Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31671 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. I, 06/12/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 06/12/2018), n.31671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 21030/2017 proposto da:

A.R., nella qualità di padre dei minori A.A. e

A.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Silvestri n. 195,

presso lo studio dell’Avvocato Gennaro Imparato, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Sonia Mancini giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

e contro

B.A., nella qualità di madre dei minori A.A. e

A.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via Silvestri n.

195, presso lo studio dell’Avvocato Gennaro Imparato, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente successivo –

e contro

Ba.Ma. e R.M., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Galileo Galilei n. 45, presso lo studio dell’Avvocato

Federico Ciaffi, che li rappresenta e difende unitamente

all’Avvocato Angiolo Masotti giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti successivi –

contro

F.L., Procuratore Generale presso la Corte di Appello di

Firenze, Responsabile Unità Operativa Assistenti Sociali Zona Valle

del Serchio e Masotti Angiolo;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1529/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Minorenni, depositata il 05/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/10/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito, per il ricorrente principale e la ricorrente successiva B.,

l’Avvocato Gennaro Imparato che ha chiesto l’accoglimento dei propri

ricorsi;

udito, per i ricorrenti successivi Ba. e altro, l’Avvocato Sonia

Mancini, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del proprio

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale per i minorenni di Firenze, con sentenza in data 10 febbraio 2017, una volta acclarata la conclamata situazione di abbandono dei minori A. e A.G. in ragione dell’incapacità dei genitori, A.R. e B.A., e degli altri familiari – individuati nella nonna materna e nel figlio maggiore della B. nato da un precedente matrimonio – di occuparsi in maniera adeguata delle loro sorti, dichiarava lo stato di adottabilità dei due bambini, la decadenza dei genitori dalla potestà genitoriale e disponeva l’interruzione dei rapporti con la famiglia di origine.

2. La Corte d’Appello di Firenze, sezione per i minorenni, adita a seguito dell’appello interposto da A.R. e B.A., respingeva in via preliminare l’eccezione di nullità della sentenza impugnata per difetto di una rituale iniziativa da parte del Pubblico Ministero, in considerazione dell’effetto sanante conseguente all’intervento del magistrato inquirente nel procedimento, e confermava l’accertamento in merito allo stato di abbandono non temporaneo dei minori, in ragione dell’inadeguatezza della madre a occuparsi dei figli, dell’incapacità di accudimento autonomo sempre dimostrata dal padre e del fatto che gli altri componenti della famiglia non costituivano una valida alternativa all’inettitudine dei genitori.

3. Hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione avverso questa pronuncia A.R., affidandosi a quattro motivi di impugnazione, B.A., sulla scorta di tre motivi di impugnazione, Ba.Ma. e R.M., rispettivamente nonna materna e fratello uterino dei minori, allo scopo di far valere tre motivi di impugnazione.

Gli intimati Avv. F.L., curatore speciale dei minori A. e A.G., il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze e il responsabile dell’unità operativa assistenti sociali della zona Valle del Serchio non hanno svolto alcuna difesa.

La sesta sezione di questa Corte, preso atto che i ricorsi presentavano profili di complessità che ne consigliavano l’esame in pubblica udienza, ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la successiva trattazione avanti a questa sezione.

Tutti i ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. I ricorrenti hanno proposto i seguenti motivi di ricorso.

4.1 A.R. ha denunciato:

4.1.1 la nullità del procedimento e della sentenza impugnata per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 9 e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto l’intero procedimento sarebbe viziato per difetto di un rituale atto di iniziativa, stanti l’assenza di una specifica motivazione all’interno dell’atto introduttivo del procedimento predisposto dal Pubblico Ministero e l’impossibilità di sanare una simile nullità attraverso la sua partecipazione al giudizio;

4.1.2 la violazione e la falsa applicazione dell’art. 12 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con L. n. 176 del 1971, nonchè della L. n. 184 del 1983, art. 10, comma 5, dato che non si era proceduto all’ascolto dei minori malgrado il procedimento fosse destinato a regolare i loro interessi primari;

4.1.3 l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal progetto terapeutico riabilitativo seguito da B.A. risultante dalla relazione dell’U.F. salute mentale adulti Valle del Serchio, di tenore nettamente contrastante con la relazione della Dott. G. del 5 giugno 2017, su cui la corte distrettuale aveva basato in via esclusiva la sua decisione;

4.1.4 la violazione e la falsa applicazione L. n. 184 del 1983, artt. 1,6,8 e 14 per motivazione omessa, insufficiente, inesistente e/o meramente apparente su punti decisivi della controversia nonchè l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia: la corte di merito avrebbe posto a fondamento dell’accertamento dello stato di abbandono gli stessi presupposti che in precedenza erano stati valutati per aprire una procedura di affido, a dispetto dei miglioramenti nel frattempo verificatisi, senza comunque considerare che non era sufficiente constatare l’inadeguatezza dei genitori sulla base della relazione del servizio sociale, ma occorreva verificare la possibilità di ricorrere a misure di supporto che consentissero il concreto riconoscimento del diritto dei minori a crescere ed essere educati nella propria famiglia naturale.

4.2 B.A. lamenta:

4.2.1 la nullità del procedimento e della sentenza impugnata per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 9 e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per gli stessi motivi indicati dall’ A. nonchè la lesione del principio del contraddittorio, in quanto il curatore speciale dei minori avrebbe prodotto solo in udienza, senza che le parti avessero avuto la possibilità di esaminarla, un’ultima relazione dei servizi sociali di tenore confliggente con quella predisposta dagli operatori dell’ASL;

4.2.2 la violazione del diritto fondamentale dei minori a vivere nella propria famiglia di origine ovvero la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 rispetto alla valutazione dello stato di abbandono, anche alla luce del supporto da darsi alla famiglia di origine, in quanto la relazione dei servizi sociali che era stata posta a base esclusiva della decisione assunta si era limitata a rappresentare l’inidoneità dei genitori e del nucleo familiare senza valutare la possibilità di predisporre, al fine di assicurare il diritto dei minori a essere educati dai propri genitori naturali, alcun valido supporto per l’elaborazione di un progetto di recupero del nucleo familiare;

4.2.3 la violazione e la falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,6,8 e 14 per motivazione omessa, insufficiente, inesistente e/o meramente apparente su punti decisivi della controversia nonchè l’omessa pronuncia su un punto decisivo della stessa, dato che la Corte d’Appello aveva escluso la possibilità di miglioramento delle capacità di accudimento dei genitori a dispetto del contenuto della relazione predisposta dal personale dell’azienda ASL; peraltro, nonostante i miglioramenti della situazione familiare, la corte territoriale avrebbe preferito rompere il legame di filiazione piuttosto che adottare misure positive volte ad aiutarlo e sostenerlo.

4.3 Ba.Ma. e R.M. adducono:

4.3.1 la nullità del procedimento e della sentenza impugnata per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 9 e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in termini coincidenti con gli argomenti addotti dagli altri ricorrenti;

4.3.2 la violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito con la conseguente nullità del procedimento e della sentenza, dato che non avevano avuto la materiale possibilità di esaminare la documentazione prodotta dalla curatrice dei minori all’udienza del 7 giugno 2017, di rilevante importanza ai fini della decisione;

4.3.3 la violazione del diritto fondamentale dei minori a vivere nella propria famiglia di origine ovvero la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 in quanto la valutazione dello stato di abbandono doveva avvenire anche alla luce del supporto da darsi alla famiglia di origine;

4.3.4 la violazione e la falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,6,8 e 14 per motivazione omessa, insufficiente, inesistente e/o meramente apparente su punti decisivi della controversia nonchè l’omesso esame di una circostanza rilevante ai fini del giudizio sulle capacità genitoriali della madre, costituito dal fatto che entrambi i ricorrenti avevano disponibilità economiche rientranti nella normalità e possedevano una casa vicina ai genitori dove avrebbero potuto ospitare i minori.

5. Il primo motivo di ricorso, proposto in termini coincidenti da tutti i ricorrenti per quanto attiene la nullità del procedimento e della sentenza per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 9 è inammissibile.

Tutti i ricorrenti infatti, pur deducendo l’irritualità dell’iniziativa assunta del P.M. per la mancata specificazione dei motivi su cui la stessa si fondava, non hanno riportato alcuna indicazione di elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale denunciato, onde consentire a questa Corte di apprezzare l’effettiva genericità del contenuto del ricorso introduttivo e/o dell’intervento successivo ed effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale.

Ora la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è sì anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purchè però lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 2/2/2017 n. 2771, Cass. 30/09/2015 n. 19410).

Occorreva pertanto che gli odierni ricorrenti accompagnassero la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a una autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi.

In mancanza di una simile indicazione le doglianze in esame risultano giocoforza inammissibili per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

6. Il secondo motivo di ricorso addotto da A.R. non merita accoglimento.

La Corte territoriale ha espressamente dato atto all’interno della sentenza impugnata che entrambi i minori erano infradodicenni.

Questa condizione conferiva al giudice, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 15, comma 2, u.p., – secondo cui il minore di età inferiore ai dodici anni deve essere sentito in vista della dichiarazione di adottabilità se capace di discernimento – un potere discrezionale di disporne l’ascolto, anche al fine di verificarne la capacità di discernimento, senza tuttavia imporgli di motivare sulle ragioni dell’omessa audizione, dato che nessuna specifica istanza era stata presentata dalla parte ex art. 336-bis c.c., comma 2, al fine di illustrare gli argomenti e i temi di approfondimento su cui riteneva necessario l’ascolto (cfr. Cass. 7/3/2017 n. 5676).

7. Il terzo e il quarto motivo dedotto da A.R., il secondo e il terzo motivo dedotto da B.A., il terzo e il quarto motivo dedotto da Ba.Ma. e R.M. sono inammissibili.

Sotto il profilo della violazione di legge denunciata essi infatti in primo luogo allegano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è estranea all’esatta interpretazione della norma a cui si riferisce il vizio denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13/10/2017 n. 24155).

Per di più non è aggredibile secondo questa prospettiva di critica la valutazione del giudice di merito circa l’incapacità dei genitori di elaborare un progetto di vita che coinvolga i minori nella prospettiva del recupero di uno stabile contesto familiare, condizione che rende inutile la predisposizione di supporti al nucleo familiare da parte dei servizi sociali, trattandosi di un apprezzamento sulla sussistenza di uno stato di abbandono (e sulla correlata possibilità di approntare misure di sostegno da parte dei servizi sociali integranti un supporto per il superamento di una situazione transitoria e non una completa supplenza dei genitori) che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione.

Rispetto al dedotto vizio di motivazione è sufficiente rilevare, in merito alla censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, che non risultano più ammissibili critiche parametrate al paradigma normativo non più in vigore, atteso che l’attuale testo della norma consente unicamente di censurare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Le censure in esame, laddove si rendono coerenti con l’attuale possibilità di dedurre il vizio di motivazione, risultano comunque inammissibili, dato che non indicano, rispetto ai fatti storici asseritamente tralasciati, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” i medesimi fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti; ciò anche senza voler considerare che l’omesso esame di elementi istruttori (quali ad esempio la relazione predisposta dal servizio ASL) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7/4/2014 n. 8053).

8. Il secondo motivo di ricorso presentato da Ba.Ma. e R.M., al pari delle doglianze contenute nell’ultima parte del primo motivo sviluppato nell’interesse della B., è inammissibile.

Va detto innanzitutto che la doglianza è generica, dato che la stessa non è stata accompagnata, come imponeva il disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dalla produzione del documento di cui si lamenta che sia stato precluso il compiuto esame.

Peraltro, benchè i ricorrenti assumano il carattere decisivo della relazione dei servizi sociali, all’interno della sentenza impugnata non c’è alcun espresso riferimento a questa relazione nè emerge in qualche modo che la corte territoriale ne abbia tenuto conto.

La censura proposta appare perciò priva di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, come tale è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), e risulta perciò inammissibile.

9. In forza dei motivi sopra illustrati i ricorsi debbono pertanto essere respinti.

Non è necessario provvedere ad assumere alcun provvedimento in merito alla regolazione delle spese di lite, in mancanza di costituzione ad opera degli intimati.

PQM

La Corte rigetta il ricorso presentato da A.R. e dichiara inammissibili il ricorso presentato da B.A. e il ricorso di Ba.Ma. e R.M..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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