Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31649 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. I, 04/12/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 04/12/2019), n.31649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23008/2015 proposto da:

S.L., S.G., S.M., V.M.;

(OMISSIS) Snc, in persona dei legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Tarvisio 2, presso lo studio

dell’avvocato Canonaco Paolo, che li rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Popolare Di Sondrio Sooc. Coop per Azioni, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, V.le Gorizia 22, presso lo studio dell’avvocato Motti Barsini

Giuseppe Ludovico, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Guzzetti Paolo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore, Dott.

B.D.;

– intimato –

e contro

S.L., S.G., S.M., V.M.;

(OMISSIS) Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Tarvisio 2, presso lo studio

dell’avvocato Canonaco Paolo, che li rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– controricorrenti a ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 337/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Dott. VALITUTTI ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato i 24 gennaio 2006, la (OMISSIS) s.r.l., S.L., in proprio e quale fideiussore della predetta società, S.G., S.M. e V.M., anch’essi fideiussori della (OMISSIS), convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecco, la Banca Popolare di Sondrio soc. coop. per azioni, chiedendo accertarsi i rapporti di dare-avere tra l’istituto di credito, la predetta società ed i fideiussori, detratti gli interessi ultralegali, quelli anatocistici e la commissione di massimo scoperto non validamente pattuita, e condannarsi la banca alla restituzione degli importi calcolati in eccedenza sui conti correnti, rispettivamente intestati ai diversi debitori, oltre che al risarcimento dei danni dai medesimi subiti.

Con sentenza n. 1297/2010, il Tribunale di Lecco – dichiarata l’improcedibilità delle domande riconvenzionali proposte dall’istituto di credito nei confronti della (OMISSIS), per intervenuto fallimento della stessa – così provvedeva: 1) condannava la (OMISSIS) s.n.c.., S.G., S.M. e V.M., in qualità di fideiussori di (OMISSIS) s.r.l., a pagare, in solido fra loro, la somma di Euro 238.739,05, in favore della Banca Popolare di Sondrio, quale saldo negativo del rapporto n. (OMISSIS), intestato alla (OMISSIS) s.r.l.; 2) condannava S.L. a pagare alla banca convenuta l’importo di Euro 303.063,41, quale saldo debitore del conto corrente n. (OMISSIS); 3) condannava il Banco Popolare di Sondrio a pagare a S.L. la somma di Euro 36.741,57, quale saldo attivo del rapporto n. (OMISSIS), a lui intestato; 4) condannava la banca convenuta a pagare l’importo di Euro 166.000,00, a S.L., S.G., S.M., V.M. ed al Fallimento (OMISSIS) s.r.l., quale controvalore delle azioni vendute dalla banca e già intestate agli attori; 5) condannava la Banca Popolare di Sondrio a pagare a S.L. la somma di Euro 258.203,52, quale ricavato netto della vendita dei pegni custoditi dalla banca.

2. Con sentenza n. 337/2015, depositata il 21 gennaio 2015 e notificata il 25 giugno 2015, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, così provvedeva: a) rigettava la domanda proposta da S.L. di condanna dell’istituto di credito appellante al pagamento della somma di Euro 258.203,52, quale ricavato netto della vendita dei pegni da lui costituiti, escussi dalla banca; b) rigettava la domanda proposta da S.L., S.G., S.M., V.M. e dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l. di condanna della banca al pagamento dell’importo di Euro 166.000,00, quale controvalore delle azioni vendute dalla banca e già intestate agli appellati; c) operata la compensazione giudiziale tra i rispettivi crediti e debiti, riduceva ad Euro 266.321,84, l’importo dovuto da S.L. all’istituto di credito, quale saldo debitore del conto corrente n. (OMISSIS), annullando il capo di condanna della banca a pagare la somma di Euro 36.741,57 al S.; d) condannava gli appellati al pagamento, in solido, della metà delle spese del grado di giudizio, liquidate in Euro 5.600,00; e) confermava, nel resto, l’impugnata sentenza.

3. Per la cassazione di tale pronuncia hanno, quindi, proposto ricorso S.L., S.G., S.M., V.M. e la (OMISSIS) s.n.c., affidato ad otto motivi. La Banca Popolare di Sondrio soc.c.oop, per azioni ha resistito con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale, affidato ad otto motivi. L’intimato Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. non ha proposto attività difensiva.

4. Al ricorso incidentale della Banca Popolare di Sondrio hanno resistito con controricorso, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., comma 4, S.L., S.G., S.M., V.M. e la (OMISSIS) s.n.c. L’istituto di credito ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis. 1. c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, deve rilevarsi che l’eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso per cassazione, proposta dalla Banca Popolare di Sondrio, è infondata e deve essere disattesa. La controricorrente ha allegato, invero, che a notifica del ricorso effettuata nei sessanta giorni dalla notificazione della sentenza di appello, ai sensi dell’art. 325 c.p.c. – sarebbe avvenuta presso il domicilio in precedenza eletto dall’istituto di credito, ossia in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato Gianpaolo Locurto, sebbene, nella relata di notifica della sentenza, la banca avesse eletto domicilio presso lo studio dell’avv. Paolo Guzzetti, sito in (OMISSIS), “previa revoca dell’elezione di domicilio effettuata nella procura alle liti in atti”. Ne sarebbe derivata – a parere della controricorrente – l’inesistenza della notifica del ricorso per cassazione.

1.1. Tanto premesso, deve, per contro, rilevarsi che nel caso in cui, nella notificazione della sentenza, la parte elegga domicilio a norma dell’art. 330 c.p.c. presso un professionista diverso da quello che l’aveva difesa e presso il quale essa aveva eletto domicilio nel precedente corso di giudizio, senza espressamente revocare anche il mandate defensionale rilasciato al primo avvocato per tutti gli eventuali gradi dei medesimo giudizio, la notifica dell’atto d’impugnazione eseguita presso o studio di quel primo avvocato è nulla, ma non giuridicamente inesistente; con la conseguenza che il relativo vizio è sanato dalla costituzione nei giudizio d’impugnazione della parte cui la notificazione era destinata (Cass., 23/02/2012, n. 2759; Cass., 02/11/2017, n. 26091).

1.2. Nel caso di specie, nella relata di notifica della sentenza di appello è stata revocata esclusivamente l’elezione di domicilio della Banca Popolare di Sondrio presso l’avvocato Locurto – codifensore dell’istituto di credito, unitamente all’avvocato Guzzetti – senza che la procura conferita a primo sia stata espressamente revocata. Ci si trova, pertanto, in presenza di una nullità, non dell’inesistenza della notifica del ricorso, sanata per effetto della costituzione nel presente giudizio della Banca Popolare di Sondrio. L’eccezione di inammissibilità del ricorso va, dunque, disattesa.

2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti principali denunciano la violazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., nonchè l’omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

2.1. Si dolgono gli istanti che la Corte d’appello non abbia ritenuto inammissibile l’appello dell’istituto di credito, sebbene del tutto generico, omettendo di pronunciarsi sull’eccezione processuale proposta dagli appellati, e comunque incorrendo nella violazione dell’art. 342 c.p.c.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.2.1. Sotto il profilo dell’omessa pronuncia, va osservato, infatti, che il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dare luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. (Casse. 12/01/2016, n. 321; Cass., 06/12/2004, n. 22860).

2.2.2. Per quanto concerne, invece, la violazione dell’art. 342 c.p.c., deve rilevarsi che i principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire ai giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte e vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito. Ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (Cass., 10/01/2012, n. 86; Cass., 20/07/2012, n. 12664; Cass., 21/05/2004, n. 9734). Nel caso di specie, per contro, i ricorrenti non hanno riprodotto nel ricorso l’atto di appello, al fine di consentire alla Corte di stabilire se la censura alla decisione di primo grado sia stata effettivamente proposta in maniera “estremamente confusa, generica, sovrabbondante”.

2.3. Il mezzo, poichè inammissibile, non può, pertanto, trovare accoglimento.

3. Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,342,345 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. Gli istanti censurano l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto che la escussione dei pegni, rilasciati a favore della banca da S.L. per a somma di Euro 258.203,52, e la vendita delle azioni del medesimo istituto di credito, per l’importo di Euro 166.000.00, in danno di tutti gli odierni ricorrenti, fossero legittime, sia in quanto consentite dall’art. 22 dello Statuto della Banca Popolare di Sondrio, sia in quanto sussisterebbe la prova agli atti della legittima imputazione degli importi ottenuti dalla suddette operazioni all’abbattimento delle esposizioni debitorie della debitrice principale (OMISSIS) s.r.l. Per contro, ad avviso degli esponenti, la prova di siffatta imputazione non desumibile neppure dalla disposta c.t.u. – sarebbe stata erroneamente ravvisata dalla Corte territoriale, con motivazione insufficiente e contraddittoria, in due documenti (n. 38 del fascicolo di primo grado, quanto all’escussione dei pegni, e n. 1, quanto al ricavato della vendita delle azioni), che non solo non conterrebbero la prova del fatto controverso, ma sarebbero stati tardivamente prodotti solo nel giudizio di appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c. Per di più, non tenendo conto i saldi contabili, operati dalla c.t.u., di tale accredito a favore della banca, conseguente all’escussione dei pegni ed ala vendita delle azioni, la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre una nuova consulenza per rideterminare i saldi, tenendo conto di tali importi.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.2.1. Va anzitutto osservato, che – sotto il profilo del denunciato vizio di motivazione -la censura non è conforme al modello di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 In seguito alla riformulazione di tale norma, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito con modifiche dalla L. n. 134 del 2012, non sono, invero, più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 06/07/2015, n. 13928; Cass., 12/10/2017, n. 23940).

3.2.2. Per quanto concerne, poi, la dedotta violazione dell’art. 342 c.p.c., va rilevato che la Corte d’appello ha riformato la decisione di primo grado – secondo la quale la banca, “non avendo proceduto alla regolare imputazione degli importi ricavati dall’escussione dei pegni e dalla vendita delle azioni, doveva considerarsi, sul punto inadempiente” – ritenendo, per contro, che l’istituto di credito avesse “specificamente provato, fin dal primo grado del giudizio, la corretta imputazione degli importi ottenuti a seguito della legittima esecuzione delle operazioni contestate, alle esposizioni debitorie di (OMISSIS) s.r.l.”. A tanto la banca avrebbe provveduto mediante i documenti nn. 38 ed 1, allegati al fascicolo di primo grado, senza che – a fronte di tali allegazioni contabili – nulla opponessero gli appellati.

Ebbene, i ricorrenti non hanno riprodotto nel ricorso – nel rispetto del principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – nè i documenti nn. 1 e 38, il cui contenuto non conterrebbe – a loro dire – la prova della corretta imputazione delle somme ricavate dalla escussione dei pegni e dalla vendita delle azioni, nè i passi salienti della disposta c.t.u., che non avrebbe computato dette somme nella determinazione dei rapporti di dare/avere tra le parti in causa. Del pari, non risulta adempiuto l’onere deduttivo dei ricorrenti, con riferimento alla pretesa novità dei suddetti documenti, non avendo gli stessi in alcun modo indicato in quale fase del giudizio di appello tali documenti siano stati prodotti, nè hanno trascritto le presunte eccezioni di tardività che, sul punto, sarebbero state sollevate dagli appellati all’atto della loro costituzione nel giudizio di secondo grado.

Tanto più che la Corte d’appello ha espressamente rilevato che, a fronte delle suesposte emergenze contabili, nulla avevano opposto gli appellati.

3.3. Per le ragioni che precedono, il mezzo – poichè inammissibile – non può trovare accoglimento.

4. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1243 c.c., comma 2 e art. 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Avrebbe errato la Corte d’appello – a parere degli esponenti – nel pronunciare ia compensazione tra il debito di Euro 36.741,57, cui la banca era stata condannata in primo grado, in favore di S.L., quale saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS), ed il credito vantato dall’istituto di credito per Euro 303.063,41, quale saldo passivo del conto corrente n, (OMISSIS), intestato a S.L.. E ciò sul presupposto che il giudice di merito sarebbe tenuto ad un obbligo di disamina e di compensazione anche nell’ipotesi ricorrente nella specie – in cui il credito dedotto in compensazione non sia di facile e pronta liquidazione, ma costituisca oggetto di domanda riconvenzionale. La Corte d’appello – a parere degli esponenti non avrebbe, peraltro, tenuto conto del fatto che tale domanda riconvenzionale era stata proposta dalla banca Popolare di Sondrio solo alla prima udienza, e non nella comparsa di risposta, come richiesto – a pena di decadenza — dall’art. 167 c.p.c..

4.2. Il mezzo è infondato.

4.2.1. La sentenza di appello si è, invero, conformata al costante orientamento di questa Corte, secondo cui il giudice deve decidere sul credito opposto in compensazione anche allorchè non è di facile e pronta liquidazione, se è fatto valere con domanda riconvenzionale e non eccede la sua competenza per materia o valore, ai sensi degli artt. 36 e 112 c.p.c. (Cass., 29/11/1993, n. 11850; Cass., 02/09/1998, n. 8692; Cass., 05/01/2005, n. 157).

4.2.2. Orbene, il giudice di appello ha rilevato che, nel caso concreto, era stata proposta una domanda riconvenzionale di compensazione, con conseguente obbligo per il giudice di pronunciarsi sulla stessa, anche in mancanza di non facile e pronta liquidazione del credito opposto in compensazione. A fonte di tale accertamento di fatto, i ricorrenti non hanno riprodotto nel ricorso – quanto meno nelle conclusioni la comparsa di risposta della banca in primo grado, nè il verbale della prima udienza, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, onde dare alla Corte modo di verificare se la domanda in questione fosse stata effettivamente proposta tardivamente.

4.3. La censura deve essere, pertanto, disattesa.

5. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., artt. 1325 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.1. Lamentano gli istanti che la Corte d’appello abbia ritenuto inammissibile, poichè proposta in primo grado solo nelle conclusioni, senza qualsivoglia allegazione nella parte motiva dell’atto di citazione, e comunque infondata, la domanda di restituzione delle somme addebitate dalla banca a titolo di commissione di massimo scoperto. Tale statuizione, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe del tutto erronea, sia per essere stata tale domanda ritualmente proposta, tanto da suscitare un contraddittorio con l’istituto di credito sul punto, sia in quanto sarebbe mancata del tutto la pattuizione della commissione di massimo scoperto, che sarebbe – in ogni caso, anche laddove pattuita – di per sè nulla per difetto di causa, e non, come erroneamente affermato dalla Corte d’appello, solo se alla sua applicazione consegua i superamento dei tasso soglia previsto dalla normativa antiusura.

5.2. La doglianza è in parte inammissibile ed in parte infondata. 5.2.1. Va, per intanto, rilevato che gli istanti non hanno riprodotto nel ricorso ne rispetto del principio di autosufficienza – la parte motiva dell’atto di citazione di prime cure, onde consentire alla Corte il riscontro circa la genericità della domanda in questione, affermata dalla Corte d’appello, e già prima dal Tribunale, per non essere stata tale domanda corredata da argomentazioni in fatto ed in diritto “nel corpo dell’atto”. Sotto tale profilo, pertanto, il motivo si palesa inammissibile.

5.2.2. Per quanto concerne, poi, la pattuizione della commissione di massimo scoperto, la Corte d’appello ha affermato che la banca aveva dedotto “fin da primo atto di costituzione in giudizio, la regolare pattuizione delle clausole di commissione di massimo scoperto, evidenziandone la funzione e la finalità”, e che solo nella comparsa di costituzione in appello – quindi del tutto tardivamente (art. 345 c.p.c.) — gli appellati avevano eccepito la invalidità di ciascuna clausola pattiziamente determinata, evidenziandone, “per ciascun rapporto di c/c le singole manchevolezze”. Tale ratio decidendi dell’impugnata sentenza non è stata, peraltro, specificamente impugnata dai ricorrenti, per cui sotto tale profilo la doglianza è inammissibile. Il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n, 18421). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n, 19989).

Del resto, la “pedissequa previsione” tra le parti delle commissioni di massimo scoperto, era stata positivamente accertata dal c.t,u., e la Corte d’appello ne ha dato atto.

5.3. Per tali ragioni, dunque, mezzo non può trovare accoglimento.

6. Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 210 c.p.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6.1. Si dolgono gli istanti del fatto che la Corte d’appello non abbia emesso, in violazione del disposto dell’art. 210 c.p.c., il chiesto ordine di esibizione di tutti gli estratti conto da parte della banca, sebbene i correntisti avessero dimostrato di essersi inutilmente attivati per richiederne il rilascio, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119. In alternativa, ad avviso degli esponenti, Il giudice di seconde cure avrebbe dovuto, al più, rideterminare i saldo deì conti correnti, partendo da un saldo contabile pari a zero, e non confermare, sul punto, la decisione del Tribunale che aveva operato la ricostruzione dei rapporti di dare/avere tra le parti partendo dal saldo risultante dai primo degli estratti conto oggetto di riproduzione.

6.2. Sui punto l’impugnata sentenza sarebbe, comunque, palesemente errata, avendo posto esclusivamente a carico del correntista l’onere della prova, mediante la produzione degli estratti conto relativi all’intero rapporto, sebbene l’istituto di credito avesse proposto una domanda riconvenzionale, volta ad ottenere il pagamento del saldo passivo dei conti correnti, e fosse, quindi, gravato dall’onere di produrre gli estratti conto iniziali, sui quali erano presenti passività.

6.2. Il mezzo è fondato..

6.2.1. Per quanto concerne l’ordine di esibizione, va – per vero osservato che l’assunto della Corte di merito, secondo cui l’ordine di esibizione degli estratti conto sarebbe, nella specie, precluso, per non avere i correntisti dimostrato di essersi attivati stragiudizialmente per ottenerli, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, comma 4, è erroneo e va disatteso.

6.2.1.1. Deve osservarsi, al riguardo, che il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, comma 4, (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), come sostituito dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 24, comma 2, che riconosce al cliente della banca, al suo successore a qualunque titolo e a colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni il diritto di ottenere copia della documentazione relativa a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, va interpretato, alla luce del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), ne senso che esso attribuisce ai suddetti soggetti il diritto – ossia una posizione sostanziale finale – di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il richiedente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale fissato dalla norma. A tal fine, non è necessario che il richiedente indichi specificamente gli estremi dei rapporto a cui si riferisce la documentazione richiesta in copia, essendo sufficiente che l’interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle l’individuazione dei documenti richiesti, quali, ad esempio, i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo di rapporto a cui è correlata la richiesta e il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono svolte (Cass., 28/05/2018, n. 13777; Cass., 12/05/2006, n. 11004).

6.2.1.2. In forza di tali affermazioni di principio, si è, dipoi, consolidato un indirizzo volto a superare, in subiecta materia, l’orientamento adottato, sul piano generale, da questa Corte con riferimento all’ordine di esibizone ex art. 210 c.p.c. Si è affermato, infatti, che il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre il diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c. Non può, invero, convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione dei medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante (Cass., 08/02/2019, n. 3875; Cass., 28/05/201.8, n. 13277; Cass., 11/05/2017, n. 1.1554; Cass., 15/09/2017, n. 21472).

6.2.2. La censura si palesa fondata, peraltro, anche in relazione all’onere della prova. E’, invero, indubitabile che, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi, essendo, altresì, onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione. Per cui sarebbe errato, laddove il primo estratto conto disponibile evidenzia un saldo negativo per il correntista, calcolare i rapporti di dare e avere con la banca previo azzeramento di detto saldo, perchè è tenuto non provato con la produzione degli estratti conto risalenti alla data di apertura del rapporto (Cass., 28/11/2018, n. 30822; Cass., 23/10/2017, n. 24948; Cass., 13/10/2016, n. 20693).

E’, peraltro, dei pari evidente che secondo i principi generali in tema di onere prova (art. 2697 c.c.) – la banca che intende far valere un credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l’andamento dello stesso per l’intera durata del suo svolgimento, dall’inizio del rapporto e senza interruzioni (Cass., 27/09/2018, n. 23313; Cass., 16/04/2018, n. 9365).

6.2.3. Si palesa, pertanto, errata l’impugnata pronuncia, laddove, in presenza di una domanda riconvenzionale proposta dall’istituto di credito, al fine di ottenere il pagamento dei saldi passivi intrattenuti con gli odierni ricorrenti, ha ritenuto che l’onere probatorio della produzione degli estratti conto incomba per intero su questi ultimi.

6.3. La censura in esame va, di conseguenza, accolta.

7. Con il sesto e settimo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli arti, 2043, 2056, 2697 c.c., art. 112 c.p.c., nonchè il difetto e/o errore sulla motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

7.1. Gli istanti censurano – sotto diversi profili – l’impugnata sentenza, nella parte in cui confermando le statuizioni rese in prime cure – ha disatteso la domanda di risarcimento del danno, proposta dai correntisti e quella avente ad oggetto l’illegittimo prelievo, che la banca avrebbe operato sul conto di S.L., per l’importo di Euro 166,500,00.

7.2. Le doglianze sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

7.2.1. Va, in primis, rilevato che la denuncia del “difetto e/o errore sulla motivazione” non è conforme ai vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, per cui la censura sui punto è inammissibile. Nè è configurabile, con riferimento alla domanda concernente il preteso illegittimo prelievo suindicato, l’omissione di pronuncia, essendosi la Corte pronunciata sul punto, escludendo la fondatezza delle pretese avanzate al riguardo dagli istanti.

7.2.2. Per quanto concerne le denunciate violazioni di legge, va rilevato che l’impugnata sentenza ha affermato, suì punti in discussione, che “gli appellati si sono limitati a riformulare le richieste già avanzate in primo grado senza censurare nello specifico le argomentazioni poste a fondamento del rigetto, attinenti – tutte al mancato assolvimento dell’onere di allegazione e di prova”. La sentenza di appello ha, inoltre, rilevato che gli appellati non hanno fornito elemento alcuno di allegazione e di prova circa l’asserita sottoscrizione in bianco del prelievo di Euro 166.500,00, da parte di S.L., e circa la natura dei pregiudizi sofferti in conseguenza dell’illegittimo comportamento dell’istituto di credito.

Ebbene tali rationes decidendi dell’impugnata sentenza non sono state espressamente e specificamente censurate dai ricorrenti, i quali si sono limitati, anche nel presente giudizio di legittimità, a dedurre – inammissibilmente questioni di merito e generiche affermazioni di principio. In particolare, gli istanti non hanno indicato – con autosufficiente deduzione – quali contestazioni abbiano sottoposto alla Corte d’appello nei confronti della sentenza di primo grado, in punto domanda di risarcimento dei danni e di indebito prelievo dal conto, onde consentire alla Corte di delibare la fondatezza, o meno, delle doglianze.

7.3. I mezzi in esame vanno, pertanto, disattesi.

8. Dall’accoglimento del quinto motivo di ricorso – che comporta la cassazione in parte qua dell’impugnata sentenza – resta assorbito l’ottavo motivo di ricorso, avente ad oggetto il regolamento delle spese di primo grado e di c.t.u., operato dal giudice di primo grado.

9. Passando, quindi, all’elsame del ricorso incidentale proposto dalla Banca Popolare di Sondrio, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso incidentale, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

9.1. Lamenta la istante che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciare sulla eccepita carenza di legittimazione attiva degli appellanti in via incidentale, in relazione a tutte le domande e richieste istruttorie svolte in merito ai rapporti di conto corrente intercorsi con l’istituto di credito.

9.2. Il motivo è inammissibile.

9.2.1. E’ invero inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravarne, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, si da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cassa 20/08/2015, n. 17019; Cass., 17/08/2012, n. 14561; Cass., 0.2/12/2005, n. 26234).

9.2.2. Nella specie, la ricorrente non ha riprodotto nel ricorso il motivo di appello, contenente l’eccezione di difetto di legittimazione attiva degli odierni ricorrenti, sul quale la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata. La censura, in quanto inammissibile, non può, pertanto, trovare accoglimento.

10. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la Banca Popolare di Sondrio denuncia “la violazione delle norme sulla competenza”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2.

10.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia respinto l’eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Lecco, essendo competente il Tribunale di Sondrio, sebbene l’art. 20 dei contratti di conto corrente nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), e l’art. 13 dei contratti di apertura di credito con garanzia ipotecaria prevedessero una competenza esclusiva del Tribunale di Sondrio, luogo nel quale è ubicata la sede centrale della banca Popolare di Sondrio.

10.2. Il motivo è inammissibile.

10.2.1. La censura non coglie, invero, la ratio decidendi dell’impugnata sentenza (Cassa 10/08/2017, n. 19989), secondo la quale l’eccezione di incompetenza per territorio è stata riproposta dalla banca in appello, “senza precise e specifiche contestazioni in merito a quanto sul punto osservato dai primo giudice”. Il Tribunale aveva, difatti, ritenuto l’eccezione infondata sul rilievo che l’accordo delle parti sulla competenza aveva riguardato solo alcuni affari determinati, e non tutti i rapporti oggetto di contestazione, e che non era stato attribuita al giudice designato una competenza di carattere esclusivo. In particolare, secondo la Corte territoriale, tale ultima statuizione non aveva costituito oggetto di specifica doglianza da parte dell’appellante, che si era limitato, in appello, a dedurre “l’accessorietà dei rapporti fideiussori e quelli di c/c senza peraltro specificare per quali di essi dovrebbe operare il cosiddetto foro convenzionale”. La Corte ha concluso, pertanto, per la “genericità ed insufficienza di tale motivo di gravame”.

10.2.2. Orbene, a fronte di tali motivate statuizioni, la ricorrente avrebbe dovuto proporre una censura di violazione del disposto dell’art. 342 c.p.c., e non delle norme in materia di competenza a riportare specificamente nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, il motivo di appello con il quale l’istituto di credito aveva contestato le statuizioni del Tribunale sulla questione di competenza, onde superare la statuizione di inammissibilità del motivo per genericità, operata dalla Corte d’appello. A tali oneri processuali, peraltro, non ha adempiuto l’istante, per cui la doglianza è da ritenersi inammissibile.

11. Con il terzo motivo di ricorso, a Banca Popolare di Sondrio denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 93, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

11.1. Avrebbe errato la Corte d’appello nel confermare la dichiarazione di improcedibilità della domanda riconvenzionale proposta dalla banca in prime cure nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., a seguito dell’intervenuto fallimento della stessa, tenuto conto del fatto che la domanda riconvenzionale era comunque tesa a paralizzare la pretesa creditoria azionata dal fallimento medesimo nei confronti dell’istituto di credito. Per cui quanto meno sotto il profilo della compensazione, che non richiede l’insinuazione del passivo fallimentare – tale, domanda avrebbe potuto essere accolta. Ad ogni buon conto, rileva la banca ricorrente che il Fallimento (OMISSIS) non avrebbe mai eccepito l’improcedibiiità della eccezione di compensazione svolta dall’appellante e, pertanto, la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare a ultrapetizione nella quale sarebbe incorso il giudice di prime cure.

11.2. il mezzo è infondato.

11.2.1. Sotto il profilo della ultrapetizione, va osservato che l’accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta, invero, alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex artt. 52 e 93 con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche ne giudizio di cassazione, l’inammissibilità o l’improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione “litis ingressus impedientes”, con l’unico limite preclusivo dell’intervenuto giudicato (Cass., 04/10/2018, n. 24156: Cass., 21/01/2014, n. 1115). Per cui la censura, su punto, è destituita di fondamento, atteso che la rilevabilità d’ufficio della improcedibilità della domanda vale certamente ad escludere dedotto vizio di ultrapetizione.

11.2.2. Per quanto concerne la procedibilità della domanda in questione, deve rilevarsi che, nel giudizio promosso dal curatore per recupero di un credito del Fallito il convenuto può eccepire in compensazione; in via riconvenzionale ai sensi della L. Fall., art. 56, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale. Per converso, il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dalla L. Fall., artt. 93 e ss. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sè favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna ai pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione (Cass., 18/12/2017, n. 30298; Cass., 07/06/2013, n. 14418; Cass., 14/07/2011, n. 15562).

Nel caso concreto come si evince dalla domanda riconvenzionale, trascritta su punto ne controricorso (pp. 89-90) la Banca Popolare di Sondrio non si è limitata affatto ad eccepire la compensazione L. Fall., ex art. 56 tra il proprio debito nei confronti del fallimento ed il credito vantato nei confronti del medesimo, ma ha altresì richiesto “la condanna di essi attori al pagamento delle somme eccedenti, oltre agli interessi come dalle citate domande riconvenzionali”, Per cui correttamente il giudice di appello ha ravvisato, nella specie, una domanda riconvenzionale, da insinuare nel passivo del fallimento L. Fall., ex art. 93.

11.3. Il motivo deve essere, pertanto, rigettato.

12. Con il quarto motivo di ricorso, la Banca Popolare di Sondrio denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, circa il termine di decorrenza della prescrizione e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

12.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto corretta la decisione di prime cure, che aveva determinato il termine di decorrenza della prescrizione con riferimento alla data della chiusura finale del conto, essendosi l’istituto di credito limitato ad eccepire genericamente – in primo grado – la prescrizione a decorrere dalle singole annotazioni dei pagamenti” senza specificare e precisare che talune rimesse avevano natura solutoria, al fine di legittimare una più favorevole – per la banca – decorrenza della prescrizione. Tale statuizione che non terrebbe debitamente conto di quanto dedotto ed eccepito dall’istituto di credito nelle proprie difese – sarebbe, peraltro, errata, poichè in contrasto con i principi affermati dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito.

12.2. Il mezzo è fondato.

12.3. Questa Corte ha, per vero statuito che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura dei conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento – a differenza delle rimesse aventi natura solutoria, poichè connesse ad un’apertura di credito, o dirette a risanare uno scoperto di conto corrente non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens” (Cass. Sez. U., 02/12/2010, n. 2 4 4 1 8),

Successivamente ferma restando l’affermazione di principio suesposta, che è stata confermata – si è, tuttavia, precisato che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie (Cass. Sez U, 13/06/2019, n. 15895).

12.4. Nel discende che, nei raso concreto, l’assunto della Corte d’appello secondo coi la banca convenuta avrebbe dovuto specificare l’eccezione di presunzione, allegando la natura solutoria di alcune rimesse, indicandole specificamente – deve essere ritenuto erroneo, con la conseguenza Che il motivo in esame deve essere accolto.

13. Con il quinto motivo di ricorso. la Banca Popolare di Sondrio denuncia la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

13.1. Si duole l’istante del fatto che la Corte d’appello abbia erroneamente statuito in ordine al conto corrente n. (OMISSIS), intestato a S.L., laddove la banca aveva impugnato la sentenza del Tribunale esclusivamente al conto corrente n. (OMISSIS), intestato alla (OMISSIS) s.r.l..

13.2. Il motivo è inammissibile.

13.2.1. Va osservato che i vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità dei motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dal ricorrente. Diversamente verrebbe ad essere impedito alla corte regolatrice di adempiere ai suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 29/11/2016, n. 24298; Cass. 08/03/2007, n. 5353).

13.2.2. Nel caso di specie” per contro, il mezzo si articola in una lunga censura, nella quale non viene, tuttavia, in alcun modo indicata la violazione di legge, o dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità” nella quale sarebbe incorso il giudice di appello, concretandosi la doglianza, per un verso, in allegazioni deducibili piuttosto come vizio revocatorio o come errore materiale, per altro verso, nella deduzione di questioni di merito inammissibili in questa sede.

1.3. La doglianza non può, pertanto, trovare accoglimento.

14. Con il sesto motivo di ricorso, la Banca Popolare di Sondrio denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

14.1. La ricorrente, lamenta l’omissione di pronuncia sulla domanda di ammissione dei mezzi di prova articolati dall’istituto di credito, che assume essere indispensabili per la decisione.

14.2. Il motivo è inammissibile.

14.2.1. Il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, n. 4 cit. codice, sì configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, ovverosia con riferimento all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in merito al diritto sostanziale dedotto in giudizio, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., 18/03/2013, n, 6715; Cass., 05/07/2016, n. 13716; Cass., 02/03/2016, n. 4120; Cass. 20/10/2017, n. 24830).

14.2.2. Ad ogni buon conto, va altresì, soggiunto che, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass., 04/10/2017, n. 23194; Cass. 22/02/2007, n. 4178). Nel caso concreto, la ricorrente non ha, per contro, neppure indicato di quali mezzi istruttori abbia fatto richiesta in appello.

15. Con il settimo ed ottavo motivo di ricorso, la Banca Popolare di Sondrio denuncia l’omessa pronuncia sulla compensazione delle spese processuali e sull’addebito agli odierni ricorrenti principali delle spese di c.t.u.. I motivi sono assorbiti dall’accoglimento del quarto motivo del ricorso incidentale.

16. L’accoglimento del quinto motivo del ricorso principale e del quarto motivo del ricorso incidentale comporta, invero, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia” facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo del ricorso principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibile il primo e secondo motivo del ricorso principale ed il primo, secondo, quinto e sesto motivo del ricorso incidentale; rigetta il terzo, quarto, sesto e settimo motivo del ricorso principale ed i terzo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbiti l’ottavo motivo del ricorso principale ed il settimo ed ottavo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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