Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31699 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 04/12/2019), n.31699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6998-2018 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, V. G. AVEZZANA

2/B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CAMMAROTA, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO TRAPANESE;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 795/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO

emessa il 6/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 6- 13 novembre 2017 numero 795 la Corte d’ Appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta S.S. nei confronti del datore di lavoro TRENITALIA S.p.A. per il recupero delle trattenute operate dalla società a titolo di IRPEF sull’incentivo all’esodo corrisposto all’atto della risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, in data 30.12.2005;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che quandanche TRENITALIA, quale sostituto di imposta, avesse erroneamente applicato l’aliquota IRPEF- per non aver tenuto conto dell’aliquota agevolata prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 4-bis – il credito del lavoratore era comunque estinto per prescrizione.

Esso, infatti, aveva natura retributiva, come già ritenuto dalla Suprema Corte in relazione alle ritenute operate indebitamente dal datore di lavoro per contributi previdenziali; si applicava, pertanto, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., già decorsa alla data del dedotto atto interruttivo;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso S.S., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese con controricorso TRENITALIA spa.

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria;

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo la parte ricorrente ha denunciato contraddittoria motivazione sul punto decisivo della natura retributiva del diritto azionato nonchè- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c..

Ha esposto che con il ricorso introduttivo non era stato dedotto il pagamento dell’incentivo all’esodo in misura inferiore al dovuto in quanto la somma concordata era stata erogata nella quantità lorda e secondo i tempi stabiliti.

Si deduceva, piuttosto, un danno provocato dall’effettuazione della tassazione IRPEF in misura maggiore di quella dovuta, in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 19, comma 4-bis, ratione temporis applicabile. La trattenuta IRPEF non era una voce in aumento della retribuzione ma un prelievo forzoso sulla stessa.

Erroneamente la Corte di merito aveva equiparato le ritenute effettuate per il debito di imposta alle ritenute per contributi, attribuendo anche alle prime natura retributiva.

A conferma di quanto esposto si rappresenta che nei cinque anni successivi alla tassazione l’Agenzia delle Entrate aveva effettuato un conguaglio di imposta sull’aliquota versata dal datore di lavoro a titolo di ritenuta di acconto, adeguandola alla giusta tassazione.

La azione del lavoratore per la ripetizione di quanto trattenuto indebitamente era inquadrabile nella previsione dell’art. 2033 e soggetta all’ordinaria prescrizione decennale;

che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

che, invero questa Corte (Cassazione civile sez. lav., 28/05/2019, n. 14502) ha già chiarito, con orientamento cui si intende assicurare continuità, che il credito vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per le somme trattenute indebitamente sullo stipendio a titolo di ritenute fiscali ha natura retributiva, facendo discendere da tale principio il diritto del lavoratore al computo degli interessi e della rivalutazione in sede di ripetizione delle medesime somme, indipendentemente dall’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex art. 429 c.p.c..

Nel richiamato arresto si è ritenuto, per quanto rileva in questa sede, che i principi già affermati in relazione alle somme indebitamente trattenute dal datore di lavoro a titolo di contribuzione previdenziale (per cui si veda Cass. n. 8026/2003; n.12269 e 12270/2005) siano riferibili anche alla eventualità di trattenute fiscali effettuate dal datore di lavoro in qualità di sostituto di imposta: l’eventuale accertamento di insussistenza del debito fiscale comporta l’obbligo del datore di lavoro al pagamento della quota di retribuzione trattenuta.

Il principio qui ribadito è del resto coerente con gli arresti della Sezioni Unite in punto di giurisdizione, essendosi ritenuto (Cass. SU 08.04.2010 n. 8312) che le controversie tra sostituto di imposta e sostituito relative al corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate dal sostituto rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto viene un rilievo un diritto del sostituito verso il sostituto nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio della potestà impositiva propria del rapporto tributario.

Non vi è dunque ragione per predicare- contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, anche in memoria- una qualificazione del diritto del lavoratore sostituito verso il datore di lavoro diversa rispetto a quella prospettata nei casi in cui la controversia verta sulla legittimità delle trattenute previdenziali operate dal medesimo datore di lavoro.

In entrambe le fattispecie ciò che il lavoratore fa valere è il diritto alla integrità della retribuzione, in quanto erosa da trattenute non dovute.

La sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto qui ribaditi ed è dunque immune dalle censure che le sono state mosse;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese di causa si compensano tra le parti, avendo questa Corte enunciato il principio qui ribadito in materia di ritenute di imposta in epoca successiva al deposito del ricorso;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 4 dicembre 2019

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