Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31648 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2018, (ud. 18/09/2018, dep. 06/12/2018), n.31648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10805-2016 proposto da:

A.R.T.A. ABRUZZO AGENZIA REGIONALE PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA, 63, presso lo studio

dell’avvocato MARCO CROCE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MANUEL DE MONTE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AMITERNO 3,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO NOTARMUZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FEDERICO CINQUE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1056/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/10/2015; R.G.N.132/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2018 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Flavio De Battista per delega verbale De Monte

Manuel;

udito l’Avvocato Cinque Federico.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di L’Aquila, a conferma della sentenza del locale Tribunale, ha condannato l’A.R.T.A. Abruzzo – Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente a corrispondere a R.F., ingegnere civile, la somma di Euro 24.792, 71, oltre interessi, a titolo di differenze tra quanto percepito in forza dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa succedutisi tra il 1 aprile 2003 e il 20 aprile 2010 e la retribuzione spettante allo stesso in base alla categoria D di riferimento del CCNL per i dipendenti del settore della sanità.

La Corte territoriale ha escluso che nel caso in esame ricorressero le condizioni prescritte dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7 e, per le amministrazioni locali, dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6 che giustificano il ricorso a collaborazioni esterne in presenza di obiettivi determinati e di esigenze temporanee ed eccezionali con convenzioni a termine; ha altresì ritenuto che tale previsione è limitata allo svolgimento di prestazioni dirigenziali o di elevata professionalità, nelle quali non possono ritenersi rientranti quelle oggetto del profilo di ingegnere civile affidate al R., le quali ineriscono alla normale attività svolta dall’A.R.T.A. Abruzzo.

Ha, così, ritenuto che i contratti di collaborazione fossero stati stipulati in violazione delle norme sopra richiamate le quali contemplano la possibilità del ricorso a tipologie di lavoro flessibile solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da un ampio grado di autonomia di svolgimento e solo per l’ipotesi in cui la stessa amministrazione non sia in grado di farvi fronte con le risorse professionali interne. Ha sottolineato che le leggi regionali sono state invocate invano dall’appellante, in quanto, trattandosi di fonte subordinata rispetto a quella statale, le stesse non possono aver mutato il quadro normativo quanto ai presupposti di validità dei contratti flessibili, ma si sono limitate a regolamentare aspetti quali il vincolo numerico assegnato alle assunzioni a tempo indeterminato e ad autorizzare la proroga dei contratti di collaborazione fino all’espletamento delle procedure concorsuali per farvi fronte.

Quanto alla posizione del R. ha ritenuto, inoltre, provati i principali indici sintomatici dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, consistenti sostanzialmente nello stabile inserimento dello stesso nell’organizzazione dell’Agenzia con relativa soggezione al vincolo di subordinazione gerarchica del datore, nella sua adibizione allo svolgimento di mansioni rientranti nei compiti istituzionali dell’A.R.T.A. Abruzzo e nelle modalità di svolgimento della prestazione.

Ha fatto discendere il diritto del lavoratore al pagamento delle differenze retributive, nella misura desumibile dai conteggi prodotti, non oggetto di specifica contestazione, dall’art. 2126 c.c., applicabile anche alle pubbliche amministrazioni e, comunque, dall’art. 2041 c.c., riscontrando, nell’utilizzazione delle energie lavorative, un implicito riconoscimento dell’utilità della prestazione.

La cassazione della sentenza è domandata dall’A.R.T.A. Abruzzo sulla base di cinque censure, alle quali resiste R.F. con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente Agenzia deduce “Nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione alla mancata pronuncia sulla richiesta di acquisizione di un documento decisivo ai fini della controversia in relazione alla violazione del diritto di difesa”. La difesa dell’ARTA aveva chiesto al Giudice dell’Appello l’acquisizione del Curriculum Vitae del R., a conferma che la prestazione nei confronti dell’A.R.T.A. era priva di quel requisito d’esclusività e d’indispensabilità dalla cui esistenza il Giudice di prime cure aveva fatto discendere un sicuro elemento di conferma del vincolo di subordinazione. Omettendo di disporre l’acquisizione del documento in violazione del proprio diritto di difesa, secondo parte ricorrente, la Corte territoriale avrebbe mancato di svolgere una corretta e completa analisi in merito alla sussistenza dei presupposti di legge utili a fare luce sulla reale consistenza della prestazione svolta dall’odierno controricorrente.

Nella seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, dell’art. 2222 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6 e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6 inerente alla possibilità di stipulare contratti flessibili di lavoro. Omesso esame di un fatto decisivo”. Riprendendo la propria tesi difensiva circa l’insussistenza degli indici sintomatici della subordinazione, con particolare riferimento al mancato raggiungimento della prova dell’esclusività del rapporto di lavoro intercorso tra l’Agenzia e il R., parte ricorrente sostiene che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 precluderebbe l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.. Essendo, perciò, pienamente validi i contratti flessibili succedutisi, erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto la natura subordinata del rapporto di lavoro oggetto del giudizio. Con lo stesso motivo di ricorso l’A.R.T.A. chiede l’annullamento della sentenza gravata per omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

La terza censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta “Violazione, falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e specificatamente dell’obbligo di rispettare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento all’applicazione dell’art. 2126”. Rileva che con il ricorso di primo grado l’odierno controricorrente aveva domandato l’accertamento dell’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal 2003 fino alla stabilizzazione avvenuta nel 2010, con riconoscimento ex tunc dell’inquadramento nella categoria DS Collaboratore tecnico professionale Esperto di cui all’allegato 1, del CCNL per i dipendenti del Comparto Sanità del 7 aprile 1999, ma non aveva mai avanzato – neppure in via subordinata pretese risarcitorie con riferimento al riconoscimento di un rapporto “di fatto”, ai sensi dell’art. 2126 c.c., sicchè nessuna pronuncia poteva essere resa al riguardo.

Con la quarta censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, alla sentenza impugnata viene addebitata “Violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione degli artt. 2041, 2126, 2697 c.c., artt. 36 e 97 Cost. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35. Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo del giudizio”. S’insiste sull’argomento, prospettato nella seconda censura, di una preclusione all’applicabilità dell’art. 2126 c.c. in presenza del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36. Tale norma, di carattere speciale, è stata dettata al fine di “responsabilizzare” la dirigenza pubblica dall’abuso nell’utilizzo di forme d’impiego flessibile, con la conseguenza non solo della impossibilità di conversione dei relativi contratti in impiego a tempo indeterminato, ma altresì della condanna al risarcimento del danno che risultasse provato da parte del lavoratore illegittimamente utilizzato.

Tale peculiarità del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, a parere del ricorrente, inibirebbe l’operatività dell’art. 2126 c.c. nel caso in esame, in cui i contratti di collaborazione succedutisi, fino alla avvenuta stabilizzazione del rapporto, sono stati stipulati e sottoscritti dalle parti nella piena consapevolezza, non solo quanto alla forma giuridica adottata, ma anche quanto al valore della prestazione pattuita.

Il motivo di ricorso evidenzia, al riguardo, che la prestazione, resa da soggetti non assunti all’esito di una procedura di reclutamento, non sarebbe equiparabile a quella dei vincitori di concorso e, pertanto, il collaboratore, anche se ritenuto “di fatto” subordinato, non potrebbe pretendere la stessa posizione economica riconosciuta ai dipendenti pubblici (nella specie dal CCNL per i dipendenti del Comparto Sanità).

Con lo stesso motivo di ricorso l’A.R.T.A. chiede l’annullamento della sentenza gravata per omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

La quinta e ultima censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 166 c.p.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, L.R. Abruzzo 16 dicembre 2005, n. 41, art. 1,L.R. Abruzzo 9 agosto 2006, n. 27, art. 2, comma 1. Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giuidizio.” Lamenta la mancata pronuncia, da parte della Corte territoriale, in merito alla prospettata compatibilità delle forme contrattuali flessibili con il piano organizzativo dell’Agenzia previsto dalla legislazione regionale e la conformità di quest’ultima al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6. Riassume i passaggi principali della genesi dell’A.R.T.A Abruzzo, organo tecnico della Regione, e del suo funzionamento, ritenendo che solo la conoscenza del quadro normativo complessivo di riferimento possa determinare la corretta comprensione della vicenda oggetto della controversia. Il ricorrente premette che I’ARTA è stata istituita con L.R. n. 64 del 1998. Espone che l’Agenzia ha fatto ricorso a forme di lavoro flessibile in ragione dell’organizzazione all’epoca della medesima, atteso che dal 2001 al 2005 veniva sottoposta a regime di commissariamento.

Dopo aver ricordato l’articolazione dell’organico dell’ARTA, espone che per rispondere alle richieste provenienti dalla Regione dagli enti territoriali e dai soggetti economici, l’ARTA che non aveva nel suo organico personale specializzato in relazione alle sue funzioni, e non potendo procedere all’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato, era stata costretta a reperire figure professionali con le forme di contratti flessibili consentiti dalla legge.

Solo con la L.R. n. 41 del 2005 l’ARTA era stata autorizzata ad assumere a tempo determinato, mediante concorso n. 150 unità a parziale copertura dei posti, prevedendosi altresì, la proroga dei contratti di lavoro a termine subordinato e parasubordinato, per il tempo massimo consentito dalla normativa vigente. Non era dunque corretto, ratione temporis, il riferimento in sentenza a obiettivi e progetti specifici e determinati, tenuto conto che la L.R. n. 27 del 2006, art. 2, comma 1, aveva autorizzato l’ARTA a prorogare i co.co.co. nelle forme e con i contenuti già stabiliti fino all’espletamento delle procedure concorsuali e alla stipula dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. I contratti in questione, come si rilevava dalle relative clausole, erano conformi alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, sì come vigente ratione temporis, considerato anche che l’ARTA non poteva procedere all’assunzione di personale a tempo indeterminato in via autonoma e discrezionale.

Inoltre spettava al lavoratore dare la prova della subordinazione, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

Da tale indispensabile approfondimento emergerebbe, secondo parte ricorrente, un quadro di rapporti convenzionali, d’impegni assunti volontariamente, giustificati, sul versante datoriale, dalla necessità di fronteggiare le indifferibili esigenze connesse all’assolvimento dei compiti affidati e per garantire la piena operatività gestionale all’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente (L.R. 16 dicembre 2005, n. 41, modif. dalla L.R. 9 agosto 2006, n. 27 recante “Provvedimenti urgenti per garantire la funzionalità dell’ARTA Abruzzo”). Con lo stesso motivo di ricorso l’A.R.T.A. chiede l’annullamento della sentenza gravata per omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

Va preliminarmente rilevato che altre cause aventi il medesimo oggetto e vertenti sulle stesse questioni sono state esaminate da questo Collegio nell’Adunanza Camerale del 13 dicembre 2017 e decise in senso sfavorevole all’ARTA Abruzzo (cfr. Ord. nn. 9592, 9591, 7491, 7335, 7334, 7117, 7115, 7114, 7113 del 2018).

Venendo ora ai motivi prospettati in ricorso, il primo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Parte ricorrente non allega nè indica dove, nel giudizio di merito, ha richiesto l’acquisizione del Curriculum Vitae del R..

Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena d’inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (Cfr. da ultimo Cass. n.14107 del 2017).

La censura non regge nemmeno sotto il profilo della violazione del potere istruttorio d’ufficio da parte del Giudice del merito nella mancata acquisizione del Curriculum del R., atteso che, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “Nel rito del lavoro, l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente s’introdurrebbe per la prima volta, in sede di legittimità, un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito.”(Cass. n.25374 del 2017).

Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

E’ inammissibile nel punto in cui s’incentra sulle pattuizioni negoziali intercorse tra le parti con i contratti in questione, in quanto, nel censurare i suddetti documenti, la difesa di parte ricorrente non li allega, nè indica dove, nel corso del giudizio, essi siano stati prodotti, in violazione dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Omette, infatti, di indicare la specifica sede processuale in cui i documenti, contenenti le dichiarazioni negoziali, sono stati prodotti, di indicarne il contenuto, trascrivendo in particolare le causali (il ricorrente si limita ad affermare che nei contratti erano indicate in modo puntuale e chiaro le ragioni relative alla temporaneità e alle sopravvenute esigenze di nuovo personale; che nel contratto di collaborazione erano adeguatamente specificati i programmi su cui il lavoratore avrebbe operato), limitandosi a dare degli stessi la propria qualificazione (ancora Cass. n. 14107 del 2017 cit.).

Per il resto, il motivo risulta infondato in quanto “la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità”. (Cass. n.14434 del 2015).

La Corte territoriale in proposito ha accertato l’assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7 per il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ed ha evidenziato lo svolgimento della prestazione lavorativa secondo lo schema tipico della subordinazione, valorizzandone alcuni degli indici costitutivi, quali lo stabile inserimento nell’organizzazione dell’ente pubblico e l’adibizione a mansioni rientranti nei compiti istituzionali dell’Agenzia.

Tale giudizio di merito, compiutamente espresso nella sentenza gravata, è insindacabile dinanzi a questa Corte, nè residua spazio alcuno per il denunciato vizio di motivazione, atteso che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal Giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. Un. n.8053 del 2014).

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Pur riferendosi alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la censura denuncia nella sostanza un error in procedendo. Tuttavia, in tal caso, l’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti da parte del Giudice di legittimità è condizionato dalla valida proposizione di una siffatta censura, che onera la parte a indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e a trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo altresì all’allegazione degli stessi, o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (cfr. Cass. n.30708 del 2017; n.15367 del 2014; Sez. Un. n.8077 del 2012; n.23420 del 2011).

A detti oneri non ha assolto l’ARTA Abruzzo nella fattispecie in esame, limitandosi ad affermare nel ricorso di aver offerto “…una ben precisa qualificazione del rapporto di lavoro con altrettante specifiche richieste” (p. 16 ric.) e di non aver minimamente formulato una domanda subordinata rispetto alla principale di applicazione dell’art. 2126 c.c.. Tali affermazioni, in base al principio richiamato, non forniscono indicazioni finalizzate al pronto reperimento dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado contenenti le conclusioni di parte ricorrente, che consentirebbe a questa Corte la verifica della qualificazione dell’azione proposta nel senso da questa prospettato.

Il quarto motivo è infondato.

Va richiamata la giurisprudenza consolidata di questa Corte la quale afferma che “la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori del presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti dell’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale” (Cass. n.9591 del 2018, nonchè Cass. n.3384 del 2017).

Con le richiamate pronunzie si è evidenziato che l’art. 2126 c.c. ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, salvo il caso in cui l’attività svolta risulti illecita perchè in contrasto con norme imperative attinenti all’ordine pubblico o poste a tutela di diritti fondamentali della persona.

Si è precisato anche che il trattamento retributivo e previdenziale spettante al lavoratore, è quello proprio “di un rapporto di impiego pubblico regolare” (in motivazione Cass. n. 12749 del 2008) e, quindi, quello previsto D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2 dal contratto collettivo di comparto.

Questa Corte ha affermato altresì, con la sentenza n.3384 del 2017, che la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un’amministrazione pubblica, al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti di cui all’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

La Corte territoriale ha ricordato come in ragione della disciplina vigente la Pubblica amministrazione può ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da un’elevata autonomia nel loro svolgimento, tali da caratterizzarle come prestazioni di lavoro autonomo, e nell’ipotesi in cui l’Amministrazione non sia in grado di far fronte a una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.

Nel caso di specie il Giudice dell’Appello ha rilevato che l’ARTA si era avvalsa delle prestazioni del lavoratore mediante sottoscrizione di contratti di collaborazione coordinata e continuata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge, venendo l’attuale controricorrente inserito nella struttura organizzativa della pubblica amministrazione, con conseguente applicazione dell’art. 2126 c.c..

Infine, anche la quinta ed ultima censura è infondata.

Occorre premettere che la Corte d’Appello ha ravvisato nel succedersi di più contratti di collaborazione coordinata e continuativa per un periodo di sei anni, con un inserimento nella struttura organizzativa dell’Amministrazione, svolgendo un’attività lavorativa con modalità e istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato, la premessa logico-giuridica per l’applicazione dell’art. 2126 c.c. Correttamente la Corte d’Appello richiama i profili rilevanti della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, (ravvisabili sia nel testo originario che in quello successivo alle modifiche di cui alla L. n. 244 del 2007), ponendo in evidenza la necessità: della sussistenza di esigenze cui non si può far fronte con il personale in servizio, della natura di rapporto di lavoro autonomo della collaborazione, della provata esperienza dei lavoratori. In ragione della sussistenza degli indici della subordinazione, la Corte ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2126 c.c..

Va, altresì, rilevato che ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante. Sebbene, quindi, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, dettato per l’espletamento di esigenze cui non è possibile far fronte con il personale in servizio, come assume nella specie il ricorrente richiamando la legislazione regionale relativa alla costituzione e all’organizzazione dell’ARTA,, la Pubblica Amministrazione instaurare, mediante contratto, rapporti di lavoro autonomo, come tali retti dal diritto privato, l’avvenuto accertamento in concreto, in sede giudiziale, della sussistenza di una fattispecie di lavoro subordinato, benchè non dia luogo alla instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, fa ricondurre il rapporto nell’alveo dell’art. 2126 c.c. (cfr. in particolare sul punto Cass. n. 9591 del 2018).

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Stante l’infondatezza del ricorso, sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il raddoppio del contributo unificato nei confronti della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, nei confronti del controricorrente, di Euro 200 per esborsi, Euro 3.000 per compensi professionali, oltre alle spese generali nella misura del 15 per cento e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n.115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella udienza pubblica, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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