Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3174 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 09/02/2021), n.3174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16020-2019 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA MAESTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3114/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 17 settembre/18 dicembre 2018, la Corte di Appello di Bologna respinse il gravame proposto da P.S., nativo del Ghana, contro l’ordinanza, resa, D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011 ex art. 19, dal tribunale di quella stessa città il 29 aprile 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte, confermando il precedente giudizio espresso dalla commissione territoriale e dal tribunale, ritenne inattendibili le dichiarazioni del richiedente (perchè non verosimili e lacunose) e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso questa sentenza P.S. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 2 Cost., dell’art. 10Cost., comma 3, degli artt. 29,30,31 e 32 Cost., del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,14 e 17, recante Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta; del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 32, comma 3, recante Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e art. 28, comma 1; art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati”. Il motivo, pur dando atto che la corte distrettuale, “nel motivare la mancata sussistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, aveva posto in evidenza l’inattendibilità delle dichiarazioni dell’appellante ed il mancato contrasto, da parte di quest’ultimo, delle ragioni addotte dalla Commissione, prima, e dal Tribunale, poi, a sostegno del giudizio di inattendibilità del suo racconto offrendo plausibili giustificazioni in ordine ai profili evidenziati dai provvedimenti impugnati”, espone una serie di considerazioni volte a dimostrare che la situazione del Ghana sarebbe tale che il ricorrente, se vi facesse ritorno, correrebbe un effettivo rischio di grave danno D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14;

II) “violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati”. Si chiede, sostanzialmente, a questa Corte di “chiarire se, come ritiene la scrivente difesa, costituisca, o meno, dovere istruttorio e motivazionale del giudice non fermare la disamina al Paese di nazionalità del richiedente la protezione internazionale ma allargare lo scrutinio a tutti i Paesi di origine e provenienza del migrante, considerando che il diniego di protezione non può avere l’effetto di svuotare di effettività il fondamentale principio di non refoulement”.

III) “omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”, censurandosi la motivazione posta dalla corte felsinea a fondamento del mancato riconoscimento, in favore dell’appellante, quanto meno di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Il primo motivo è fondato nei limiti di cui appresso.

2.1. Invero, la corte bolognese ha negato la protezione sussidiaria (in relazione a tutti i profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14) sul mero assunto della ritenuta inattendibilità del racconto del richiedente protezione.

2.2. Una siffatta conclusione, benchè corretta in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), non è parimenti tale quanto alla fattispecie di cui alla lett. c) del medesimo articolo, atteso che, secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, in tema di protezione internazionale sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), la valutazione di non credibilità intrinseca del narrato dal richiedente, salvo il caso in cui investa le dichiarazioni relative alla sua provenienza dal territorio in cui risulta allegata l’esistenza di una situazione di conflitto armato interno, non fa venire meno il potere-dovere del giudice di verificare anche d’ufficio, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, la sussistenza della dedotta situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno o internazionale, tale da determinare minaccia grave e individuale alla vita o alla persona dei civili (cfr., tra le altre, Cass., n. 24580 del 2020; Cass. n. 16122 del 2020; Cass. n. 13944 del 2020; Cass. n. 13940 del 2020; Cass., n. 10286 del 2020; Cass. n. 8819 del 2020; Cass. n. 2954 del 2020; Cass. n. 14283 del 2019; Cass. n. 11101 del 2019; Cass. n. 3016 del 2019).

2.2.1. Nell’indicata prospettiva si è evidenziata, in particolare, la differenza strutturale che intercorre tra la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), da un lato, e le altre ipotesi di protezione sussidiaria e quelle formative di diritto di rifugio, dall’altro.

2.2.2. Per questo secondo gruppo di ipotesi rileva la cd. “personalizzazione del rischio oggetto di accertamento” (cfr. Cass. n. 16275 del 2018): non vi è ragione, perciò, di attivare il potere di istruzione ufficiosa nel caso di non credibilità del narrato dal richiedente, posto che, in tale situazione, viene per l’appunto a mancare il substrato cui potere riferire lo stesso esercizio del detto potere.

2.2.3. La “proposizione inversa” vale, invece, per la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), salva solamente l’ipotesi (qui non ricorrente) in cui la valutazione di non credibilità investa le dichiarazioni del richiedente proprio circa la sua provenienza dal territorio in cui risulta allegata l’esistenza di una situazione di conflitto armato interno.

2.2.4. “Come ha avuto modo di precisare la Corte di Giustizia” – si è precisato – “l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Ciò implica che la protezione sussidiaria, nel caso in esame, vada accordata per il solo fatto che il richiedente provenga da territorio interessato dalla menzionata situazione di violenza indiscriminata” (cfr. Cass. n. 14283 del 2019). Con la già sottolineata conseguenza che, da quest’angolo visuale, può venire a prendere rilevanza, in punto di attendibilità, solo l’indicazione che il richiedente abbia dato circa il proprio Paese di provenienza (e cittadinanza).

2.2.5. Nella medesima prospettiva è pure da sottolineare, peraltro, che “il pericolo di danno grave, nel caso di rimpatrio, deve essere considerato in linea meramente oggettiva, a prescindere dalle ragioni che hanno indotto il richiedente a emigrare, e comunque con riferimento all’attualità” cfr. Cass. n. 2954 del 2020). “E’ infatti irrilevante” – si è puntualizzato – “che la situazione pericolosa di danno grave possa essere sorta in un momento successivo alla partenza dal Paese di origine; del pari ininfluente è il motivo che aveva originato la partenza” (cfr. Cass. n. 2954 del 2020).

2.2.6. Non appare condivisibile l’opinione che intende assegnare rilievo al giudizio di (non) credibilità anche ai fini della dell’art. 14, lett. c), legando quest’ultimo a ciò che, nel sistema positivo, si deve procedere all’esame della domanda di protezione “in cooperazione con il richiedente” (in questi termini Cass. n. 15794 del 2019). In effetti, la ravvisata mancanza di credibilità intrinseca del racconto del richiedente comporta, di per sè stessa, il compiuto ed automatico venire meno dell’onere di cooperazione istruttoria per le fattispecie di diritto di rifugio e per quelle di cui all’art. 14, lett. a) e b), per la protezione sussidiaria. Nè, d’altro canto, il vigente sistema normativo della protezione internazionale appare in qualche modo orientato a “premiare” la credibilità del racconto del richiedente – dunque a “sanzionare” la non credibilità dello stesso (cfr. Cass. n. 11101 del 2019) -, ovvero a consentire una “trasfigurazione della valutazione di credibilità da strumento di valutazione della prova in giudizio sulla lealtà processuale” (cfr. Cass. n. 8819 del 2020), secondo quanto è insito, per contro, in detta impostazione. Proprio per tali ragioni, del resto, quest’ultima non appare perfettamente in linea con il precetto costituzionale del diritto di asilo, quale eletto strumento di accoglienza e solidarietà umana (cfr., oltre alla norma dell’art. 10 Cost., comma 3, il principio posto nell’art. 2 Cost.).

2.2.7. Neppure può ritenersi condivisibile, infine, l’ulteriore argomento basato sul D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 18, che prevede che la revoca della protezione possa essere disposta se “il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti” (il rilievo è stato proposto da Cass. n. 4892/2019). Invero, come è stato puntualmente già rilevato da Cass. n. 8819 del 2020, la sopravvenuta scoperta della falsità dei fatti integra i presupposti della revoca solo quando essi “in modo esclusivo” abbiano precedentemente determinato il riconoscimento della protezione.

3. Quanto finora esposto comporta, evidentemente, l’assorbimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, entrambi relativi al tema della protezione umanitaria.

4. In conclusione, dunque, il ricorso va accolto quanto al primo motivo, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese pure di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, dichiarandone assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese pure di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

 

 

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