Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31722 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 04/12/2019), n.31722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10934-2018 proposto da:

M.M., M.O.V., in proprio e nella

qualità di eredi di A.A.R., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA SENECA 73, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

MORRICONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI GABELLONE;

– ricorrenti –

contro

M.M., M.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato PIERALBERTO PALOMBELLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1972/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. 4 GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione delle 19 aprile 2006, M.M. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Bari, sezione distaccata di Putignano, A.A.R. assumendo di avere eseguito lavori edili di ampliamento e ristrutturazione di una masseria di proprietà della convenuta, in Ostuni, valutando un credito per fatture non pagate pari ad Euro 721.866;

si costituiva la convenuta eccependo l’incompetenza territoriale del giudice adito, in favore del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni e, nel merito, contestava la fondatezza della pretesa, avendo l’attore incassato e quietanzato una serie di acconti corrisposti in corso d’opera;

il Tribunale con sentenza letta all’udienza del 16 aprile 2013 ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., accoglieva la domanda;

con atto di citazione del 7 giugno 2013 A.A.R. proponeva appello chiedendo che fosse accertata la corresponsione in favore del Mavilio della somma riferita a tre fatture poste a base della domanda, nell’ambito di un diverso procedimento pendente presso la sezione distaccata di Putignano. Si costituiva l’appellato e chiedeva il rigetto della impugnazione. Con atto di intervento del 10 giugno 2016 M.C., quale cessionario del credito oggetto della sentenza appellata, faceva proprie le difese svolte dal cedente, M.M.. L’appellante deduceva l’omesso esame di parte della documentazione prodotta;

con sentenza del 24 novembre 2017 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’impugnazione ritenendo corretta la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva affermato che le fatture in contestazione (n. 1, 2 e 3 del 2001) erano prive di efficacia probatoria, in quanto l’appellante non aveva dimostrato la conformità all’originale delle stesse;

con ricorso per correzione di errore materiale del 29 novembre 2017 si chiedeva di emendare l’errore materiale nell’indicazione del difensore della parte appellata. La sentenza, successivamente corretta, era notificata, a mezzo pec, al difensore della A., deceduta nelle more del giudizio, in data 5

febbraio 2018;

avverso tale sentenza M.O.V. e M.M., in proprio e quali eredi di A.A.R. propongono ricorso per cassazione affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso M.C. e M.M..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce “l’omesso esame e valutazione di parte della documentazione prodotta, nonchè di emergenze probatorie considerate nel suo complesso”. Il giudice avrebbe dovuto esaminare i documenti acquisiti al procedimento mentre, sia in primo, che in secondo grado, sarebbero state trascurate importanti circostanze di valore indiziario. In particolare, l’anomala della prosecuzione dei lavori da parte di M.M. senza il pagamento di nessuna delle fatture emesse. Nello stesso modo, non sarebbero state conteggiate le somme riscosse a titolo di acconto e che avrebbero dovuto essere imputate a pagamento delle fatture emesse da Marvilio;

con il secondo motivo si deduce la “violazione e l’errata applicazione della norma di diritto di quell’art. 2721 c.c., comma 2”. I capitoli di prova articolati contrariamente a quanto ritenuto dai giudici erano specifici e puntuali;

Il ricorso è inammissibile per una pluralità di ragioni. In primo luogo i due motivi riproducono quelli di appello, e non apportano alcun elemento di novità rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, con la quale non si confrontano in alcun modo;

in secondo luogo, i motivi sono dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, avendo parte ricorrente omesso di trascrivere, allegare o individuare la collocazione all’interno del fascicolo di legittimità dei documenti genericamente menzionati e delle fatture indicate. Analoghe considerazioni riguardano la violazione dell’art. 2721 c.c. (verosimilmente dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) attesa la mancata trascrizione o l’allegazione dei capitoli di prova, del contenuto del provvedimento di rigetto della richiesta di prova testimoniale e della dimostrazione della tempestività della deduzione di tale prova davanti ai giudici di merito;

oltre a ciò, il primo motivo non indica il vizio dedotto tra quelli previsti all’art. 360 c.p.c., e il secondo motivo non menziona neppure tale ultima disposizione;

infine, le due censure sono oltremodo generiche e del tutto prive di specificità (Cass. n. 4741/2005 ed in motivazione Cass. S.U. 7074/2017), facendo riferimento ad una “serie di gravi, concordanti e significative circostanze, di indubbio dirimente valore indiziario”, successivamente individuate nella presunta anomalia del comportamento dell’appaltatore e nella deduzione del mancato conteggio di somme non specificate, non individuate, neppure nella collocazione nell’ambito del presente procedimento o nell’altro connesso (menzionato nello svolgimento del processo della sentenza impugnata). Analoghe valutazioni vanno riferite alle ragioni per le quali capitoli di prova sarebbero specifici e puntuali;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/ 014, n. ò955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245)in ragione del tema della pronuncia – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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