Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31685 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. II, 04/12/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 04/12/2019), n.31685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 10179/2015 R.G. proposto da:

D.L.G., c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via A. Gramsci, n. 36, presso lo studio dell’avvocato Maurizio

de Tilla che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Raffaele

Martone lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale a

margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

M.A., c.f. (OMISSIS), M.F. c.f. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza della corte d’appello di Napoli n. 1436 dei

1/2.4.2014;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7

giugno 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del

primo, del quarto e del nono motivo di ricorso, assorbiti gli

ulteriori motivi;

udito l’avvocato Raffaele Martone per il ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 16.6.2000 D.L.G. citava a comparire dinanzi al tribunale di Avellino M.A., M.F. ed C.A..

Premetteva che con atto in data 28.2.1999 aveva promesso di acquistare ed i convenuti avevano promesso di vendergli, per il prezzo di Lire 140.000.000, un piccolo fabbricato ed il terreno circostante in (OMISSIS); che alla stipula dell’atto aveva provveduto al versamento della somma di Lire 90.000.000 ed era stato immesso nel possesso dell’immobile; che si era pattuito che il residuo prezzo sarebbe stato versato alla stipula del rogito.

Indi esponeva che una porzione del terreno era stata oggetto di espropriazione per la costruzione di una strada; che il Comune di Pietrastornina aveva rilasciato attestazione n. (OMISSIS) di ubicazione dell’immobile in zona ad elevato rischio idrogeologico; che l’A.S.L. competente aveva riscontrato la mancanza del certificato di abitabilità, la mancanza di acqua potabile e la mancanza dell’impianto di smaltimento delle acque reflue domestiche.

Chiedeva che fosse dichiarata la risoluzione del preliminare per grave inadempimento dei promittenti venditori e ne fosse pronunciata la condanna, oltre che al risarcimento del danno, alla restituzione di Lire 180.000.000, quale doppio della caparra confirmatoria, detratto l’importo, da computarsi equitativamente, correlato alla fruizione da parte sua del cespite compromesso.

2. Si costituivano M.A., M.F. ed C.A..

Instavano per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedevano dichiararsi e darsi atto della legittimità dell’operato recesso ex art. 1385 c.c., dal contratto nonchè della legittimità dell’operata ritenzione della caparra; chiedevano altresì condannarsi l’attore alla restituzione del compendio immobiliare nonchè al risarcimento del danno correlato all’illegittima detenzione a far data dall’8.6.2000 sino alla riconsegna.

3. Assunta la prova testimoniale, con sentenza n. 1093/2007 l’adito tribunale dichiarava il preliminare risolto alla data del 7.6.2000 a seguito e per effetto del recesso legittimamente esercitato dai promittenti venditori, dichiarava da costoro legittimamente acquisita la caparra confirmatoria, condannava l’attore a pagare ai convenuti la somma di Euro 23.250,00, oltre interessi.

4. Proponeva appello D.L.G..

Resistevano M.A. e M.F. (anche quali eredi di C.A.).

Con sentenza n. 1436 dei 1/2.4.2014 la corte d’appello di Napoli rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Evidenziava la corte che maggiormente grave era l’inadempimento ascrivibile al promissario acquirente, chè non aveva inteso recarsi dal notaio ai fini della stipula del definitivo.

Evidenziava segnatamente che l’espropriazione aveva riguardato una piccola porzione, di appena mq. 42, del terreno compromesso; che, alla stregua della previsione di cui all’art. 4, il preliminare era stato “stipulato con riferimento all’attuale stato di fatto dei beni, ben noto alle parti, nonchè alla loro consistenza”, sicchè l’appellante non aveva ragione per ascrivere a controparte le asserite inadempienze.

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.L.G.; ne ha chiesto sulla scorta di nove motivi, variamente articolati, la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

M.A. e M.F. non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 1183,1322 c.c. e segg., art. 1362 c.c. e segg., artt. 1385,1453,1454,1455,1460,1490 c.c. e segg., artt. 1494,1495 e 1669 c.c. e segg., artt. 115,116 e 132 c.p.c..

Deduce che ha errato la corte di merito a rigettare la sua domanda di risoluzione del preliminare per inadempimento dei promittenti venditori.

Deduce che la previsione dell’art. 4, costituisce mera “clausola di stile”, del tutto generica ed inidonea a rendere irrilevanti la mancanza della licenza di abitabilità, l’espropriazione parziale dell’immobile compromesso in vendita e le ulteriori inadempienze da ascrivere ai promittenti venditori.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 1453,1454,1455,1460,1477 c.c. e segg. e artt. 1490 c.c. e segg., artt. 115 e 116 c.p.c. e D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 24 e segg..

Deduce che, in ipotesi di preliminare di vendita di un immobile destinato ad abitazione, costituisce grave inadempimento, integrante la figura dell’aliud pro alio, la mancata consegna, ai sensi dell’art. 1477 c.c., comma 3, del certificato di abitabilità, a meno che il promissario acquirente non vi abbia espressamente rinunciato ovvero non abbia esonerato il promittente venditore dall’assolvimento di siffatto obbligo.

Deduce che nel preliminare non si fa cenno alcuno al certificato di abitabilità, sicchè è da escludere che in qualità di promissario acquirente vi abbia rinunciato; che è in ogni caso abilitato a domandare la risoluzione del contratto, pur ad ammettere che al momento della stipula del preliminare abbia avuto conoscenza che l’immobile fosse privo dell’abitabilità.

Deduce che è provato in via documentale che l’immobile non è abitabile.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 1325, 1418, 1419, 1453, 1454, 1455, 1460, 1470 c.c. e segg., artt. 1477c.c. e segg., artt. 1490, 1492, 1495 e segg., artt. 1537 e 1538 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che è provato in via documentale che l’immobile è stato in parte oggetto di espropriazione; che i promittenti venditori non hanno dichiarato tale circostanza al momento della stipula del preliminare; che è irrilevante che la porzione espropriata è di modesta superficie.

Deduce quindi che i promittenti venditori, siccome privi di qualsivoglia diritto limitatamente alla porzione espropriata, hanno dato corso alla stipulazione di un preliminare ad oggetto impossibile, di conseguenza nullo nella sua interezza.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 1453,1454,1455,1460,1477 c.c. e segg., artt. 1490,1492,1495 c.c. e segg., artt. 115 e 116 c.p.c., D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 24 e segg., R.D. n. 1265 del 1934, artt. 220 e 221 e del D.M. 5 luglio 1975.

Deduce che ha errato la corte distrettuale allorquando ha reputato irrilevanti, ai fini del riscontro dell’inadempimento dei promittenti venditori, la mancanza delle condizioni igienico – sanitarie e la mancanza dell’impianto di smaltimento delle acque reflue; che trattasi viceversa di presupposti indispensabili ai fini del rilascio della licenza di abitabilità e comunque di gravi vizi del bene promesso in vendita, idonei a comprometterne significativamente la funzionalità e la possibilità di godimento.

Con il quinto motivo il ricorrente – “solo subordinatamente” (così ricorso, pag. 20) – denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost., artt. 1175 c.c. e segg., artt. 1218,1256,1362,1363,1366,1369,1418,1419,1453,1454,1455,1460,1463 c.c. e segg., artt. 1490,1492,1495 c.c. e segg., artt. 2697 e 2932 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 47 del 1985, art. 40.

Deduce che ha errato la corte territoriale, allorquando, in sede di comparazione dei reciproci comportamenti dei contraenti, non ha tenuto conto che la stipula del contratto definitivo è stata impedita dalle gravi inadempienze ascrivibili ai promittenti venditori e dai vizi dell’immobile.

Deduce segnatamente che la mancanza del certificato di abitabilità legittima il rifiuto del promissario acquirente di recarsi dinanzi al notaio per la stipula del definitivo.

Deduce d’altra parte che, se è nulla la vendita di un immobile che presenti irregolarità dal punto di vista urbanistico, è analogamente nullo il preliminare di vendita di un immobile siffatto.

Con il sesto motivo il ricorrente – “in linea ancora più subordinata” (così ricorso, pag. 24) – denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1137 c.c. e segg., artt. 1175 c.c. e segg., artt. 1185 c.c. e segg., artt. 1218 c.c. e segg., artt. 1385 c.c. e segg., artt. 1453 c.c. e segg., artt. 1490 c.c. e segg. e artt. 2697 c.c. e segg. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che la corte di Napoli ha omesso l’esame ed ha comunque insufficientemente e contraddittoriamente valutato l’allegata documentazione e le acquisite dichiarazioni testimoniali, idonee a dar ragione dei vizi e delle irregolarità urbanistiche ed edilizie dell’immobile e della avvenuta loro conoscenza in epoca successiva alla stipula del preliminare.

Con il settimo motivo il ricorrente – “in linea ancora più subordinata” (così ricorso, pag. 27) – denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1183,1385,1453,1454,1455,1460 e 1490 c.c. e segg. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che ha errato la corte napoletana, allorchè ha reputato legittimo il recesso dei promittenti venditori.

Deduce che invero è pienamente legittimo il suo rifiuto di addivenire alla sigla del definitivo, per la cui stipula non era stato pattuito alcun termine; che al contempo, ricevuta comunicazione del recesso, ha tempestivamente contestato ai promittenti, con la notifica dell’iniziale citazione, gli inadempimenti a costoro ascrivibili.

Deduce altresì che l’art. 3 del preliminare gli rimetteva la scelta del notaio e l’indicazione della data di stipula del definitivo, sicchè sarebbe stato onere dei promittenti venditori proporre azione giudiziaria perchè a tali fini gli fosse fissato un termine.

Con l’ottavo motivo il ricorrente – “sempre in linea subordinata” (così ricorso, pag. 32) – denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1122 c.c. e segg., artt. 1175 c.c. e segg., artt. 1281 c.c. e segg., artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1385,1453 c.c. e segg. e art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che la somma di Lire 90.000.000, pari a circa il 70% del prezzo pattuito, è stata versata alla stipula del preliminare anche a titolo di acconto prezzo; che in ogni caso, in ipotesi di dubbia qualificazione, sarebbe stato onere dei promittenti dimostrare l’avvenuta corresponsione della somma a titolo di caparra confirmatoria.

Con il nono motivo il ricorrente – “sempre in linea subordinata” (così ricorso, pag. 33) – denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1183,1322 c.c. e segg., artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1385,1453,1454,1455,1460 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che ha errato la corte di merito a condannarlo al pagamento dell’importo di Euro 23.250,00 a titolo di risarcimento danni; che è illegittimo il cumulo della caparra e del risarcimento dei danni.

Deduce comunque che è stato condannato al risarcimento, ancorchè nessuna prova controparte ha offerto degli asseriti danni.

7. Si evidenzia previamente quanto segue.

Da un canto, che M.A. e F., in proprio e quali eredi di C.A., ebbero in grado d’appello ad eleggere domicilio con gli avvocati Rossella Pollio e Vincenzo Monfrecola in (OMISSIS).

Dall’altro, che il ricorso a questa Corte di legittimità risulta notificato – in data 15.4.2015 – ad M.A. e F., in proprio e quali eredi di C.A., presso gli avvocati Rossella Pollio e Vincenzo Monfrecola, nel domicilio eletto in (OMISSIS).

Vi è dunque divergenza tra il luogo ove gli intimati ebbero in seconde cure, presso gli avvocati Rossella Pollio e Vincenzo Monfrecola, ad eleggere domicilio ed il luogo ove agli intimati, nel domicilio eletto presso gli avvocati Rossella Pollio e Vincenzo Monfrecola, è stato notificato il ricorso per cassazione.

Nondimeno devesi opinare per la validità della notificazione del ricorso.

Si dà atto dapprima che la notifica del ricorso per cassazione è stata eseguita ai sensi dell’art. 139 c.p.c., commi 3 e 4, a mani del portiere dello stabile (di (OMISSIS)), attesa la – debitamente attestata – precaria assenza e degli avvocati Rossella Pollio e Vincenzo Monfrecola e di persone conviventi, con successivo inoltro ai medesimi legali di raccomandata postale (gli avvisi di ricevimento risultano sottoscritti parimenti dal portiere dello stabile).

Su tale scorta si rimarca quanto segue.

Per un verso, che per le notificazioni eseguite in forma diversa da quella della consegna a mani proprie del notificando nella sua residenza, dimora o domicilio, ex art. 139 c.p.c., opera il principio della cognizione legale che si basa sulla presunzione in forza della quale chi si trova in determinati rapporti con il destinatario dà affidamento di portare l’atto a sua conoscenza, con il limite naturale che il principio non può operare quando il rapporto di fiducia non vi sia per un contrasto giuridicamente qualificato di interessi, salva la responsabilità del consegnatario per l’omissione, talchè qualora il destinatario della notificazione non deduca l’inesistenza del rapporto di fiducia con chi ha ricevuto la copia dell’atto notificato, detta notifica è pienamente valida (cfr. Cass. 3.6.1998, n. 5452; cfr. anche Cass. 13.3.1996, n. 2100, secondo cui, ai fini della invalidità della notifica al portiere, è necessario fornire la prova dell’esistenza di un contrasto giuridicamente qualificato di interessi del portiere con il destinatario della notifica, tale da escludere il rapporto di fiducia).

Per altro verso, che la notifica dell’atto di impugnazione effettuata a mani della persona “addetta al ritiro” – e, si aggiunge, similmente, a mani del portiere – in luogo diverso da quello indicato dal procuratore domiciliatario e pur in assenza di alcuna indicazione negli atti processuali, in cui non risulti nemmeno un’eventuale comunicazione all’ordine degli avvocati da parte del destinatario, deve ritenersi perfettamente valida, dovendosi privilegiare il riferimento personale su quello topografico, in quanto, ai fini della notifica dell’impugnazione ai sensi dell’art. 330 c.p.c., l’elezione di domicilio presso lo studio del procuratore assume la mera funzione di indicare la sede di questo ed è priva di una sua autonoma rilevanza (cfr. Cass. (ord.) 24.7.2009, n. 17391; Cass. 13.11.2012, n. 19763).

8. Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono strettamente connessi. Il che ne suggerisce la disamina contestuale. I medesimi motivi sono, nei limiti che seguono, fondati e meritevoli di accoglimento.

9. Si puntualizza, innanzitutto, che l’immobile oggetto del preliminare che le parti in lite ebbero a siglare in data 28.2.1999, alla stregua del certificato del Comune di Pietrastornina in data 5.6.2000 e del verbale di sopralluogo in data 7.4.2000 dell'”A.S.L. Avellino (OMISSIS)”, riprodotti alle pagine 8 – 9 del ricorso (evidentemente in ottemperanza dal canone dell'”autosufficienza”), è ubicato “in zona a rischio idrogeologico molto elevato” ed è privo di certificato di abitabilità, è sprovvisto di acqua potabile ed è dotato di un impianto di smaltimento delle acque refluee domestiche inidoneo.

Si puntualizza, altresì, che è fuor di contestazione che l’immobile oggetto del preliminare per cui è controversia, è stato, seppur per una porzione di mq. 42, fatto segno di espropriazione per la costruzione di una strada pubblica.

10. Sulla scorta delle surriferite puntualizzazioni si evidenzia quanto segue.

In primo luogo, che, nel caso in cui sia stato anticipatamente immesso nella disponibilità materiale dell’immobile compromesso in vendita (è la fattispecie de qua), il promissario acquirente è senz’altro legittimato a domandare la risoluzione del contratto, qualora sussistano vizi atti a rendere l’immobile inidoneo all’uso cui è destinato, in particolare all’uso abitativo in dipendenza della mancanza della licenza di abitabilità (cfr. Cass. 6.11.1987, n. 8220, ove si soggiunge che il promissario acquirente non può avvalersi della disciplina relativa alla garanzia per i vizi della cosa venduta, che si riferisce solo al contratto definitivo; Cass. 26.5.2004, n. 10148; Cass. 14.1.2010, n. 477). Propriamente il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compromesso in vendita, poichè vale a incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico – sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità; cosicchè il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra consegna di aliud pro alio (cfr. Cass. 26.1.2006, n. 1514) e legittima il rifiuto del promissario acquirente di addivenire alla stipula della compravendita definitiva (cfr. Cass. 11.5.2009, n. 10820).

In secondo luogo, che, del pari nel caso in cui sia stato anticipatamente immesso nella disponibilità materiale dell’immobile compromesso in vendita, il promissario acquirente è legittimato a domandare la risoluzione del contratto in rapporto ai vizi, segnatamente alla mancanza del certificato di abitabilità, non considerati al momento della stipula del preliminare (cfr. Cass. 26.5.2004, n. 10148; Cass. 14.1.2010, n. 477). Cosicchè è da escludere la legittimazione all’esercizio dell’azione di risoluzione, qualora risulti che il promissario acquirente abbia avuto conoscenza dei vizi, segnatamente della mancanza del certificato di abitabilità (cfr. Cass. 12.11.2013, n. 25427, secondo cui, in tema di contratto preliminare, l’eccezione di inadempimento basata sulla mancanza del certificato di abitabilità dell’immobile o della presenza di difformità edilizie sanabili non può essere proposta qualora risulti che il promissario acquirente era a conoscenza di tale situazione; Cass. 14.11.2002, n. 16024).

In terzo luogo, che, ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l’indagine circa fa gravità della inadempienza deve tenere conto del valore, determinabile mediante il criterio di proporzionalità, della parte dell’obbligazione non adempiuta rispetto al tutto (criterio “oggettivo”), nonchè considerare se, per effetto dell’inadempimento, si sia verificata, ai danni della controparte, una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale (criterio “soggettivo”) (cfr. Cass. 11.6.2018, n. 15052; Cass. 23.2.1981, n. 1078). Al contempo, che la surriferita indagine costituisce questione “di fatto”, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 30.3.2015, n. 6401; Cass. 7.6.2011, n. 12296).

In quarto luogo, che, in tema di contratti, il giudice di merito, anche a fronte di una clausola estremamente generica ed indeterminata, deve comunque presumere che sia stata oggetto della volontà negoziale, sicchè deve interpretarla in relazione al contesto (art. 1363 c.c.) per consentire alla stessa di avere qualche effetto (art. 1367 c.c.) e, solo se la vaghezza e la genericità siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa un qualsivoglia rilievo nell’ambito dell’indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.), ovvero siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti, può negare ad essa efficacia qualificandola come clausola di “stile” (cfr. Cass. 31.5.2013, n. 13839; Cass. 27.1.2009, n. 1950).

11. Ebbene alla luce degli operati rilievi si reputa quanto segue.

11.1. Allorquando, in dipendenza della esiguità – mq. 42 – della porzione (dell’immobile compromesso) espropriata ai fini della costruzione della pubblica via, ha disconosciuto la gravità dell’inadempimento che il promissario acquirente ha inteso ascrivere ai promittenti venditori, la corte distrettuale ha, in parte qua, provveduto ad una valutazione “in fatto” assolutamente ineccepibile, congrua ed esaustiva.

La valutazione operata della corte territoriale invero ha tenuto conto e del parametro “oggettivo” e del parametro “soggettivo”.

Segnatamente la corte di Napoli ha vagliato “l’esiguità della porzione espropriata, in assenza di qualsivoglia indicazione in ordine alla sua utilità rispetto alla complessiva consistenza dell’immobile” (così sentenza d’appello, pag. 7).

Ossia ha rimarcato che il promissario acquirente non aveva provveduto ad allegare elementi di valutazione idonei a dar ragione del suo concreto interesse all’acquisto dell’immobile compromesso in quanto imprescindibilmente comprensivo pur dell’esigua porzione oggetto di espropriazione.

In pari tempo l’operata valutazione “in fatto” risulta ineccepibile e nel solco del novello disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Propriamente l’operata valutazione “in fatto” risulta esente da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite.

Propriamente l’operata valutazione “in fatto” implica sicura disamina del fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua agitur la res litigiosa.

11.2. Viceversa, allorquando ha assunto che, in dipendenza dalla clausola di cui all’art. 4 del preliminare (“questo contratto viene stipulato con riferimento all’attuale stato di fatto dei beni, ben noto alle parti, nonchè alla loro consistenza”), la mancanza del certificato di abitabilità e gli ulteriori difetti denunciati fossero ben noti al promissario acquirente e dunque ha escluso che la clausola di cui all’art. 4 fosse “di mero stile”, la corte napoletana ha solo “apparentemente” motivato.

Più esattamente la corte partenopea non ha dato conto di aver atteso all’interpretazione della clausola de qua in relazione al complesso delle ulteriori pattuizioni di cui al preliminare e si è limitata ad affermare tout court che non valevano ad integrare gli estremi dell’inadempimento idoneo a giustificare l’invocata risoluzione “le ulteriori mancanze del bene dedotte dall’appellante (mancanza del certificato di abitabilità e di impianto di smaltimento delle acque reflue domestiche, ubicazione in zona ad elevato rischio idrogeologico), in quanto situazioni di fatto che l’acquirente, nel contratto preliminare, ha dichiarato essergli note” (così sentenza d’appello, pag. 7).

Si badi, per un verso, che, in tema di interpretazione del contratto, anche quando l’interpretazione di ciascuna delle clausole che concorrono alla formazione del testo negoziale è compiuta sulla base del “senso letterale delle parole” e conduca a risultati di certezza, il giudice è tenuto ad applicare il criterio dell’interpretazione sistematica, posto dall’art. 1363 c.c., riferendo le varie espressioni adoperate all’intero testo in modo da ricavarne il senso complessivo e nel contempo intendere la singola espressione in funzione del testo, di cui è parte integrante (cfr. Cass. 11.6.1999, n. 5747; altresì Cass. 14.11.2002, n. 16.022, secondo cui, in tema di interpretazione delle clausole contrattuali, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c., il giudice non può limitarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, pur ove le une e le altre possano apparire rappresentative d’una manifestazione di volontà di senso compiuto, ma deve procedere secondo un “iter” che, partendo dall’accertamento del senso letterale di ciascuna, questo poi verifichi nel confronto reciproco e, infine, armonizzi razionalmente nella valutazione unitaria dell’atto; Cass. (ord.) 30.1.2018, n. 2267).

Si badi, per altro verso, che il vizio di motivazione “apparente” (anomalia motivazionale rilevante pur nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte) ricorre quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

12. Il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo sono stati espressamente esperiti dal ricorrente in via subordinata (cfr. ricorso, pagg. 20, 24, 27, 32 e 33), ossia in ipotesi di esito infausto dei primi quattro motivi di impugnazione.

Il che comporta che questa Corte è in pari tempo dispensata dalla disamina ed onerata della disamina dei profili di censura veicolati dal quinto, sesto, settimo, ottavo e nono mezzo, in quanto si correlino, rispettivamente, ai profili di censura dai primi quattro mezzi veicolati ed accolti ed ai profili di censura dai primi quattro mezzi veicolati e respinti.

Negli esposti termini, specificamente in ordine ai profili di censura che si correlano all’inadempimento ascritto ai promittenti venditori in dipendenza dell’espropriazione di porzione dell’immobile compromesso (i profili di censura a tal riguardo sono stati in precedenza respinti), si rappresenta quanto segue.

12.1. L’ineccepibile ed inappuntabile riscontro del difetto di gravità dell’inadempimento ascritto ai promittenti e correlato – dal promissario – all’espropriazione di parte dell’immobile compromesso, assorbe e rende vana la censura (veicolata dal quinto mezzo) secondo cui la porzione “oggetto di esproprio (…) non potrà costituire oggetto di un atto di trasferimento tra privati” (così ricorso, pag. 22).

12.2. In relazione all’ineccepibile ed inappuntabile riscontro del difetto di gravità dell’inadempimento ascritto ai promittenti e correlato – dal promissario – all’espropriazione di parte dell’immobile compromesso, è vano dolersi (con il sesto mezzo) dell'(asserita) insufficiente e contraddittoria valutazione delle risultanze documentali (“estratto piano particellare relativo alla strada di collegamento da farsi”: così ricorso, pag. 25) e testimoniali.

Invero, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante: (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

12.3. L’ineccepibile ed inappuntabile riscontro del difetto di gravità dell’inadempimento ascritto ai promittenti e correlato – dal promissario – all’espropriazione di parte dell’immobile compromesso, assorbe e rende vana, per tale aspetto, la censura (veicolata dal settimo mezzo) secondo cui la corte d’appello avrebbe errato a considerare “esercitato validamente il diritto di recesso ad opera di essi M.” (così ricorso, pag. 28).

Con riferimento e limitatamente all’espropriazione di porzione del cespite compromesso, cioè, il difetto di gravità dell’inadempimento ascritto ai promittenti, per un verso, ha legittimato costoro al recesso ex art. 1385 c.c., comma 2, per altro verso, non ha legittimato il promissario – ricorrente in questa sede – al rifiuto di stipulazione del definitivo.

Al contempo a nulla vale (con riferimento e limitatamente all’espropriazione di porzione del cespite compromesso) che il promissario – ricorrente in questa sede – adduca che, ai fini del riscontro della legittimità del recesso esercitato dai promittenti, la corte di merito non ha chiarito se l’inadempimento che ha inteso ascrivergli ( D.L.G. “non si era recato dal notaio per stipulare il definitivo”: così sentenza d’appello, pag. 5) fosse o meno grave.

Invero l’obbligo del giudice di merito di accertare il presupposto dell’importanza dell’inadempimento, richiesto dall’art. 1455 c.c., al fine della pronunzia di risoluzione del contratto, deve ritenersi osservato, anche in difetto di un’espressa indagine diretta all’individuazione di tale presupposto, allorquando dal complesso della motivazione (è il caso di specie) emerga che il giudice abbia comunque considerato gli elementi che incidevano in maniera rilevante sull’equilibrio contrattuale (cfr. Cass. 17.8.2011, n. 17328).

12.4. In relazione all’ineccepibile ed inappuntabile riscontro del difetto di gravità dell’inadempimento ascritto ai promittenti e correlato – dal promissario – all’espropriazione di parte dell’immobile compromesso, è vano addurre (con l’ottavo mezzo) che l’importo di lire 90.000.000 è stato con il contratto preliminare “corrisposto anche a titolo di acconto prezzo” (così ricorso, pag. 33).

Riveste valenza in primo luogo il mancato ossequio al canone dell'”autosufficienza”.

Questo giudice del diritto spiega che il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass. (ord.) 28.9.2016, n. 19048; Cass. 12.12.2014, n. 26174; Cass. sez. lav. 7.2.2011, n. 2966; Cass. (ord.) 3.7.2009, n. 15628, ove si soggiunge che l’inammissibilità prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti).

Riveste valenza in secondo luogo la circostanza per cui nell’iniziale atto di citazione D.L.G. ebbe a domandare, tra l’altro, la condanna dei convenuti “al pagamento di Lire 180.000.000 quale restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata alla stipula del contratto” (così ricorso, pag. 2, ove sono riprodotte testualmente le conclusioni di cui alla citazione dell’originario attore).

Del tutto ingiustificata è quindi la prospettazione del ricorrente – iniziale attore – secondo cui “la corte di merito non poteva autorizzare l’incameramento dell’intero importo a titolo di caparra confirmatoria” (così ricorso, pag. 33).

12.5. In relazione all’ineccepibile ed inappuntabile riscontro del difetto di gravità dell’inadempimento ascritto ai promittenti e correlato – dal promissario – all’espropriazione di parte dell’immobile compromesso, è vano addurre (con il nono mezzo) l'”illegittimità del cumulo della caparra e del risarcimento danni” (così ricorso, pag. 34).

E’ sufficiente evidenziare, da un lato, che la corte distrettuale ha opinato nel senso che il primo giudice aveva correttamente liquidato l’importo di Euro 23.250,00 a titolo di risarcimento del danno sofferto dagli appellati in dipendenza della protratta detenzione dell’immobile da parte del D.L. in epoca successiva alla dichiarazione – datata 7.6.2000 – di recesso dal contratto dei promittenti venditori.

E’ sufficiente evidenziare, dall’altro, che la somma di denaro che, all’atto della conclusione di un contratto preliminare di compravendita, il promissario acquirente consegna al promittente venditore a titolo di caparra confirmatoria, assolve la funzione, in caso di successiva risoluzione del contratto per inadempimento, di preventiva liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo, mentre il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento; ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto ed ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti (cfr. Cass. 30.9.2016, n. 19403; Cass. 8.6.2012, n. 9367).

D’altra parte, nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile (cfr. Cass. (ord.) 6.8.2018, n. 20545; Cass. 8.5.2006, n. 10498).

Del tutto generica è la censura veicolata, in fine, del nono mezzo (la corte di Napoli ha omesso “di considerare gli interventi realizzati dal D.L. sul bene e per il quale aveva anticipato i relativi costi”: così ricorso, pag. 35).

13. In accoglimento, nei limiti in precedenza enunciati, del ricorso la sentenza della Corte di Napoli n. 1436 dei 1/2.4.2014 va, nei medesimi limiti, cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

In dipendenza dell’accoglimento (nei limiti in precedenza enunciati) del ricorso non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa, nei limiti di cui in motivazione, la sentenza della corte di Napoli n. 1436 dei 1/2.4.2014; rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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