Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31653 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. I, 04/12/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 04/12/2019), n.31653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11218/2017 R.G. proposto da:

BANCA NUOVA S.P.A., in persona del vice direttore generale p.t.

L.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Costantino Ciofalo, con

domicilio eletto in Roma, via Bressanone, n. 3, presso lo studio

dell’Avv. Maria Luisa Casotti Cantatore;

– ricorrente –

contro

F.M.L., C.G. e C.C.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Giovanni Lentini, con domicilio

eletto in Roma, via G. Boni, n. 15, presso lo studio dell’Avv. Elena

Sambataro;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1950/16,

depositata il 25 ottobre 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) S.r.l., titolare di un conto corrente con affidamento presso la Banca Nuova S.p.a., nonchè F.M.L., G. e C.C., in qualità di fideiussori della correntista, convennero in giudizio la Banca, per sentir dichiarare la nullità della clausola contrattuale che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, con l’accertamento dell’applicabilità della capitalizzazione annuale, e con la condanna della Banca alla restituzione delle somme eventualmente dovute.

Si costituì la convenuta e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto e proponendo domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma di Euro 125.953,29, oltre interessi.

Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) e riassunto dalla Banca, proseguì con la costituzione dei fideiussori, mentre il curatore del fallimento rimase contumace.

1.1. Con sentenza del 18 maggio 2011, il Tribunale di Trapani, Sezione distaccata di Alcamo, dichiarò nulla la clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale, ma rigettò la domanda principale, accogliendo quella riconvenzionale e condannando gli attori al pagamento della somma di Euro 92.318,85, oltre interessi al tasso convenzionale senza capitalizzazione con decorrenza dal 3 marzo 2004.

2. L’impugnazione proposta dalla F. e dai C. è stata accolta dalla Corte d’appello di Palermo, che con sentenza del 25 ottobre 2016 ha rigettato il gravame incidentale proposto dalla Banca, condannandola alla restituzione della somma di Euro 18.310,59, oltre interessi compensativi al tasso legale con decorrenza dal 3 marzo 2004, nonchè al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la novità delle domande di accertamento della nullità delle clausole contrattuali che prevedevano la capitalizzazione trimestrale e l’applicazione della commissione di massimo scoperto, osservando che la nullità delle clausole che prevedono interessi usurari è rilevabile anche d’ufficio, costituendo oggetto di una mera difesa, proponibile anche in appello, purchè sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio.

Premesso inoltre che il contratto, stipulato il 1 agosto 1991 e modificato il 26 agosto 1997, si era risolto il 3 marzo 2004, la Corte ha rilevato che il c.t.u. nominato nel corso del giudizio aveva proceduto alla rettifica per ciascun trimestre del saldo numeri debitori delle componenti rappresentate da interessi, commissioni di massimo scoperto, valute e spese, in tal modo pervenendo alla rideterminazione del saldo finale del conto in Euro 48.116,14 a favore della correntista. Ha precisato che in base alle rettifiche effettuate il c.t.u. aveva elaborato per ciascun trimestre il tasso effettivo globale, includendo negl’interessi anche le remunerazioni percepite dalla Banca a titolo di commissioni di massimo scoperto e spese, e lo aveva posto a confronto con i tassi-soglia previsti dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, in tal modo accertando il costante superamento dei predetti tassi. Sulla base dei numeri debitori rettificati, il c.t.u. aveva poi applicato il tasso d’interesse legale, in base al quale aveva determinato, in riferimento alla data di chiusura del rapporto, un saldo creditore di Euro 18.310,59, ivi compresi Euro 48.116,14 per sorta capitale, Euro 35.056,18 per interessi debitori ed Euro 5.250,63 per interessi creditori.

3. Avverso la predetta sentenza la Banca Nuova ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La F. ed i C. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità del processo d’appello e della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 331 c.p.c., osservando che, nel condannarla al pagamento del saldo attivo del conto corrente, la Corte distrettuale non ha considerato che, non avendo gli appellanti alcun titolo per richiederlo, in qualità di fideiussori, avrebbe dovuto essere disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del curatore del fallimento della (OMISSIS), rimasto contumace in primo grado e non evocato nel giudizio d’appello.

1.1. Il motivo è infondato.

Il rapporto di accessorietà esistente tra l’obbligazione del fideiussore e quella del debitore principale, aventi carattere solidale, non ne esclude infatti la reciproca autonomia, e non dà pertanto luogo, sul piano processuale, ad un litisconsorzio necessario, in quanto, essendo il creditore legittimato ad agire per l’intero nei confronti di ciascun coobbligato, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi nei confronti di uno solo dei debitori: qualora pertanto, come nella specie, uno solo di essi abbia proposto impugnazione (o la stessa sia stata proposta nei confronti soltanto di uno di essi), il giudizio può legittimamente proseguire senza che risulti necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro, non ricorrendo nessuna delle ipotesi previste dall’art. 331 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. IL 12/02/2016, n. 2854; 21/11/2006, n. 24680; Cass., Sez. III, 30/05/2008, n. 14469).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c. e degli artt. 1823 e ss. e 1936 e ss. c.c., sostenendo che, nel condannarla al pagamento del saldo attivo del conto corrente in favore degli appellanti, la Corte territoriale non ha considerato che questi ultimi non avevano proposto un’apposita domanda nei suoi confronti; in qualità di fideiussori della società correntista, essi non potevano infatti chiedere la restituzione delle somme illegittimamente addebitate sul conto, non potendo sostituirsi alla debitrice principale e non avendo neppure allegato e provato di aver effettuato un pagamento indebito.

2.1. Il motivo è fondato.

I controricorrenti, che in qualità di fideiussori avevano agito in primo grado congiuntamente alla debitrice principale, chiedendo la rideterminazio-ne del saldo del conto corrente alla stessa intestato, previo accertamento della nullità delle clausole contrattuali che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degl’interessi ed il regime delle valute e del carattere usurario dei tassi applicati agl’interessi debitori, nel proporre appello non si sono limitati a ribadire le predette domande, ma hanno riproposto anche quella di condanna della Banca alla restituzione dell’importo illegittimamente addebitato o riscosso: in ordine alla stessa essi dovevano tuttavia considerarsi privi di legittimazione, spettando quest’ultima esclusivamente all’intestataria del conto, a carico della quale erano stati effettuati gli addebiti. Il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria, desumibile dagli artt. 1939 e 1945 c.c., consente infatti al fideiussore di opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, ma non comporta l’attribuzione di una legittimazione sostituiva ai fini della proposizione delle azioni che competono a quest’ultimo nei confronti del creditore, neppure quando le stesse si riferiscano alla posizione debitoria per la quale è stata prestata la garanzia, ostandovi anche il principio generale sancito dall’art. 81 c.p.c., secondo cui, in mancanza di un valido titolo che consenta la sostituzione, legittimato ad agire in giudizio, in via di azione ed in nome proprio, è solo il titolare dell’interesse leso (cfr. Cass., Sez. III, 30/08/2018, n. 21381; Cass., Sez. I, 1/10/2012, n. 16669; 20/08/2003, n. 12225). Non può pertanto condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, avendo accertato che per effetto del ricalcolo degl’interessi con esclusione della capitalizzazione trimestrale e rettifica delle valute il saldo finale del conto corrente risultava in attivo, ha condannato la Banca alla restituzione del relativo importo, senza considerare che, a seguito della dichiarazione di fallimento della correntista, unica legittimata alla riproposizione della domanda, il curatore non aveva proseguito il giudizio. Non poteva d’altronde ritenersi che gli appellanti vantassero un autonomo titolo alla restituzione, non essendo stato allegato nè provato che essi avessero provveduto al pagamento dell’importo dovuto a titolo di saldo debitore, a seguito dell’escussione delle fideiussioni da parte della Banca, e dovendosi quindi escludere che fossero legittimati in proprio all’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 61 e 191 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che, nel formulare i quesiti al c.t.u., la Corte d’appello ha fatto propri i criteri di ricalcolo indicati dagli appellanti, in tal modo demandando al consulente l’accertamento di circostanze che avrebbero dovuto essere provate dagli stessi. Affermano in particolare che la determinazione del TEG richiede l’applicazione di una formula matematica che non può essere rimessa ai criteri indicati dalla parte, aggiungendo che il superamento dei tassi-soglia previsti dalla L. n. 108 del 1996 dev’essere accertato attraverso la formula indicata nelle istruzioni della Banca d’Italia.

3.1. Il motivo è infondato.

Nei rapporti bancari in conto corrente, il correntista che agisca per la rideterminazione del saldo finale e per la restituzione delle somme indebitamente corrisposte è tenuto a provare che gli addebiti effettuati sul conto non sono sorretti da una valida causa debendi, ed ha quindi l’onere di documentare l’andamento del rapporto, attraverso la produzione degli estratti conto dai quali risultano i singoli movimenti con le relative date e gl’importi (cfr. Cass., Sez. I, 3/12/2018, n. 31187; 23/10/2017, n. 24948); tale prova deve ritenersi sufficiente anche nel caso in cui, come nella specie, sia fatta valere la nullità delle clausole contrattuali che prevedono la capitalizzazione degl’interessi o tassi d’interesse usurari, dal momento che la ricostruzione dei movimenti del conto corrente consente da un lato di verificare i tassi d’interesse di volta in volta applicati e le modalità di calcolo degli stessi, nonchè di porli a confronto con i tassi-soglia determinati ai sensi della L. n. 108 del 1996, dall’altro di procedere al ricalcolo del saldo finale sulla base del tasso d’interesse legittimamente applicabile. Una volta acquisiti gli estratti conto, l’affidamento di tali operazioni ad un c.t.u. non comporta alcuna alterazione nella ordinaria ripartizione dell’onere della prova, trattandosi di accertare fatti per il cui riscontro sono indispensabili particolari cognizioni tecniche, e rispetto ai quali l’opera del consulente non riveste una portata meramente valutativa (c.d. consulenza deducente), ma è destinata ad assumere valore probatorio (c.d. consulenza percipiente), con la conseguenza che all’attore incombe esclusivamente l’onere di allegare i fatti che pone a fondamento del suo diritto (cfr. Cass., Sez. III, 8/02/2019, n. 3717; 13/03/2009, n. 6155; 26/11/2007, n. 24620). La valutazione dell’opportunità di disporre la c.t.u. è d’altronde rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, il quale, nella formulazione dei quesiti da sottoporre al consulente, può legittimamente venire incontro alle richieste avanzate dalle parti, aventi peraltro ad oggetto, nella specie, l’effettuazione di calcoli matematici ben noti agli operatori giuridici, in quanto rispondenti a precisi criteri tecnico-contabili e disciplinati in buona parte da istruzioni delle Autorità di controllo, nonchè abitualmente utilizzati nelle controversie in materia bancaria.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini dell’accertamento degli addebiti illegittimamente effettuati dalla ricorrente, ha fatto proprie le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., la cui nomina non si è tradotta in alcun modo nella dispensa degli attori dall’onere probatorio ad essi incombente, avendo gli stessi puntualmente indicato, a sostegno della domanda, le cause dell’illegittimità, e spettando alla Corte territoriale l’individuazione delle relative conseguenze, sulla base degli accertamenti compiuti dal c.t.u.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, dell’art. 1815 c.c., della L. n. 108 del 1996, art. 1 e ss. e dei decreti ministeriali dalla stessa previsti, sostenendo che al rapporto in esame, sorto nel 1991, non era applicabile per l’intera durata la disciplina dettata dalla L. n. 108 cit., soprattutto alla luce della L. 28 febbraio 2001, n. 24, che ai fini dell’accertamento del carattere usurario degl’interessi impone di fare riferimento alla data della pattuizione, anzichè a quella del pagamento. Afferma quindi che, nella ricostruzione del saldo del conto corrente, non era applicabile il tasso d’interesse legale, ma al più i tassi-soglia di volta in volta vigenti, aggiungendo che, come riconosciuto dallo stesso c.t.u., il criterio adottato per la determinazione del tasso-soglia contrastava con le istruzioni impartite dalla Banca d’Italia, in quanto prevedeva la rettifica dei numeri debitori, con la conseguente inclusione dell’anatocismo e dell’incidenza delle date valuta.

4.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, rimasta incensurata sul punto, ha infatti accertato che il rapporto di conto corrente intercorso tra la Banca e la (OMISSIS), pur essendo stato chiuso il 3 marzo 2004, con la voltura a sofferenza del saldo debitore del conto, ha avuto inizio in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, e precisamente con contratto stipulato il 1 agosto 1991: ciò nonostante, essa ha ritenuto applicabile la disciplina introdotta dalla predetta legge, e, rilevato che il c.t.u. aveva accertato la superiorità del tasso effettivo globale applicato dalla Banca rispetto ai tassi-soglia, ha concluso per il carattere usurario degl’interessi, dichiarandoli dovuti al tasso legale, in luogo di quello pattuito.

Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto tra le Sezioni semplici, hanno peraltro affermato che il meccanismo dei tassi-soglia previsto dalla L. n. 108 del 1996 non trova applicazione alle pattuizioni di interessi stipulate in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, anche se riferite a rapporti ancora in corso a tale data, risultando in tal senso decisivo il D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 24 del 2001, che, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., comma 2, attribuisce rilievo, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, al momento della pattuizione dello stesso anzichè a quello del pagamento degli interessi. Tale disciplina, che valorizza il profilo della volontà collegato alla pattuizione degl’interessi, e quindi la responsabilità dell’agente, appare infatti coerente con la ratio della L. n. 108 del 1996, la quale non consiste affatto nel calmierare il mercato del credito, ma nel contrastare il fenomeno dell’usura: lo dimostra chiaramente proprio il meccanismo di definizione del tasso-soglia, che, in quanto fondato sulla rilevazione periodica dei tassi medi praticati dagli operatori, è configurato dalla legge come un effetto, e non già come la causa, dell’andamento del mercato. In presenza di un tasso convenzionale inferiore al tasso-soglia dell’usura al momento della pattuizione, il superamento di detto tasso al tempo del pagamento non comporta dunque la nullità o l’inefficacia della corrispondente clausola contrattuale o comunque l’illiceità della pretesa del pagamento del creditore, che, in quanto corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto, non contrasta di per sè neppure con il canone di correttezza e buona fede contrattuale (cfr. Cass., Sez. Un., 19/10/2017, n. 24675).

In applicazione di tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, deve escludersi che la disciplina introdotta dalla L. n. 108 del 1996 potesse trovare applicazione al rapporto intercorso tra la Banca e la (OMISSIS), il quale, pur essendosi concluso in epoca successiva alla sua entrata in vigore, traeva origine da un contratto stipulato in epoca anteriore, con la conseguente legittimità della clausola determinativa del tasso d’interesse. Restano conseguentemente assorbite le ulteriori censure proposte dalla ricorrente, riflettenti la difformità delle modalità di determinazione dei tassi-soglia adottate dal c.t.u. rispetto a quelle previste dalle istruzioni della Banca d’Italia.

5. Il primo ed il terzo motivo di ricorso vanno dunque rigettati, mentre vanno accolti il secondo ed il quarto, restando invece assorbito il quinto, concernente il regolamento delle spese processuali.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Palermo, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il quarto; dichiara assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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