Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31687 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. II, 04/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 04/12/2019), n.31687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27173/2015 R.G. proposto da:

L.F.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Angelo Masini per

procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliato in Roma

presso lo studio dell’Avv. Lucia Buononato al viale delle Milizie n.

114;

– ricorrente –

contro

C.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Rosa Anna Giusti

per procura a margine del controricorso, elettivamente domiciliato

in Roma presso lo studio dell’Avv. Onofrio Di Paola al Lungotevere

dei Mellini n. 44;

– controricorrente –

e contro

R.G. e L.C., rappresentati e difesi dall’Avv.

Martino Angelini per procura a margine del controricorso,

domiciliati presso la cancelleria della Corte;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione

distaccata di Taranto, n. 324, depositata il 9 luglio 2015.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone

nell’udienza pubblica del 12 settembre 2019;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi l’Avv. Angelo Masini per il ricorrente, l’Avv. Rosa Anna Giusti

per il controricorrente C. e l’Avv. Arturo Benigni, su

delega, per i controricorrenti R. – L..

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.F.C., avvocato, depositava il 21 luglio 2006 presso il Tribunale di Taranto un ricorso d’ingiunzione per consegna di beni mobili avverso C.M. a nome dei coniugi R.G. e L.C., per i quali ultimi si dichiarava antistatario.

Emessa il 6 settembre 2006 e notificata il 16 settembre 2006, l’ingiunzione diventava definitiva, ed era portata ad esecuzione dal L.F., ma veniva successivamente impugnata dal C. per revocazione straordinaria da dolo processuale, con l’argomento che il L.F. aveva azionato il decreto nonostante il mandato gli fosse stato verbalmente revocato da entrambi i mandanti sin dal 4 agosto 2006, revoca verbale formalizzata dalla R. con raccomandata del 9/10 agosto 2006.

All’esito del giudizio revocatorio, al quale volontariamente intervenivano i coniugi R. – L. in adesione del C., era pronunciata la revocazione per dolo.

Soccombente anche in appello, il L.F. ricorre per cassazione sulla base di otto motivi.

Resistono il C. e i coniugi R. – L., con distinti controricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 396 e 398 c.p.c., per non aver il giudice d’appello rilevato, nonostante gli fosse stato rappresentato nella comparsa conclusionale dell’appellante, che la citazione di primo grado difettava dell’indicazione delle prove circa la data di scoperta del dolo revocatorio.

1.1. Il primo motivo è infondato.

Questa Corte ha avuto modo di precisare che l’art. 398 c.p.c., comma 2, quando richiede, a pena di inammissibilità, che la citazione per revocazione indichi le prove relative al giorno della scoperta del dolo, non esige un’articolazione specifica dei singoli capitoli di prova, essendo sufficiente che l’atto enunci il tipo di prova offerto e dettagli le circostanze in cui la scoperta del dolo è avvenuta (Cass. 20 novembre 1969, n. 3775; Cass. 18 febbraio 1986, n. 950).

Nella specie, dallo stesso odierno ricorso (pag. 9) si evince che l’atto di citazione per revocazione indicava la data del 15 maggio 2007 come quella nella quale il C. aveva appreso dell’intervenuta revoca verbale del mandato da parte dei coniugi R. – L., e altresì si evince che la medesima citazione affidava la prova della circostanza alle dichiarazioni da questi ultimi sottoscritte in data 17 giugno 2007; per di più, il controricorso del C. (pag. 7) informa che venne chiesta al riguardo anche una prova testimoniale, ritenuta superflua dal giudice.

L’offerta di prova risulta, quindi, del tutto adeguata al parametro normativo di ammissibilità, per l’osservanza del quale non rileva, ovviamente, l’esito concreto della prova offerta.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c., per aver il giudice d’appello ritenuto “incontroversa” la revoca del mandato da parte dei coniugi R. – L., revoca, invece, specificamente contestata.

Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c., art. 2697 c.c., per aver il giudice d’appello fondato la sua decisione sulla “credibilità” delle dichiarazioni sottoscritte dai coniugi R. – L., nonostante costoro, intervenendo nel giudizio di revocazione, avessero assunto la qualità di parte.

2.1. I motivi secondo e quarto, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono inammissibili.

Essi si risolvono in un artificioso frazionamento della valutazione probatoria del giudice d’appello, la quale, invece, pur concisa, ha una sostanza complessa, riferendosi non soltanto, nè principalmente, alla natura “incontroversa” della circostanza della revoca del mandato (natura evocata ad abundantiam con l’avverbio rafforzativo “perfino”), ma anche, e precipuamente, alle dichiarazioni sottoscritte ante causam dai coniugi R. – L. sulla revoca verbale del mandato, dichiarazioni stragiudiziali ritenute “credibili” perchè provenienti da soggetti non destinatari dell’ingiunzione revocanda, oltre che corroborate dalla formalizzazione scritta della revoca da parte della R..

Sotto l’apparenza della censura per violazione di legge, i motivi in scrutinio tendono ad un’inammissibile riedizione del giudizio di merito probatorio, fondato sulla natura pacifica della revoca formale della R. e sulla credibilità che ne deriva all’assunto di una revoca verbale manifestata da entrambi i coniugi qualche giorno prima.

Opera il consolidato principio secondo il quale la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può essere denunciata in cassazione per sovvertire una valutazione probatoria che si assume erronea, occorrendo, invece, che si alleghi l’utilizzo di prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio fuori dei limiti legali, ovvero la pretermissione di prove legali, ovvero, ancora, l’attribuzione di forza piena a mezzi liberamente valutabili (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229).

Ancora: è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparenza della denuncia per violazione di legge, tenda ad ottenere una riedizione del giudizio di fatto, così da indurre una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in terzo grado di merito (Cass. 4 aprile 2017, n. 8758).

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e omesso esame di fatto decisivo, per aver il giudice d’appello ignorato l’esistenza del giudicato formatosi sull’opposizione del C. avverso l’esecuzione dell’ingiunzione revocanda (sentenza n. 1444/2007 del Tribunale di Taranto).

3.1. Il terzo motivo è infondato.

L’autorità del giudicato sostanziale vale soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione, e presuppone, quindi, che tra le cause vi sia identità di parti, petitum e causa petendi (Cass. 27 agosto 2002, n. 12564; Cass. 19 luglio 2005, n. 15222; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1760; Cass. 24 marzo 2014, n. 6830).

Il giudicato esterno richiamato dall’odierno ricorrente si è formato in una causa avente un oggetto ordinario (esecuzione per consegna), eterogeneo rispetto all’oggetto straordinario del dolo revocatorio, e l’assetto soggettivo dei procedimenti risulta, infatti, totalmente differente, come attesta l’evidenza che, nell’un giudizio, il L.F. intendeva rappresentare i coniugi R. – L., mentre, nell’altro, egli è ad essi contrapposto.

4. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 85 e 643 c.p.c., per aver il giudice d’appello ritenuto che la revoca del mandato caduta tra il deposito del ricorso ingiuntivo e l’emissione del decreto ostasse alla perpetuazione dell’ufficio defensionale, pur in assenza della nomina di un sostituto.

Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 93 c.p.c., per non aver il giudice d’appello considerato che la revoca del mandato non incideva sull’interesse personale del procuratore distrattario.

4.1. I motivi quinto e sesto, da esaminare unitariamente per connessione logica, sono infondati.

Questa Corte ha avuto modo di precisare che, essendo consentita dall’art. 93 c.p.c., al solo “difensore con procura”, la richiesta di distrazione delle spese non può essere avanzata dal difensore dopo l’estinzione del mandato per rinuncia o revoca, ancorchè la parte non abbia ancora provveduto alla sostituzione, in quanto l’art. 85 c.p.c., prevedendo l’inefficacia della rinuncia o revoca fino a sostituzione “nei confronti dell’altra parte”, non concerne il rapporto interno di mandato, dove la rinuncia e la revoca hanno effetto, come qualsiasi dichiarazione ricettizia, sin dal momento in cui siano state comunicate alla controparte negoziale (Cass. 29 agosto 1992, n. 9994).

Edotto della revoca del mandato nelle more del rilascio del decreto ingiuntivo, il difensore revocato non avrebbe dovuto notificare il decreto, una volta emesso, e quindi non avrebbe dovuto instaurare la lite ex art. 643 c.p.c., comma 3, nonostante il decreto recasse pronuncia di distrazione, appunto perchè, a norma dell’art. 1722 c.c., n. 2, la revoca aveva già estinto il mandato nel rapporto interno col mandante revocante (fermo l’obbligo di questi, ai sensi dell’art. 1720 c.c., comma 1, di rimborsare le spese anticipate e pagare il compenso inerenti al deposito monitorio).

5. Il settimo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., per aver il giudice d’appello solo apparentemente motivato in punto di sussistenza del dolo revocatorio.

5.1. Il settimo motivo è infondato.

Apparente è la motivazione che, pur graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione (Cass., sez. un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977).

Nella specie, il giudice d’appello ha espresso una riconoscibile, seppur stringata, ratio decidendi, con l’affermare in sentenza che “l’avv. L.F. ha proseguito in ogni attività giudiziaria benchè privo di potere” (pag. 5) e che “l’indebita prosecuzione di ogni attività difensiva in difetto di mandato, perfino in sede esecutiva, ha integrato violazione dei canoni di lealtà e probità” (pag. 6).

La doglianza finisce per involgere, allora, non l’esistenza della motivazione, bensì la sua sufficienza, il che ormai eccede l’ambito del sindacato motivazionale di legittimità (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass. 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. 25 settembre 2018, n. 22598).

6. L’ottavo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 1, per aver il giudice d’appello riscontrato il dolo processuale revocatorio nel mero silenzio tenuto dal professionista sulla revoca del mandato, e quindi in difetto di specifici artifici e raggiri.

6.1. L’ottavo motivo è infondato.

Gli artifici e raggiri idonei ad integrare il dolo processuale revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 1, possono consistere anche nel mendacio o silenzio, se questo concorre ad un’attività decettiva che impedisce al giudice di conoscere la verità (Cass., sez. un., 6 settembre 1990, n. 9213; Cass. 22 gennaio 2001, n. 888; Cass. 29 gennaio 2002, n. 1155).

Nella giurisprudenza di legittimità formatasi intorno all’art. 395 c.p.c., n. 1, è nitida la distinzione tra silenzio mero e silenzio decettivo, distinzione che esalta il profilo causale del dolo revocatorio, esser cioè il provvedimento, come dice la norma, “l’effetto” del dolo: il silenzio mero, pur eventualmente rilevante sotto il profilo del dovere di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., non integra dolo revocatorio perchè è contegno strettamente omissivo, isolato sul piano operativo, e quindi privo di una reale efficacia causale; viceversa, il silenzio decettivo, quale elemento coordinato di un’operatività positiva, come tale idonea a determinare il provvedimento del giudice, può integrare il dolo processuale revocatorio, attivando la reazione impugnatoria dell’ordinamento.

Presso la dottrina, l’irrilevanza revocatoria del silenzio mero è giustificata con l’inquadramento nella categoria del dolus bonus e con l’evocazione del principio nemo tenetur edere contra se: per il tratto strategico e operativo che lo definisce, il silenzio decettivo resta estraneo a tali giustificazioni.

Il silenzio su fatti decisivi può integrare dolo processuale revocatorio, agli effetti dell’art. 395 c.p.c., n. 1, se ed in quanto costituisca elemento essenziale di una macchinazione fraudolenta, diretta a trarre in inganno la controparte e idonea, in relazione alle circostanze, a pregiudicarne la difesa nonchè ad impedire al giudice l’accertamento della verità (Cass. 15 novembre 2013, n. 25761).

Fermo che l’idoneità decettiva della fattispecie concreta è oggetto riservato del giudizio di merito, nel caso in esame il procuratore revocato non si è limitato a tacere la revoca del mandato, bensì, come risulta dallo stesso odierno ricorso (pag. 3), ha svolto plurime attività che del mandato stesso postulavano la persistenza e la spendita (richiesta di copie esecutive dell’ingiunzione, notifica del decreto con atto di precetto), cosicchè il suo silenzio appare inscritto in un quadro operativo, aderente alla fattispecie legale revocatoria.

7. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio delle spese processuali e raddoppio del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ad entrambi i controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 3.000,00 a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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