Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3173 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 09/02/2021), n.3173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13925-2019 proposto da:

G.T., elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO SOMALIA 53,

presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO PINTO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA CRISTINA TARCHINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), PUBBLICO MINISTERO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 261/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 11/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 30 gennaio/11 febbraio 2019, la Corte di Appello di Brescia respinse il gravame proposto da G.T. contro l’ordinanza, resa, D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011 ex art. 19, dal tribunale di quella stessa città il 6 aprile 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne non integralmente credibili le dichiarazioni del richiedente e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso questa sentenza G.T. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 (art. 360 c.p.c., n. 3)”, assumendosi che la decisione impugnata non avrebbe correttamente esaminato la ricorrenza dei requisiti per la invocata protezione umanitaria, essendosi limitata a negare credibilità alle dichiarazioni dell’interessato ed a sostenere che la situazione dei diritti umani nella zona di sua provenienza non fosse particolarmente grave;

II) “Nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, con riguardo al medesimo capo della sentenza risultando la corrispondente motivazione solo apparente.

2. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè connesse, sono palesemente infondate.

2.1. Invero, giova premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata l’11 febbraio 2019, deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 9017 del 2018; Cass. n. 22865 del 2019) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020).

2.1.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). In altri termini, è possibile ravvisare una “motivazione apparente” nel caso in cui, pur essendo la stessa graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.

2.1.2. Un simile vizio – da apprezzare qui non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – è, nella specie, insussistente.

2.1.3. La corte territoriale, infatti, ha ampiamente esposto (cfr. pag. 4-6 della sentenza impugnata) le ragioni che l’hanno indotta a negare all’appellante (pure) la protezione cd. umanitaria, sicchè deve considerarsi soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto; nè rileva, qui, come si è già anticipato, l’esattezza, o non, di una tale giustificazione.

2.2. Inoltre, rileva il Collegio che l’inattendibilità del racconto del richiedente protezione, nella specie sostanzialmente ritenuta dalla corte territoriale, in nessun modo oggi è stata specificamente censurata, e che, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, però, deve correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che, nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità. Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015), altresì ricordandosi che la carenza del quadro assertivo nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo.

2.3. Le censure veicolate dai motivi in esame, invece, risultano formulate in maniera generica e sostanzialmente sollecitano un riesame del fatto, nemmeno confrontandosi con le motivate statuizioni della corte bresciana, nè si evince, dal loro contenuto che l’appellante avesse ivi prospettato specifiche ragioni di propria vulnerabilità diverse rispetto alla vicenda da lui narrata (e giudicata non integralmente credibile) come quella che lo aveva indotto a lasciare il proprio Paese di origine.

3. Il ricorso, dunque, va respinto senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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