Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31699 del 07/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 07/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 07/12/2018), n.31699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 14681 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

L.A. (C.F.: (OMISSIS)), T.A. (C.F.:

(OMISSIS)) rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Falvo

d’Urso (C.F.: FLV FNC 38PO4 H501E), Stefania Falvo d’Urso (C.F.: FLV

SFN 65E56 H5Q1R) e Luigi Falvo d’Urso (C.F.: FLV LGU 69512 H501M);

– ricorrenti –

nei confronti di:

D.P.N. (C.F.: (OMISSIS));

COMUNE DI COLLE D’ANCHISE (P.I.: 00054330709), in persona del legale

rappresentante pro tempore;

D.D. (C.F.: non indicato);

L.E. (C.F.: non indicato);

LU.Ar. (C.F.: non indicato);

L.C. (C.F.: non indicato);

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Campobasso

n. 140/2016, pubblicata in data 8 giugno 2016;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 18 ottobre 2018 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.P.N., dopo avere ottenuto un provvedimento interdittale ai sensi dell’art. 688 c.p.c., in relazione ad una nuova costruzione realizzata su un fondo confinante con il proprio, ha riassunto il relativo giudizio di merito nei confronti di L.A., T.A. e D.C.M.. Il giudizio è stato dichiarato interrotto per il decesso della convenuta D.C. e riassunto nei confronti dei suoi eredi, L.A., Lu.Ar., L.C. ed L.E..

La domanda principale della D.P. è stata rigettata dal Tribunale di Campobasso, che ha peraltro condannato i convenuti L. e T. a pagare all’attrice stessa l’importo di Euro 1.500,00 a titolo di danni.

La Corte di Appello di Campobasso ha (almeno in parte) riformato la decisione di primo grado, con pronuncia n. 103 del 2013, impugnata per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, da L.A. e T.A..

La domanda di revocazione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte di Appello di Campobasso, con sentenza n. 140 del 2016, avverso la quale il L. e la T. ricorrono, sulla base di tre motivi.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati. E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia la “nullità della sentenza” che ha definito il giudizio di revocazione, in quanto emessa da due dei tre magistrati che facevano parte del collegio che aveva pronunciato la sentenza revocanda.

Il motivo è manifestamente infondato.

Secondo l’indirizzo di questa Corte, infatti, la pretesa incompatibilità del giudice che ebbe a pronunciare sulla sentenza oggetto della domanda di revocazione a far parte del collegio chiamato a decidere su di essa non determina nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto la stessa incompatibilità può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13433 del 08/06/2007, Rv. 598133 – 01; in linea generale, per l’affermazione del principio per cui, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, a meno che egli non abbia un interesse proprio e diretto nella causa: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11275 del 15/06/2004, Rv. 573645 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7252 del 16/04/2004, Rv. 572112 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 13212 del 10/09/2003, Rv. 566714 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 528 del 18/01/2002, Rv. 551657 – 01).

2. Con il secondo motivo si denunzia “violazione art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto”.

Il motivo è inammissibile.

2.1 In primo luogo, l’affermazione per cui l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di L.C. sarebbe stato tempestivamente adempiuto e la relativa prova documentale sarebbe stata prodotta all’udienza del 22 aprile 2015 introduce una censura priva della necessaria specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non è puntualmente richiamato il contenuto degli atti e dei documenti sui quali essa è fondata, e non viene neanche indicata l’esatta allocazione di essi nel fascicolo processuale.

Nè può ritenersi decisiva in proposito (al contrario di quanto sostenuto dagli stessi ricorrenti) la circostanza che le parti abbiano rassegnato le proprie conclusioni di merito, avendo la corte territoriale già espressamente rilevato il difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di L.C. ed avendo essa fissato immediatamente, proprio per tale ragione, l’udienza di precisazione delle conclusioni.

Per il medesimo motivo non può poi evidentemente ritenersi che la stessa corte avrebbe dovuto rimettere la causa in istruttoria per consentire il reperimento o l’acquisizione della documentazione attestante la notificazione al L., essendo stata già da tempo segnalata alle parti la sua mancanza.

2.2 Anche l’assunto (evidentemente subordinato al primo) per cui l’integrazione del contraddittorio nei confronti di L.C. (e, in generale, degli eredi di D.C.M.) non sarebbe stata in realtà affatto necessaria introduce una censura che difetta di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, oltre a non cogliere esattamente le effettive ragioni poste a fondamento della decisione impugnata.

Secondo quanto emerge da quest’ultima, con riguardo agli eredi di D.C.M., era stata affermata, già nel corso del giudizio di appello (con ordinanza del 14 – 18 dicembre 2010), la sussistenza di un litisconsorzio “anche di natura sostanziale avendo la D.P. chiesto la riduzione in pristino dello stato dei luoghi”.

In ogni caso, la corte ha affermato che, pur a prescindere dalla sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario sul piano sostanziale, l’integrazione del contraddittorio era comunque necessaria, dovendo essa essere disposta non solo quando il giudizio di primo grado si è svolto nei confronti di litisconsorti necessari di diritto sostanziale e l’appello non è stato proposto nei confronti di alcuni di essi, ma in ogni caso in cui la parte, chiamata a partecipare ai precedenti gradi o fasi del giudizio, non sia stata citata in sede di impugnazione; ha altresì precisato che in caso di morte di una parte in corso di giudizio si determina, con riguardo ai suoi eredi, una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, per tutta la durata del giudizio (in conformità del resto all’indirizzo di questa Corte: cfr., sul primo punto: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7732 del 19/04/2016, Rv. 639306 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1535 del 26/01/2010, Rv. 611192 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16567 del 25/11/2002, Rv. 558681 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 12829 del 03/09/2002, Rv. 557242 – 01; sul secondo: Sez. 2, Sentenza n. 6780 del 02/04/2015, Rv. 634744 – 01 Sez. 1, Sentenza n. 6296 del 19/03/2014, Rv. 630505 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 18645 del 12/09/2011, Rv. 619484 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1202 del 19/01/2007, Rv. 594853 – 01).

Tali affermazioni non hanno costituito oggetto di puntuali e specifiche censure: i ricorrenti si sono limitati a sostenere che avrebbe errato la corte territoriale ad ordinare l’integrazione del contraddittorio in sede di revocazione, con ordinanza in data 13 novembre 2014, assumendo, del tutto genericamente, che gli unici proprietari dei fondi interessati dal giudizio erano L.A. e T.A., ma non hanno chiarito nè i motivi per cui sarebbe erronea l’originaria affermazione della sussistenza di un litisconsorzio necessario sul piano sostanziale anche con riguardo agli eredi di D.C.M., in relazione alle domande di riduzione in pristino dello stato dei luoghi avanzate dalla D.P., nè il motivo per cui sarebbe errata l’affermazione della corte in ordine alla necessità di integrazione del contraddittorio semplicemente sulla base della sussistenza di un litisconsorzio di natura processuale e comunque in virtù della mera partecipazione del L. al giudizio definito con la sentenza revocanda.

D’altra parte, non può farsi a meno di osservare che la sommaria esposizione dei fatti di causa contenuta nel ricorso risulta di per sè insufficiente a valutare la fondatezza delle ragioni poste a base del ricorso.

I ricorrenti non precisano esattamente l’oggetto delle domande reciprocamente proposte dalle parti nel giudizio di merito, in primo grado ed in grado di appello; non solo non è quindi possibile comprendere esattamente le reciproche pretese da esse formulate (nonchè i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificavano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fondano le sentenze di merito pronunciate), ma non è neanche possibile in alcun modo verificare in concreto la fondatezza dell’assunto in base al quale non sarebbe stato necessario integrare il contraddittorio nei confronti di Lu.Ar., L.E. e L.C..

3. Con il terzo motivo si denunzia “violazione art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.

Il motivo riguarda il merito della controversia, ed è quindi assorbito in conseguenza del mancato accoglimento dei primi due.

4. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo le parti intimate svolto attività difensiva nella presente sede. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018

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