Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31665 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. I, 04/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 04/12/2019), n.31665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24501/2015 proposto da:

P.C., in proprio e nella qualità di erede di

D.G.P., D.G.A.R., D.G.L., elettivamente

domiciliati in Roma, Viale Regina Margherita n. 290, presso lo

studio dell’avvocato Casellato Adriano, rappresentati e difesi

dall’avvocato Bassoli Carlo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Centrale Attività Finanziarie S.p.a., quale mandataria di AUGUSTUS

SPV S.r.l. (già CAPITALIA SERVICE J.V. S.r.l., mandataria di

Capitalia s.p.a., a sua volta mandataria di Trevi Finance s.p.a.),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Viale Maresciallo Pilsudski n. 118, presso lo

studio dell’avvocato Stanizzi Antonio, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Liquidauto S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5250/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

pubblicata il 01/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Latina, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dalla D.G. s.r.l. e dai suoi fideiussori D.G.P., P.C., D.G.R. e D.G.L. avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti, ha condannato in solido gli opponenti al pagamento in favore della Banca di Roma s.p.a. (poi Capitalia Service J.V. s.r.l.) della minor somma di Euro 87.799,96, quale saldo debitorio di conto corrente.

La Corte d’Appello di Roma, rigettando gli appelli incidentali ed in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dall’istituto di credito, ha condannato gli appellanti incidentali, odierni ricorrenti, al pagamento della somma complessiva di Euro 136.993,53, oltre interessi.

Il giudice di secondo grado, dopo aver rigettato l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione ad impugnare della Capitalia Service J.V. s.r.l., ha riconosciuto alla Banca un credito di importo superiore sul rilievo che il giudice di primo grado, sulla scorta delle erronee conclusioni del CTU, aveva fatto un’erronea applicazione della sentenza di questa Corte n. 23974/2010, collegando alla mancata produzione degli estratti conto bancari relativi agli anni 1991 e 1992 addirittura il riconoscimento di un credito del cliente verso la stessa Banca.

Avverso la predetta hanno proposto ricorso per cassazione P.C., D.G.L. e D.G.A.R. affidandolo a cinque motivi.

La Capitalia Service J.V. s.r.l. si è costituita in giudizio con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un il primo motivo P.C., D.G.L. e D.G.A.R., nel reiterare l’eccezione di carenza di legittimazione attiva di Capitalia Service JV, hanno dedotto la violazione e falsa applicazione della L. n. 130 del 1999, del T.U. Bancario di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993 e dell’art. 1264 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione, concernente la mancata notizia della cessione di credito in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano i ricorrenti che il giudice d’appello non ha dato una esaustiva spiegazione alla propria statuizione di rigetto dell’eccezione processuale, citando un documento n. 20 inesistente (essendo i documenti allegati all’atto di appello solo 19), citando una procura per notar Z. del 28/05/2003, di cui non vi è traccia nell’incarto processuale, da cui non potrebbe ricavarsi il mandato conferito da Capitalia a Capitalia Service J.V. alla gestione della pratica legale, e mancando comunque sulla menzionata (nella sentenza impugnata) Gazzetta Ufficiale n. 194 del 1999 la pubblicazione della cessione del credito della Banca di Roma.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che dall’esame della documentazione in atti – attività consentita a questa Corte, essendo stata dedotta una questione processuale quale la carenza di legittimazione attiva di Capitalia Service J.V. s.r.l. – che la Gazzetta Ufficiale n. 194 del 1999 contiene effettivamente la comunicazione della cessione in blocco dei crediti della Banca di Roma s.pa. a Trevi Finance, la quale, con contratto c.d. di servicing ha conferito l’incarico alla stessa Banca di Roma, oggi Capitalia s.p.a., di svolgere l’amministrazione, gestione, incasso e recupero dei crediti, anche con delega ad altro soggetto, che è stato individuato in Capitalia Service J.V. srl (vedi procura 16.4.2004 autenticata dal notaio Acconcia di Treviso).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1955 c.c. nonchè del principio di disponibilità delle prove in ordine ai documenti giustificativi del conto corrente dedicato all’anticipazione su documenti-titoli, ai sensi dell’art. 115 c.p.c. previgente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. E’ stata altresì dedotto l’omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione, concernente la prova sull’avvenuta surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno e nei privilegi del creditore e sulla conseguente estinzione della fideiussione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1.

Lamentano i ricorrenti di non essersi potuti surrogare nel diritto di pegno vantato dalla Banca nei confronti del debitore principale sui titoli rappresentativi di merci, consistenti nei certificati di immatricolazione delle autovetture, per fatto del creditore, per non essersi la banca procurata gli originali dei documenti degli autoveicoli costituiti in garanzia, bensì delle mere fotocopie.

Contestano la valutazione del giudice d’appello, che ha ritenuto difettare la prova dei beni dati in garanzia alla banca, sul rilievo della genericità dell’affermazione del CTU circa i beni in garanzia, affermazione che non si fondava sulle dichiarazioni ricevute dallo stesso consulente, ma sull’esame dei documenti.

4. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che i ricorrenti, nel contestare la valutazione effettuata dal giudice di secondo grado in ordine al difetto di prova dei beni dati in garanzia, non hanno fatto altro che formulare censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito.

I ricorrenti lamentano l’omesso esame circa un fatto decisivo concernente la prova sull’avvenuta surrogazione del fideiussore nei diritti di pegno del creditore, esame che, viceversa, è stato regolarmente effettuato dalla sentenza impugnata con esito sfavorevole alle ragioni dei ricorrenti.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del principio di disponibilità delle prove, in ordine ai documenti giustificativi dei rapporti bancari, ai sensi dell’art. 115 previgente c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

Viene altresì dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione, concernente i documenti esaminati dal consulente sia in ordine agli errori emersi nella ricostruzione dei conti sia in ordine all”azzeramento” del credito della Banca.

Lamentano i ricorrenti che, anche a prescindere dalla mancata considerazione da parte del giudice d’appello del saldo positivo dell’importo di Lire 401.310.616, determinato dal CTU per effetto della mancanza della documentazione contabile per gli anni 1991 e 1992, lo stesso giudice di secondo grado è incorso in errori nell’effettuare i conteggi dei saldi dei conti corrente. Ne consegue che il saldo negativo del c/c n. (OMISSIS) era di soli Euro 8.078,93, anzichè Euro 17.627,46 con un debito finale di Euro 64.272,85.

6. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che i ricorrenti, nel lamentare l’omesso esame di fatto decisivo, non hanno neppure precisato quali documenti decisivi esaminati dal consulente non sarebbero stati oggetto di analisi da parte della Corte di merito, finendo per limitarsi a formulare censure di merito in ordine alla correttezza dei conteggi effettuati dalla sentenza impugnata.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

E’ stata, altresì, dedotta la violazione e falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame di fatto decisivo in ordine al dedotto vizio di ultrapetizione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Infine, è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e la violazione dei principi di correttezza e buona fede, a norma degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano i ricorrenti che il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita non richiesto, ma non impedisce l’attribuzione da parte del giudice di una difforme qualificazione giuridica dei fatti prospettati dalle parti. Ciò consentirebbe che la Corte di legittimità possa esercitare i poteri di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2 (decidendo la causa nel merito e riconoscendo le ragioni creditorie dei ricorrenti), nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, dalle emergenze processuali risulti un ribaltamento delle reciproche ragioni di debito-credito, tale che colui che in origine appariva come il soggetto passivo qualificato come debitore risulti il soggetto attivo del rapporto obbligatorio.

Contestano i ricorrenti, inoltre, le affermazioni della sentenza impugnata in tema di onere della prova collegato all’onere di produrre i documenti dai quali emerge il fondamento del diritto invocato.

8. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte nell’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal cliente della banca, è costui onerato di provare i fatti costitutivi del proprio diritto, ovvero l’avvenuto pagamento e l’inesistenza di una causa che lo giustifichi (S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010; recentemente, sez. 1 n. 27704 del 10.7.2018). Ne consegue che è lo stesso correntista che deve produrre la documentazione contabile che comprovi l’intervenuto indebito conteggio di somme derivanti dall’applicazione di clausole contrattuali nulle. Pertanto, correttamente la Corte di merito ha rilevato che, se da un lato, la mancata produzione degli estratti conto non consente di ritenere provato il credito della banca, dall’altro, ciò non può neppure determinare il riconoscimento di un saldo attivo per il cliente fondato sul mancato assolvimento dell’onere probatorio spettante alla banca.

Va, peraltro, osservato, che il saldo attivo di Lire 401.310.616 dedotto dagli opponenti (sulla base della descritta pretesa inversione dell’onere della prova), pur in difetto nonostant della necessaria documentazione, riguardava il conto corrente n. 14652/5, onde non era corretto annotare a loro credito nel successivo conto n. (OMISSIS) tale somma, con conseguente correttezza della annotazione da parte del giudice di appello della minor somma di Lire 36.596.281.

Avendo la Corte di merito correttamente applicato i principi di diritto in materia di onere della prova nel non riconoscere il predetto preteso credito vantato dagli opponenti, deve ritenersi assorbita la doglianza di questi ultimi in ordine alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. (principio corrispondenza tra chiesto e pronunciato).

Infine, va rilevata la palese genericità del dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non avendo i ricorrenti neppure precisato quali elementi, nella prospettiva dell’osservanza del principio dell’onere della prova e del vizio di ultrapetizione, non sarebbero stati oggetto di esame da parte della Corte di merito.

9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 90 e ss c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014 relativo alla liquidazione dei compensi.

I ricorrenti lamentano che il giudice di secondo grado ha confermato la decisione del giudice di primo grado sulle spese, riconoscendo una parziale compensazione solo per la fase d’appello.

I ricorrenti lamentano, inoltre, la liquidazione di spese di lite in misura eccedente rispetto agli scaglioni di legge.

10. Il motivo è inammissibile.

E’, in primo luogo, inammissibile per difetto di attinenza alla decisione la prima censura relativa alla compensazione delle spese processuali: si deduce che la Corte d’Appello avrebbe disposto la compensazione delle spese processuali di primo grado nella misura di un terzo; vero è, invece, che la compensazione è stata disposta con riguardo alle spese del giudizio di appello, non già di primo.

Quanto alla liquidazione delle spese, la doglianza dei ricorrenti è inammissibile per genericità, non essendo stato precisato in che termini concreti tale liquidazione sarebbe avvenuta su livelli superiori rispetto agli scaglioni di legge.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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