Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31662 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. I, 04/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 04/12/2019), n.31662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23857/2015 proposto da:

F.lli P. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Vaticano n. 84,

presso lo studio dell’avvocato Serani Gianfranco, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Beccari Selvino, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l., in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Cassiodoro n. 9, presso lo studio dell’avvocato Nuzzo Mario, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mariconda Vincenzo,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1085/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano con sentenza del 10 marzo 2015 ha respinto l’appello principale avverso la decisione del Tribunale della stessa città, che aveva revocato il decreto ingiuntivo di pagamento della somma Euro 600.000,00, concesso a favore della F.lli P. s.p.a. contro la BPM s.c. a r.l., in relazione a fideiussione con clausola a prima richiesta da quest’ultima rilasciata; la corte ha, inoltre, in accoglimento dell’appello incidentale, condannato la società alla restituzione della somma ricevuta in esecuzione del decreto ingiuntivo, poi revocato.

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che, in punto di fatto, non vi è prova dell’inadempimento dell’obbligazione gravante sulla debitrice principale, atteso che sono stati prodotti solo due assegni da questa emessi e rimasti impagati, i quali, tuttavia, non risultano riconducibili a detta obbligazione; inoltre, il c.d. partitario, prodotto dalla creditrice, non costituisce documento idoneo a provare l’assunto, non essendo riconducibile ad una scrittura contabile ex art. 2710 c.c.; infine, la prova testimoniale richiesta non è ammissibile, attesi i rapporti e la qualità delle parti, imprenditori commerciali, nonchè l’entità elevata della prestazione. Ha, quindi, ritenuto assorbita ogni altra questione.

Dalla revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, avvenuta già in primo grado, ha fatto discendere l’accoglimento della domanda di restituzione di quanto pagato in forza di quello.

Avverso la sentenza propone ricorso la soccombente, affidato a due motivi, illustrati anche da memoria. Resiste la banca intimata con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso propongono avverso la sentenza impugnata censure che possono essere come di seguito riassunte:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., omessa motivazione, “illegittima valutazione delle risultanze probatorie” ed omesso esame di fatto decisivo, per avere la corte territoriale mancato di compiere una valutazione complessiva delle prove offerte, nonchè di tutti i documenti prodotti, idonei invece a dimostrare l’assunto, dato che non occorre una rispondenza tra la somma indicata nelle fatture e gli assegni rimasti impagati, trattandosi di meri acconti del maggior dovuto; inoltre, il c.d. partitario è prova idonea ed esso, comunque, sarebbe stato confermato con la prova testimoniale, invece non ammessa;

2) omesso esame di fatti decisivi, consistenti nella tempestività della comunicazione alla banca circa l’inadempimento della conduttrice – da cui sarebbe stata ricavabile la prova indiretta dell’inadempimento, dato che la comunicazione non fu contestata – e nella validità della fideiussione, accertamento da compiersi prima della valutazione circa l’esistenza dell’inadempimento da parte della debitrice principale.

2. – Il primo motivo è manifestamente inammissibile, laddove intende ripetere in questa sede un giudizio di fatto, di esclusiva competenza del giudice del merito.

Esso è, invece, infondato, nella parte in cui lamenta l’omessa motivazione, che è stata resa in modo del tutto adeguato a sostenere la decisione del giudice territoriale.

Nessuna censura è stata, peraltro, prospettata con riguardo ad una pretesa violazione delle norme che regolano la prova documentale e testimoniale, delle quali invero la corte d’appello ha fatto corretta applicazione (cfr. art. 2710 c.c. e art. 2721 c.c., comma 2).

3. – Il secondo motivo è infondato, avendo la corte del merito, da un lato, esaminato i documenti nel motivo richiamati, e, dall’altro lato, correttamente ritenuto che la decisione della questione “più liquida” – la mancanza dell’elemento costitutivo dell’obbligo gravante sul fideiussore, costituito dall’inadempimento della obbligazione principale – rendesse superfluo l’esame degli altri elementi della fattispecie, ivi compresa la stessa esistenza di una valida ed efficace garanzia.

4. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 1 5 % sui compensi ed agli accessori, come per legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella di consiglio, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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