Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31735 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2019, (ud. 03/05/2019, dep. 04/12/2019), n.31735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14475-2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALFREDO IMPARATO;

– ricorrente –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE Dl CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALFREDO IMPARATO;

– controricorrente al ricorrente incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

FALASCHI MILENA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Roma, con decreto n. 9615/2017, accogliendo il ricorso proposto da A.A. ex L. n. 89 del 2001, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 1.000,00 a titolo di indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole del procedimento e per l’effetto liquidava le spese processuali in complessivi 235,00.

Avverso il decreto della Corte di appello di Roma, l’ A. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi.

Il Ministero della giustizia resiste con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, fondato su unico motivo.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso principale potesse essere dichiarato parzialmente fondato, inammissibile l’incidentale, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo la ricorrente principale lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., dell’art. 6, par. 1, della CEDU, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., per avere la Corte di merito liquidato l’indennizzo in violazione dei criteri ratione temporis applicabili alla fattispecie. A detta della ricorrente, risalendo il ricorso ex L. n. 89 del 2001 dalla medesima proposto all’11/06/2012, la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscerle una somma non inferiore a Euro 1.500,00, anzichè il ridotto importo di Euro 1.000,00.

Il motivo è infondato.

La L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis al caso di specie, stabilisce che il giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a 500,00 e non superiore a 1.500,00 Euro, per ciascuno anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, eccedente il termine di durata ragionevole (comma 1); e prevede che l’indennizzo sia determinato ai sensi dell’art. 2056 c.c., tenendo conto dell’esito del processo in cui si è verificata la violazione, del comportamento del giudice e delle parti, della natura degli interessi coinvolti e del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte (comma 2).

Detta norma positivizza un campo di variazione dell’indennizzo (500,00 – 1.500,00 Euro per ogni anno di ritardo) ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte Suprema già prima della ridetta modifica legislativa, essendosi individuato nel criterio di 500,00 Euro all’anno una misura idonea a contemperare la serietà dell’indennizzo con l’effettiva consistenza della pretesa fatta valere nel giudizio presupposto (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 14974/2015 e Cass. n. 5277/15, secondo cui tale approdo consente di escludere che un indennizzo di 500,00 Euro per anno di ritardo possa essere di per sè considerato irragionevole e quindi lesivo dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte Europea intende assicurare in relazione alla violazione del termine di durata ragionevole del processo).

La nuova norma, inoltre, è stata di recente ritenuta conforme al dettato costituzionale da Cass. n. 22772/14, che ha dichiarato, tra l’altro, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, della CEDU, della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2-bis, atteso che la ragionevolezza del criterio di 500,00 Euro per anno di ritardo recepisce indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Ciò posto, poichè compresa tra il minimo ed il massimo anzi detto, la scelta del moltiplicatore annuo da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale deve decidere tenendo conto (come recita la norma) dei parametri di valutazione elencati nel medesimo art. 2-bis, comma 2, lett. da a) a d). I quali parametri costituiscono indicatori cui il giudice può variamente attingere per orientare il quantum della liquidazione equitativa dell’indennizzo. Lo scrutinio e la valutazione degli elementi della fattispecie che consentono di formulare il giudizio di sintesi sul paterna derivante dalla durata irragionevole del processo, costituisce un caratteristico apprezzamento di puro fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Correlativamente, non è censurabile che giudice di merito non abbia considerato tutti gli elementi del fatto ovvero li abbia valutati in maniera difforme dalle aspettative della parte, ex art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nella specie, la Corte territoriale non ha omesso l’esame del fatto, ossia della connotazione del paterna d’animo secondo le indicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 2, e ha liquidato l’indennizzo ponendosi nel campo di variazione positivizzato dalla novella del 2012 e ritenuto congruo dalla giurisprudenza di questa Corte, accordando un indennizzo di Euro 1.000,00 per un ritardo di 1 anno e 8 mesi;

– con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e della L. n. 247 del 2012, art. 1, comma 3, e art. 13, comma 6, in combinato disposto con l’art. 2233 c.c., comma 2, e con le norme del D.M. n. 55 del 2014. A detta della ricorrente, l’importo delle spese di lite liquidato dalla Corte di appello di Roma sarebbe al di sotto dei valori minimi individuati dal D.M. n. 55 del 2014 e dalle relative Tabelle poichè, pur applicando i parametri minimi ridotti del 50% per ogni singola voce da riconoscere (fase di studio, fase introduttiva, fase istruttoria e fase decisionale), il totale minimo da liquidare avrebbe dovuto essere corrispondente all’importo di Euro 355,00 (anzichè di Euro 235,00).

La censura è fondata.

L’importo complessivo dei compensi professionali, relativi al giudizio definito con l’impugnato decreto, come liquidato dalla Corte perugina risulta certamente inferiore al totale del minimo tabellare, avuto riguardo ai parametri tariffari contemplati dal D.M. n. 55 del 2014. Infatti, pur applicando la massima riduzione ai singoli importi spettanti per ciascuna voce, ai sensi del citato D.M., art. 4, comma 1, si perviene al riconoscimento della somma totale di Euro 286,00, così computata: Euro 67,50 per la fase di studio della controversia (a fronte di Euro 135,00 come importo medio ordinario); Euro 67,50 per la fase introduttiva del giudizio (a fronte di Euro 135,00 quale importo medio ordinario); Euro 51,00 per la fase istruttoria (e non Euro 119,00, come richiesto dai ricorrenti, computando l’importo liquidato quale risultante per effetto della riduzione del 70% – applicabile per tale voce rispetto alla somma ordinaria prevista in tabella di Euro 170,00); Euro 100,00 per la fase decisionale (a fronte di Euro 200,00 quale importo medio ordinario).

Pertanto, pur corrispondendo gli importi minimi liquidabili con riferimento alle voci relative allo studio della controversia, alla fase introduttiva e a quella decisionale a quelli richiesti dal ricorrente, la somma imputabile al minimo per la fase istruttoria è stata invocata in misura eccedente rispetto a quella prevista per tabella;

– passando all’esame del motivo di ricorso incidentale, con esso il Ministero denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, per aver Corte di merito errato a operare lo scomputo di 3 anni per la sola prima fase del giudizio e non di 5 anni per le due fasi di giudizio, a fronte di un giudizio presupposto pendente in appello al momento della richiesta indennitaria. A detta del ricorrente incidentale, infatti, la Corte di merito non avrebbe potuto prescindere dalla considerazione della durata ragionevole riferibile alla seconda fase di giudizio.

Il motivo non può trovare ingresso.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui ove una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (da ultimo Cass. n. 2038/2019).

Nella specie, l’ A. lamentava innanzi alla Corte di appello di Roma il mancato rispetto del termine ragionevole del processo unicamente con riferimento al procedimento in materia di assistenza e di previdenza obbligatorie, instaurato innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con ricorso depositato il 12.6.2007 e conclusosi con sentenza del 20.2.2012 (v. pag. 1 del decreto impugnato). La Corte rilevava pertanto una durata complessiva di 4 anni e 8 mesi circa, di 1 anno e 8 mesi eccedente la durata ragionevole delle cause civili di primo grado e accordava il relativo indennizzo, con argomentazioni sulle quali parte ricorrente non ha sollevato specifiche censure, ovvero ha mosso doglianze non attinenti al decisum, facendo riferimento all’accoglimento nei limiti della domanda, ipotesi diversa da quella considerata dalla Corte di merito.

In definitiva, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso principale, respinto il primo ed il ricorso incidentale.

Il provvedimento impugnato va, pertanto, cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà a rideterminare le spese processuali e regolamenterà anche le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo ed il ricorso incidentale;

cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 3 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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