Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31695 del 07/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 07/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 07/12/2018), n.31695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 23590 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S. (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del rappresentante per procura,

S.L., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso,

dagli avvocati Stumpo Vincenzo (C.F.: STM VCN 67T20 H490X), Coretti

Antonietta (C.F.: CRT NNT 58D53 L117B) e Triolo Vincenzo (C.F.: TRL

VCN 64R26 F158R);

– ricorrente –

T.A. (C.F.: (OMISSIS));

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Foggia n.

1224/2016, pubblicata in data 21 aprile 2016;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 18 ottobre 2018 dal consigliere Tatangelo Augusto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.A. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza con cui è stata dichiarata l’improcedibilità dell’esecuzione da essa promossa nei confronti dell’INPS per ottenere il pagamento delle spese di registrazione di un’ordinanza di assegnazione emessa all’esito di una precedente procedura esecutiva contro il medesimo debitore (instaurata sulla base di titolo esecutivo costituito da sentenza pronunziata dal giudice del lavoro, per le spese di lite distratte in suo favore, quale procuratore distrattario della parte ricorrente).

Il Tribunale di Foggia ha accolto l’opposizione, ha revocato l’ordinanza impugnata, ha condannato l’INPS a pagare all’opponente le spese del processo esecutivo per Euro 1.606,09, nonchè le spese di lite, liquidate in Euro 263,97 per esborsi ed Euro 4.600,00 per onorario di avvocato, oltre accessori.

Ricorre l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale sulla base di quattro motivi.

L’intimata ha depositato una “memoria di costituzione” datata 4 luglio 2017.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere accolto.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va in primo luogo dichiarata inammissibile la memoria scritta depositata dalla parte intimata (in cui comunque non si prospettano questioni altrimenti rilevabili di ufficio diverse da quelle di cui appresso) al di fuori dei termini perentori fissati per la notificazione ed il deposito del controricorso, ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

Nel giudizio di Cassazione il contraddittorio si instaura – ed al contempo si tutela – mercè la notifica alla controparte di un controricorso (tra le altre: Cass. 03/04/1987, n. 3218; Cass. ord. 30/09/2015, n. 19570), entro il termine rigorosamente stabilito dall’art. 370 c.p.c.; nè può giovarsi l’intimata (v. già, in tal senso: Cass. ord. 20/10/2017, nn. 24835 e 24837) di interpretazioni di tutela del diritto di difesa della parte intimata indotte dall’entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 197 del 2016, visto che comunque, essendo questa entrata in vigore quando ancora ella avrebbe avuto la possibilità di ottemperare al disposto dell’art. 370 c.p.c., sarebbe stato suo onere dapprima notificare il controricorso, quand’anche tardivamente, per potere poi ancora interloquire in vista dell’adunanza camerale non partecipata con la memoria prevista dall’art. 380 bis c.p.c. (a contrario: Cass. ord. 24/05/2017, n. 13093).

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione degli artt. 616,617 e 618 c.p.c. in relazione all’art. 289 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Il motivo è manifestamente infondato.

Come già statuito in diversi precedenti, anche tra le medesime parti, “nei casi in cui il giudice dell’esecuzione, esercitando il proprio potere officioso, dichiari l’improcedibilità (o l’estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via nè sommaria nè provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, è impugnabile esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c.; diversamente, se adottato in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta perciò pendente, è impugnabile con reclamo ai sensi dell’art. 624 c.p.c. Al fine di distinguere tra le due ipotesi, deve ritenersi decisivo indice della natura definitiva del provvedimento la circostanza che, con esso, sia disposta (espressamente o, quanto meno, implicitamente, ma inequivocabilmente) la liberazione dei beni pignorati” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15605 del 22/06/2017, Rv. 644810 – 01; conf.: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10946 del 08/05/2018, Rv. 648877 – 01).

Come riferisce lo stesso ente ricorrente, nella specie il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato l’improcedibilità dell’esecuzione, l’estinzione (evidentemente “atipica”) della procedura e aveva disposto la liberazione delle somme pignorate: tale provvedimento era pertanto certamente impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi.

3. Con il secondo motivo si denunzia “violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 93,409,617,618 e 618 bis c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Con il terzo motivo si denunzia “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118disp. att. c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Con il quarto motivo si denunzia “violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Gli ulteriori motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente, essendo logicamente preliminare, ed assorbente, l’esame del secondo, che è manifestamente fondato (come del resto già statuito da questa Corte in svariati precedenti tra le medesime parti aventi ad oggetto identica questione: cfr., tra i tanti: Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9654 del 13/04/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11415 del 10/05/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanze nn. 12032 e 12034 del 16/05/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanze n. 14336 e 14337 del 08/06/2017; ed ancora: Sez. 6 – 3, Ordinanze nn. 18326, 21179, 21180, 23896, 23897, 23898, 23899, 23903, 23904, 23905, 24835, 24837, 29477, 29479, tutte del 2017; da ultimo, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19915 del 2018).

Come dedotto dall’istituto ricorrente, il giudizio di merito non è stato instaurato nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione all’esito della fase sommaria.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “il credito azionato “in executivis” dal difensore del lavoratore munito di procura nella sua veste di distrattario delle spese di lite, ancorchè consacrato in un provvedimento del giudice del lavoro, non condivide la natura dell’eventuale credito fatto valere in giudizio, cui semplicemente accede, ma ha natura ordinaria, corrispondendo ad un diritto autonomo del difensore, che sorge direttamente in suo favore e nei confronti della parte dichiarata soccombente; conseguentemente, non opera con riferimento al detto credito la competenza per materia del giudice del lavoro, prevista per l’opposizione all’esecuzione dall’art. 618-bis c.p.c.” (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24691 del 06/12/2010, Rv. 615760 – 01, secondo giurisprudenza consolidata a far data da Sez. L, Sentenza n. 17134 del 23/08/2005, Rv. 583401 – 01; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 11804 del 21/05/2007, Rv. 597805 – 01).

Nel caso di specie, il titolo esecutivo costituito dalla sentenza del giudice del lavoro che aveva liquidato le spese di lite, distraendole in favore del legale della parte ai sensi dell’art. 93 c.p.c., era stato in realtà (secondo quanto emerge dagli atti) addirittura già posto in esecuzione e soddisfatto, e la procedura esecutiva nell’ambito della quale risulta proposta la presente opposizione era stata promossa esclusivamente per il recupero delle spese di registrazione relative all’ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell’esecuzione a definizione di quel primo processo esecutivo.

Risulta pertanto senz’altro fondata la censura dell’istituto ricorrente secondo cui il giudizio di opposizione agli atti esecutivi avrebbe dovuto svolgersi secondo il rito ordinario, e non secondo il rito del lavoro (e in senso contrario non è possibile argomentare da altri precedenti di questa Corte relativi a controversie analoghe alla presente, nelle quali il rito del lavoro seguito nel grado di merito non era oggetto, come nel presente ricorso, di specifica censura).

Va di conseguenza fatta applicazione del principio di diritto richiamato nel ricorso, secondo cui “a norma dell’art. 618 c.p.c., comma 2, – nel testo sostituito dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 15 -, l’introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, all’esito dell’esaurimento della fase sommaria di cui al primo comma della indicata disposizione, deve avvenire, analogamente a quanto previsto dall’art. 616 c.p.c., con la forma dell’atto introduttivo richiesta nel rito con cui l’opposizione deve essere trattata, quanto alla fase di cognizione piena; pertanto, se la causa è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione, da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19264 del 07/11/2012, Rv. 624337 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 1152 del 19/01/2011, Rv. 615946 – 01).

Poichè l’opponente ha introdotto il giudizio con ricorso invece che con citazione, per rispettare il termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, avrebbe dovuto in tale termine non solo depositare il ricorso, ma anche notificarlo.

Non avendo proceduto in tal senso (il ricorso risulta depositato entro il termine assegnato, ma la sua notifica è avvenuta in data successiva alla sua scadenza), il Tribunale adito in sede di merito avrebbe dovuto rilevare il mancato rispetto del termine perentorio di cui all’art. 618 c.p.c., dichiarando inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi per tardiva instaurazione del giudizio di merito.

La sentenza che ha accolto l’opposizione è in definitiva affetta da nullità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4. Il primo motivo del ricorso è rigettato, il secondo è accolto, con assorbimento degli altri; la sentenza impugnata va di conseguenza cassata.

Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte decide nel merito, dichiarando inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla parte qui intimata.

Per le spese del giudizio di merito e per quello del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dall’intimata T.A.;

– condanna l’intimata al pagamento in favore dell’INPS delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 630,00, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.500,00, oltre rimborso del contributo unificato, Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018

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