Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31681 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. II, 04/12/2019, (ud. 08/02/2019, dep. 04/12/2019), n.31681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23152/2015 R.G. proposto da:

B.D., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Tassini, con domicilio eletto

in Roma, via Monte del Gallo n. 4;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto ex lege in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

avverso l’ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale di Ravenna n.

5855/15 pubblicata l’8.07.2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 febbraio

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi, riconvocata il 25

settembre 2019.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza n. 5855/2015 dell’8 luglio 2015 il Presidente del Tribunale di Ravenna, pronunciando sull’opposizione di B.D. proposta con ricorso D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 84 e 170 avverso il provvedimento del medesimo ufficio di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata dalla stessa, respingeva l’opposizione ritenendo la manifesta infondatezza della domanda attorea di petizione ereditaria per la prevedibilità della formulazione dell’eccezione di prescrizione del diritto della controparte.

Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione la B. sulla base di un unico articolato motivo.

E’ rimasto intimato il Ministero della giustizia.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Atteso che:

– con l’unico articolato motivo, benchè graficamente suddiviso in tre sottotitoli, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 122 e art. 136, comma 2, e art. 480 c.p.c., comma 2, per avere il Presidente del Tribunale di Ravenna, nel rigettare l’opposizione per manifesta infondatezza, ritenuto la domanda della B. “se non temeraria, quanto meno, ardita”, nonchè prescritto il diritto di accettare l’eredità da parte della medesima.

La censura è fondata nei limiti di seguito illustrati.

Il Tribunale ordinario di Ravenna, nel motivare l’ordinanza di rigetto dell’opposizione presentata dalla B., ha rilevato la manifesta infondatezza della domanda proposta sulla base di una mera previsione, consistente nella supposizione (prevedibile) che la controparte avrebbe formulato eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità.

E’, tuttavia, principio di diritto inderogabile quello per cui l’eccezione preliminare di merito – come si configura nel caso di specie l’eccezione di prescrizione – non è rilevabile d’ufficio ma può essere fatta valere solo dalla parte che vi abbia interesse. L’eccezione di prescrizione deve, infatti, sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (Cass. 18 giugno 2018 n. 15991).

L’ordinanza impugnata non pare cogliere la distinzione fra la decisione sul merito della vicenda – il cui esame è effettivamente precluso al giudice dell’opposizione – e l’accertamento della sussistenza del presupposto per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in sè non comporta alcuna statuizione nel merito, ma impone di verificare se vi fosse la colpa grave che giustifica la revoca.

Nel caso di specie, in altre parole, era demandato al giudice dell’opposizione di accertare se le condotte evidenziate nel provvedimento di revoca del beneficio costituissero o meno elementi sintomatici della colpa grave nell’azione, a prescindere da ogni verifica della fondatezza di tali addebiti.

Ciò comporta una mancata applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, oltrechè – in assenza del richiesto sindacato sul presupposto – la sostanziale privazione del mezzo di impugnazione consentito al destinatario della revoca ed il mancato esame dell’unico fatto controverso dedotto in giudizio.

Il Presidente del Tribunale avrebbe dovuto verificare la fondatezza del decreto di revoca ai soli fini della colpa grave e non in relazione al merito dell’azione giudiziaria proposta. Il rifiuto di esperire il controllo sollecitatogli con l’opposizione finisce con il sovrapporre la problematica relativa al gratuito patrocinio con quella relativa alla domanda di petizione ereditaria.

Corretto è, pertanto, il richiamo fatto della ricorrente alla ordinanza n. 220 del 2009 della Corte Costituzionale laddove ha statuito che, in tema di ammissione al gratuito patrocinio, il giudice è chiamato ad effettuare sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza, sia ex post, in sede di revoca, quando a seguito del giudizio risulta provato che la persona ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave.

Nella vicenda in esame, non risulta accertato in nessun grado di giudizio che la persona abbia agito con mala fede o colpa grave: non vi è infatti l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede, intesa come consapevolezza dell’infondatezza della domanda o della colpa grave, ovvero come carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza, che viene in considerazione, a titolo esemplificativo, per la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria, per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, per la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame oppure per la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, inoltre, in materia di revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, nel disporre che con decreto il magistrato revoca la suddetta ammissione nell’ipotesi in cui venga accertato che l’interessato abbia agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, disancora il giudizio sul merito dell’azione giudiziaria proposta da quello della fondatezza del decreto di revoca, che deve basarsi esclusivamente sul dolo o colpa grave nell’agire in giudizio, e non sull’infondatezza dell’azione nel merito (Cass., n. 20270 del 2017; Cass. n. 21610 del 2018).

Per tali motivi, la domanda proposta dalla B., non risulta valutata nè come temeraria, nè come ardita.

Accolto il ricorso nei sensi sopra precisati, l’ordinanza impugnata va cassata con rinvio a diverso magistrato dello stesso Tribunale di Ravenna. Il giudice di rinvio, riesaminate le risultanze processuali alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, accerterà se sussistano o meno le ragioni attinenti alla revoca del gratuito patrocino sotto il profilo dell’avere la ricorrente agito con mala fede o colpa grave.

Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Ravenna, in persona di diverso magistrato, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 8 febbraio 2019, riconvocato il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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