Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31693 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2019, (ud. 24/01/2019, dep. 04/12/2019), n.31693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7242-2018 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

NICOTERA 24, presso lo studio dell’avvocato ANGELO SALUSTRI GALLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO MAGNALBO’;

– ricorrente –

contro

ISMEA – ISTITUTO DI SERVIZI PER IL MERCATO AGRICOLO ALIMENTARE – ENTE

DI DIRITTO PUBBLICO ECONOMICO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PARIOLI 79 H,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE LOBIANCO, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 326/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa BESSO

MARCHEIS CHIARA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. Con atto di citazione del 24 novembre 2004, Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma R.P., chiedendo di dichiarare la risoluzione, per inadempimento di quest’ultimo, del contratto di compravendita di un fondo rustico – stipulato nel 1999 tra il convenuto e la Cassa per la formazione della proprietà contadina (poi accorpata all’Ismea) – e di condannare il convenuto all’immediato rilascio del fondo; costituitosi tardivamente in giudizio, R. ammetteva l’inadempimento e chiedeva l’assegnazione di un termine per provvedere al saldo del residuo di quanto dovuto.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 3975/2009, in accoglimento della domanda attorea dichiarava la risoluzione del contratto e condannava il convenuto all’immediato rilascio del fondo oggetto del contratto.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello R.P., lamentando l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto grave il suo inadempimento, pur non avendo l’attore fornito prova al riguardo e avendo anzi accettato il versamento di Euro 85.000, in conto delle rate scadute.

La Corte d’appello di Roma – con sentenza 20 gennaio 2017, n. 326 – rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata in punto gravità dell’inadempimento.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione R.P..

Resiste con controricorso Ismea – Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., al termine della quale invita il Collegio a valutare la legittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012).

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Preliminarmente va affermata la tempestività del ricorso, contestata dal controricorrente, in base alla applicazione del termine annuale per la sua proposizione e non semestrale come prospettato da Ismea: la L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, che ha abbreviato in sei mesi il termine di proposizione delle impugnazioni ex art. 327 c.p.c., trova infatti applicazione, ai sensi della stessa L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009, cfr. Cass. 17060/2012, e il processo, nel caso in esame, è iniziato nel 2004. Trova poi applicazione la sospensione dei termini processuali prevista dal D.L. n. 189 del 2016, art. 49, commi 4 e 9-ter (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016).

Il ricorso è basato su un unico motivo, che lamenta violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, degli artt. 1456 c.c., comma 2, L. n. 590 del 1965, art. 28 e D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 11: il ricorrente, dopo la sentenza di primo grado, ha comunicato all’Ismea l’intenzione di estinguere anticipatamente il mutuo (estinzione anticipata, c.d. “riscatto del fondo”, prevista dalla L. n. 590 del 1965, art. 28), intenzione cui l’Istituto ha aderito assegnando però un termine troppo breve di cui egli ha chiesto la proroga, richiesta alla quale l’Istituto non ha dato risposta così che è stato citato innanzi al Tribunale di Macerata; dato che l’estinzione anticipata del mutuo viene ad avere priorità rispetto alla risoluzione contrattuale, l’Istituto, nell’aderire alla determinazione del ricorrente di estinguere anticipatamente il mutuo, avrebbe rinunciato alla domanda di risoluzione e agli effetti della sentenza di primo grado, così che il giudice d’appello non poteva confermare la pronuncia di risoluzione del contratto resa in primo grado.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello, considerato l’art. 6 del contratto di vendita – che disponeva la risoluzione di pieno diritto “nel caso lo stato di morosità dovesse perdurare per due annualità di preammortamento o di ammortamento” – e la deduzione da parte di Ismea dell’inadempimento dell’acquirente per quattro annualità (praticamente tutte le rate sino a quel momento maturate), inadempimento ammesso dal ricorrente, ha correttamente ritenuto che, con la notificazione della citazione, si era cristallizzato l’effetto risolutivo così che le vicende successive il pagamento di Euro 85.000 e la richiesta di riscatto – non avevano incidenza rispetto alla fattispecie. Di conseguenza ha concluso il giudice d’appello – non erano ravvisabili i presupposti per la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. in relazione al processo instaurato circa il riscatto del fondo. Al riguardo il ricorrente, che nel motivo non censura espressamente il rigetto dell’istanza di sospensione, nella memoria lamenta che se la Corte d’appello non ha sospeso, invece il Tribunale di Macerata, di fronte al quale è stato instaurato (nella pendenza del giudizio d’appello, cfr. il controricorso) il processo circa il riscatto del fondo, ha sospeso il processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c., doglianza che non può valere nel presente giudizio, dovendo le eventuali censure avverso il provvedimento di sospensione del diverso processo pendente innanzi al Tribunale di Macerata essere state fatte valere mediante regolamento di competenza.

II. Il ricorso va pertanto rigettato.

La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza.

Quanto alla questione di eventuale illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, questa Corte ha precisato che il compito affidato dalla disposizione al giudice è limitato alla dichiarazione della ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, senza che questi abbia alcun potere decisionale sulla debenza o meno del doppio del contributo, rispetto alla quale, trattandosi di vicenda di natura tributaria, il giudice naturale è quello tributario (così Cass. 26907/2018), così che la questione non è prospettabile in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 6.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2 sezione civile, il 24 gennaio 2019.

Depositato in cancelleria il 4 dicembre 2019

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