Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31682 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. II, 04/12/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 04/12/2019), n.31682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16294/2015 proposto da:

G.B.U., rappresentato e difeso dall’avvocato

Franco Manassero con studio in Pinerolo via Saluzzo 3;

– ricorrente –

contro

G.S., G.U., G.M., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Crescenzio 2, presso lo studio

dell’avvocato Adolfo Zini, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4578/2014 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/03/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso tempestivamente notificato il 15/6/2015 nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Milano che ha accolto parzialmente il gravame proposto dall’avvocato G.B.U. avverso la sentenza di primo grado emessa nell’ambito del contenzioso con G.M., S. ed U.;

– in particolare il tribunale di Milano, dopo la riassunzione a seguito della nullità della sentenza per vizio di notifica dell’atto di citazione pronunciata dalla corte d’appello milanese, aveva revocato il decreto ingiuntivo conseguito dall’avvocato per il pagamento di prestazioni professionali e l’aveva condannato a corrispondere ai G., opponenti in riassunzione, l’importo di Euro 14.806,41, oltre interessi e rivalutazione, per danni da responsabilità professionale nonchè un importo ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, per lite temeraria ed unulteriore importo ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3;

– proposto appello in via principale all’avvocato G.B. ed in via incidentale dai G., la corte milanese dichiarava infondato il primo motivo d’appello proposto dall’avvocato laddove censurava la sentenza del tribunale per non aver dichiarato nulla la notifica della citazione perchè avvenuta presso lo studio del procuratore costituito nel processo d’appello e non personalmente alla parte, dato che quest’ultimo era rimasto contumace nella causa innanzi al tribunale;

– la corte d’appello milanese aveva, invece, ritenuto che l’atto con il quale la causa viene riassunta in primo grado dopo che il giudice di appello in applicazione degli artt. 353 e 354 c.p.c., ne abbia disposto la remissione, non è equiparabile all’atto di citazione, in quanto interviene in un procedimento già in precedenza instaurato sia pure in modo irregolare, cosicchè la notifica dell’atto di riassunzione nei confronti della parte che si sia costituita mezzo di un procuratore in sede di appello va effettuata presso quest’ultimo e non presso la parte personalmente ai sensi del combinato disposto dell’art. 125 disp. att c.p.c., u.c. (il quale dispone che la comparsa con la quale la causa è riassunta è notificata a norma dell’art. 170 c.p.c.) e dell’art. 170 c.p.c., comma 1 (a mente del quale, dopo la costituzione di una parte, tutte le notificazioni e comunicazioni si fanno al procuratore costituito) (così cfr. Cass. 2562/2007);

– la corte territoriale aveva, dunque, ritenuto rituale e tempestiva la notificazione dell’atto di riassunzione effettuata presso lo studio del procuratore costituito e domiciliatario dell’avvocato G.B.;

-la corte milanese disattendeva anche il secondo motivo di gravame laddove il tribunale non aveva rilevato l’inammissibilità o l’improcedibilità delle domande nuove e/o diverse formulate dalle controparti del giudizio di riassunzione;

– il giudice d’appello ne riteneva l’ammissibilità richiamando le pronunce della Cassazione n. 821/2006 e n. 223/2011;

– peraltro la corte territoriale riteneva che l’atto di riassunzione non contenesse domande nuove, non configurandosi alcuna mutatio libelli bensì la fattispecie di mere puntualizzazioni ed integrazioni;

– veniva, inoltre, respinto il gravame anche ove l’appellante sosteneva che il giudice di prime cure non avrebbe potuto affrontare il merito della controversia se non successivamente alla nuova notifica dell’atto di riassunzione ex art. 291 c.p.c.;

– a questo specifico riguardo la corte distrettuale osservava che non avendo rilevato alcuna nullità od inesistenza della notificazione dell’atto in questione, non vi era ragione per il giudice di astenersi dal pronunciare in ordine all’opposizione proposta dai signori G.;

– con ulteriore censura l’appellante deduceva poi l’erroneità della sentenza di primo grado per aver accolto la domanda risarcitoria formulata nei suoi confronti nonostante la mancanza di prova in ordine alla negligenza con cui egli avrebbe espletato il mandato professionale conferitogli;

– osservava in proposito la corte milanese come il giudice di prime cure avesse, invece, fatto corretta applicazione dei principi in tema di diligenza esigibile nel contratto di prestazione d’opera intellettuale nonchè dell’art. 2236 c.c., con la deroga ivi prevista per la responsabilità del professionista e limitata solo nelle ipotesi di dolo o colpa grave;

– aggiungeva la corte distrettuale che la diligenza esigibile da parte dell’avvocato comprende anche il dovere di prospettare al cliente tutti gli elementi contrari (ipotizzati in virtù di una preparazione tecnica di esperienza professionale medie) per i quali, nonostante il regolare svolgimento dell’attività a lui richiesta, i risultati conseguibili possono essere inferiori a quelli previsti, oppure in concreto nulli o persino sfavorevoli, tanto da determinare anche un possibile pregiudizio rispetta ella situazione antecedente;

– poichè nel caso di specie non vi era prova che la decisione assunta dagli appellati di impugnare il lodo arbitrale emesso tra di loro e la generale finanziaria era stato frutto di una scelta consapevole e, al contrario, risultava che anzichè sconsigliare la prosecuzione della lite, dato il probabile esito negativo, l’avvocato li aveva colpevolmente indotti a tale iniziativa prospettando loro un risultato favorevole, il tribunale aveva correttamente ritenuto configurabile l’inadempimento dell’appellante rispetto all’obbligo di informazione nei riguardi dei suoi clienti;

– la corte d’appello riteneva parimenti infondata la doglianza di ultra petizione nonchè quella con cui l’appellante si doleva dell’ulteriore condanna al rimborso delle spese legali;

– il giudice d’appello riteneva, tuttavia, di accogliere il gravame in relazione alle condanne emesse ai sensi dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e comma 3;

– reputava cioè non dimostrata la temerarietà della lite e, da ultimo, non applicabile ratione temporis al procedimento in oggetto l’art. 96 c.p.c., comma 3, entrato in vigore nel 2009, successivamente all’instaurazione del procedimento in esame;

– la cassazione della pronuncia d’appello è chiesta dall’avvocato G.B.U. sulla base di cinque motivi, pure illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c., cui resistono i sig.ri G. con controricorso, illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, laddove la corte distrettuale non ha tenuto conto che lo svolgimento dell’attività professionale non è stata mai oggetto di contestazione specifica da parte della difesa G., sicchè la prova delle prestazioni consisteva, non solo nell’elencazione effettuata al Consiglio dell’ordine, ma anche nelle mancate contestazioni specifiche e nelle ammissioni confessorie dei clienti;

– con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 291,353 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere il giudice d’appello ritenuto rituale la notifica dell’atto di riassunzione così come avvenuta;

– con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 292,354, e 356 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non avere la corte milanese ritenuto nulla la notifica dell’atto di riassunzione effettuata al procuratore e non alla parte personalmente e non aver dichiarato la causa estinta con conseguente esecutività del decreto ingiuntivo opposto;

– con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 83,84 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, art. 306 c.p.c., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la corte d’appello negato la pronuncia di inammissibilità richiesta dall’avvocato opposto in ragione delle nuove difese svolte con l’atto di citazione in riassunzione da parte degli opponenti;

– con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 1227,2236 e 1967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la corte ritenuto l’inadempimento dell’avvocato all’obbligo di informazione e di segnalazione ai clienti degli elementi ostativi riguardanti la consigliata impugnazione del lodo;

– va preliminarmente dato atto che i controcorrenti hanno sollevato plurime eccezioni di inammissibilità del ricorso e di difetto di legittimazione su cui il collegio provvede accogliendole nei limiti di seguito precisati:

1. l’inammissibilità delle censure congiunte ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è infondata atteso che per consolidato orientamento è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, purchè lo stesso evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass. 9793/2013; id. 7009017; id. 26790/2018);

2. parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità delle censure ex art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle modalità di proposizione della censura, apparendo, anche in ragione di quanto evidenziato in relazione alla precedente eccezione, possibile procedere alla individuazione dell’oggetto e delle ragioni che, a prescindere dalla loro fondatezza, sostengono il presente gravame;

3. è fondata,invece, l’eccezione di inammissibilità delle censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ragione del criterio della “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 4, applicabile ratione temporis al giudizio d’appello conclusosi con la sentenza impugnata perchè introdotto nel 2014, dopo la novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con mod. nella L. n. 134 del 2012 (applicabile ai giudizi d’appello introdotti dopo l’11/792012);

4. il prospettato difetto di legittimazione passiva di M. e G.S. avendo assunto la qualità di erede del defunto Go.Ma. soltanto G.U., è infondata perchè l’actio interrogatoria si è svolta nel primo giudizio d’appello e non in quello all’esito del quale è stata emessa la pronuncia impugnata ed al quale essi hanno partecipato anche come appellanti incidentali senza sollevare alcuna eccezione di difetto di legittimazione passiva;

– a questo punto, passando all’esame dei motivi del ricorso come sopra enunciati, con l’esclusione delle censure fondate sull’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, inammissibili per quanto sopra considerato, ritiene il collegio che il primo motivo è infondato;

– in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.;

– nel caso di specie non si è in presenza di una violazione dell’onere della prova nè di una decisione fondata su prove diverse da quella dedotte dalle parti costituite;

– si verte, piuttosto, nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), per cui il giudice ha apprezzato discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenuti dal punto di vista dell’attore sostanziale insufficienti a provare la pretesa creditoria;

– tale apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (Cass. 11176/2017);

– il secondo motivo è infondato perchè erroneamente prospettato riproponendo la questione dal punto di vista della sentenza della corte d’appello n. 3548 del 2011 con cui è stata dichiarata la nullità della notifica dell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo;

– il terzo motivo non merita accoglimento;

– la corte d’appello ha posto a fondamento della decisione un orientamento consolidato di legittimità, puntualmente richiamato nella pronuncia impugnata (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza) e rispetto al quale la giurisprudenza citata dal ricorrente (Cass. 4523/2000 e 5341/2004), e riguardante la tematica della notifica dell’atto riassuntivo del giudizio alla parte in precedenza contumace, non è in termini, come, invece, quella posta a fondamento della decisione che attiene proprio alla fattispecie della rimessione all’esito dell’applicazione dell’art. 353 e 354 c.p.c., da parte della corte d’appello;

– il quarto motivo è infondato poichè la particolare funzione dell’istituto della riassunzione (conservazione degli effetti sostanziali della litispendenza) non è di ostacolo a che esso cumuli in sè quella introduttiva di un nuovo giudizio, purchè sia rispettato il contraddittorio (cfr. Cass. 15753/2014; 223/20111; 821/2006);

– il quinto motivo non merita accoglimento, atteso che il ricorrenteidopo avere trascritto la diffusa argomentazione della corte territoriale sulla rilevanza dell’inadempimento all’obbligo di informazione ravvisabile a suo carico quale difensore dei sigg.ri G. (cfr. pag. 24-27) si limiti a censurarne la conclusione, senza indicare quali specifici principi di diritto sarebbero stati oggetto di error in judicando;

– è stato osservato da questa Corte che nell’ambito dell’individuazione del contenuto delle obbligazioni assunte dall’avvocato nell’adempimento della propria prestazione professionale, rientra anche quella di informare il cliente sulle conseguenze del compimento o del mancato compimento degli atti del processo, e, se del caso, a sollecitarlo nel compimento di essi ovvero, sussistendo le condizioni, a dissuaderlo della loro esecuzione (cfr. Cass. 24544/2009);

– il paramentro di valutazione dell’adempimento è quello della diligenza media ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, la cui violazionei non è esclusa nè ridotta quando le modalità difensive adottate siano state sollecitate dal cliente stesso, poichè costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale (cfr. Cass. 10289/2015; id. 20869/2004);

– ebbene, nel caso di specie, tali principi non risultano violati e, dunque, la doglianza va disattesa;

– in conclusione l’esito sfavorevole di tutti i motivi comporta il rigetto del ricorso;

– in applicazione della soccombenza parte ricorrente va condannata alle spese come in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 7200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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