Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31655 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 06/12/2018), n.31655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8771-2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., ((OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

EUROPA 175, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO ALBERTO MARIA

PROCOPIO, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO GALASSI;

– ricorrente –

contro

Z.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 350/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/10/2016, R.G.N.90/2016;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

1.1. il Tribunale di Ancona, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da Z.R. avverso il decreto ingiuntivo concesso a Poste Italiane per la somma di Euro 60.506,84, revocava tale decreto e condannava la Zoppi alla restituzione di una minor somma sull’assunto che la differenza dovuta nel pagamento tra quanto corrisposto alla lavoratrice in adempimento di una sentenza di condanna al risarcimento del danno per illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro a tempo determinato intercorso tra le parti e quanto statuito dalla Corte d’appello – che aveva riformato in parte la pronuncia del primo giudice applicando l’ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32e la prevista indennità risarcitoria – dovesse determinarsi al netto e non al lordo delle ritenute fiscali, tenendo conto delle somme effettivamente corrisposte alla lavoratrice;

1.2. tale decisione era confermata dalla Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 350/2016 dell’11 ottobre 2016;

riteneva la Corte territoriale che la richiesta di restituzione non potesse che essere limitata alle somme (superiori a quelle spettanti) effettivamente percepite dalla lavoratrice, salvi i rapporti con il Fisco del datore di lavoro, con la precisazione che, per quanto concerneva l’indennità risarcitoria da sottrarre rispetto agli importi corrisposti al netto, occorresse considerare l’entità della stessa egualmente al netto e non al lordo;

2. per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso Poste Italiane S.p.A. affidato a tre motivi;

3. la lavoratrice è rimasta intimata;

4. il Procuratore Generale ha presentato requisitoria con cui ha concluso per il rigetto del ricorso;

5. non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in correlazione alle circolari e risoluzione dell’Amministrazione finanziaria (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per avere la Corte territoriale escluso la legittimità della pretesa di restituzione da parte della lavoratrice dell’intero importo, comprensivo delle ritenute di legge, non potendo il datore di lavoro chiedere il rimborso delle somme versate all’Erario se non nelle ipotesi tassative previste dall’art. 38 (errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale del’obbligo di versamento) tra cui non rientra la fattispecie in esame;

1.2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10,comma 1, lett. D bis (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) evidenziando che la società era solo sostituto d’imposta ragion per cui le era preclusa la domanda di rimborso essendo il lavoratore unico legittimato a proporla e che il recupero, da parte dell’ente erogatore, avrebbe dovuto essere effettuato al lordo delle imposte come da Risoluzioni nn. 326/1997, 110/2005 e 71/2008 dell’Agenzia delle Entrate;

1.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) rilevando che non possa trovare applicazione detta norma al sostituto d’imposta ragion per cui gravava sul dipendente l’obbligo di restituire a Poste Italiane la somma al lordo salvo ad agire egli stesso per la ripetizione dell’importo delle somme direttamente nei confronti dell’Erario, ovvero avvalendosi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. D bis cit.;

2. i motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono infondati alla luce degli orientamenti di questa Corte cui si ritiene di dare continuità secondo cui: a) in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, sono legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. sostituto di imposta) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. sostituito) (Cass. 29 luglio 2015 n. 16105 ed i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti); b) il datore di lavoro non può pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali, allorchè le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr. Cass. 20 luglio 2018, n. 19459; Cass. 29 gennaio 2018, n. 2135; Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464; in tali termini anche Consiglio di Stato, Sez. 6, 2 marzo 2009 n. 1164 con riguardo al rapporto di pubblico impiego);

invero, nel caso in esame, è pacifico che le ritenute fiscali non siano state versate direttamente alla Z. per cui la società, a prescindere da ogni altra considerazione, non avrebbe potuto ripeterli nei confronti della lavoratrice perchè appunto da questa non percepiti;

3. il ricorso va, pertanto, rigettato;

4. nulla va disposto per le spese processuali non avendo la lavoratrice svolto attività difensiva;

5. va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 considerato che, in base al tenore letterale della disposizione, l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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