, ipotecarie e catastali relative all’atto pubblico con il quale la società Tenutella s.r.l. aveva acquistato, con l’agevolazione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, uno dei terreni compresi nell’area agricola di oltre trenta ettari sita nel comune di (OMISSIS) destinata alla realizzazione di un grande centro commerciale. Riteneva la Corte che non era emersa l’ultimazione delle opere edilizie alla scadenza del quinquennio dall’atto e considerava infondata l’eccezione di giudicato esterno proposta dalla società contribuente con riguardo ad una pronunzia della stessa CTR Sicilia relative ad altro atti di compravendita di terreno “in quanto afferente una particella di terreno ed un atto pubblico diversi da quelli oggetto del presente giudizio, e soprattutto implicanti” – per quanto si va a dire nel merito del ricorso – “un distinto accertamento in fatto”.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

La ricorrente ha depositato istanza di sospensione ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10.

Occorre preliminarmente osservare che non ricorrono le condizioni per la sospensione del giudizio ai sensi dell’invocata disposizione da parte della società ricorrente, non avendo la stessa depositato innanzi a questa Corte copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata.

Con l’unico motivo proposto la ricorrente deduce l’esistenza di un errore percettivo nel quale sarebbe incorsa l’ordinanza impugnata, laddove avrebbe “considerato ogni singola particella di terreno quale autonomo e distinto oggetto di giudizio, come tale ostacolante l’estensione del giudicato formatosi in relazione ad aspetti quali l’utilizzazione edificatoria dell’area oggetto di variante urbanistica e l’applicabilità della esimente della forma maggiore.” Secondo la ricorrente le singole particelle di terreno oggetto di distinti atti di compravendita erano da considerarsi un unicum ricadendo in un medesimo contesto territoriale al quale si riferiva l’unico atto concessorio rilasciato dall’amministrazione comunale per la realizzazione di un area commerciale integrata, ciò emergendo dal ricorso in primo grado, dalla sentenza di appello e dalla stessa decisione impugnata, che aveva fatto riferimento specifico ai terreni compresi nell’area agricola di oltre trenta ettari destinati alla realizzazione ad un unico centro commerciale.

In sostanza, la Corte avrebbe errato nel supporre che le singole particelle di terreno costituivano autonomi oggetti di giudizio, senza considerare che “il giudicato atteneva a circostanze riguardanti l’area nel suo complesso e con efficacia condizionante antecedente rispetto all’eventuale rilevanza dell’acquisto a mezzo di singoli atti pubblici”.

Il motivo è inammissibile.

Giova ricordare, in termini generali, che in materia di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4), deve presentare i caratteri dell’evidenza ed obiettività, così da non richiedere lo sviluppo di argomentazioni induttive o indagini, e deve riguardare atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio – cfr. Cass., n. 4456/2015, Cass., n. 12655/2015 -.

Peraltro, si è poi specificato che l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali; non può, dunque, ritenersi sussistente l’errore revocatorio, allorchè la parte abbia denunciato l’erronea presupposizione dell’inesistenza di un giudicato, poichè questo, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma attiene all’interpretazione delle norme giuridiche – cfr. Cass. n. 17443/2008 -.

Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto che dal novero dell’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione ogni valutazione od omessa valutazione sulla sussistenza di un giudicato, sia perchè quest’ultimo – sia esso interno od esterno – costituisce la “regola del caso concreto” e partecipa della qualità dei comandi giuridici, sicchè l’erronea presupposizione della sua inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula juris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto – cfr. Cass., S.U., n. 23306/2016 -.

Ora, risulta evidente che nel caso di specie la ricorrente prospetta, per come essa stessa ha riconosciuto, un’erronea valutazione, da parte del giudice di legittimità, della portata del giudicato e dei suoi effetti che, secondo quanto dalla stessa opinato, dovrebbero necessariamente riguardare l’intero compendio immobiliare interessato dall’unico atto di concessione, per tal modo rilevando il giudicato formatosi su uno dei terreni interessati.

Si tratta, all’evidenza di un errore che non può essere sussunto nello stigma della non corretta percezione di elementi fattuali, sicchè il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per revocazione a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1-bis e 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per revocazione a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1-bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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