Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31648 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. I, 04/12/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 04/12/2019), n.31648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22988/2015 proposto da:

Kira Srl in Liquidazione, in persona del liquidatore e legale

rappresentante pro tempore P.V., P.V.,

elettivamente domiciliati in Roma Via Cosseria 2, presso lo studio

dell’avvocato Placidi Alfredo, rappresentati e difesi dagli avvocati

Braga Umberto, Barberio Roberto, giusta procura a margine del

ricorso; avvocato B.U., difensore in proprio, elettivamente

domiciliato in V. Cosseria 2, presso lo studio dell’avvocato Alfredo

Placidi, rappresentato e difeso da sè medesimo e dall’avvocato

Roberto Barberio, giusta procura a margine del ricorso; avvocato

Ba.Ro., difensore in proprio rappresentato da sè medesimo;

– ricorrenti –

contro

Italfondiario s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro-tempore, nella sua qualità di procuratore di Intesa Sanpaolo

s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Villini n. 15,

presso lo studio dell’avvocato Caprino Gaetano, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso.

contro

Penelope Spv s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Valadier n. 39,

presso lo studio dell’avvocato Caprino Gaetano, designato dalla

C. & Lawyers s.t.a., che la rappresenta e difende, giusta

procura in calce all’atto di intervento;

– intervenuto –

avverso la sentenza n. 884/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 da Dott. VALITUTTI ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 9 luglio 2009, la Kira s.r.l., quale debitrice principale, P.V., B.U. e Ba.Vi., quali soci fideiussori, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 16510/2009, emesso dal Tribunale di Milano a favore della Italfondiario s.p.a., per la somma di Euro 1.377.227,55, quale residuo credito per la restituzione del finanziamento erogato dalla banca, con contratto del 26 novembre 1997. Con sentenza n. 19493/2013, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione, condannando gli opponenti al pagamento delle spese del giudizio.

2. Con sentenza n. 884/2015, depositata il 24 febbraio 2015, la Corte d’appello di Milano respingeva il gravame proposto dalla debitrice principale e dai fideiussori, avverso la decisione di primo grado. Il giudice di appello riteneva comprovato il credito della banca mediante l’estratto conto certificato conforme ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 reputava del tutto generica e non provata la domanda concernente il preteso tasso usurario applicato dall’istituto di credito al finanziamento erogato, riteneva – sulla base dell’art. 6 del contratto di finanziamento e della lettera E del capitolato – che i fideiussori fossero obbligati alla restituzione del dovuto con vincolo solidale ed indivisibile, e che tutti rispondessero per l’intero ammontare del debito garantito, anche se l’obbligazione di alcuno di essi si fosse estinta per qualsiasi causa.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno, quindi, proposto ricorso la Kira s.r.l., P.V., B.U. e Ba.Vi., affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. La Italfondiario s.p.a., nella qualità di procuratore di Intesa Sanpaolo s.p.a., ha resistito con controricorso.

4. Con atto del 31 maggio 2019, è intervenuta in giudizio la Penelope Spv s.r.l., quale cessionaria del credito vantato da Intesa Sanpaolo nei confronti della Kira s.r.l. e dei fideiussori P.V., B.U. e Ba.Vi..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, deve dichiararsi inammissibile l’intervento nel presente giudizio della Penelope Spv s.r.l., successore a titolo particolare nel diritto controverso, quale cessionaria del credito vantato da Intesa Sanpaolo nei confronti della Kira s.r.l. e dei fideiussori P.V., B.U. e Ba.Vi..

Il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c. può, invero, intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso, soltanto quando non sia costituito il dante causa, giacchè in siffatta ipotesi verrebbe a determinarsi un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa (Cass., 07/06/2016, n. 11638; Cass., 06/10/2017, n. 23439). Nel caso concreto, per contro, la Italfondiario s.p.a. è regolarmente costituita nel presente giudizio di legittimità, per cui l’intervento operato dalla Penelope Spv è inammissibile.

2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, la Kira s.r.l., P.V., B.U. e Ba.Vi. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2709 c.c. e art. 634 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Gli istanti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto comprovato il credito della Italfondiario s.p.a., per la sorte capitale e per gli interessi domandati con il ricorso per decreto ingiuntivo, sebbene la banca avesse posto a fondamento di tale domanda solo l’estratto conto, certificato conforme ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 la cui valenza probatoria era stata contestata dai debitori già con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Va osservato, infatti, che la norma di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio, mentre, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicchè spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. E tuttavia, la perdita dell’efficacia probatoria dell’estratto conto, certificato conforme da un dirigente della banca, nel successivo procedimento di opposizione, si verifica esclusivamente nel caso in cui l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali, quale la inutilizzabilità dell’estratto conto certificato, ma anche sostanziali, quali la contestazione specifica dell’importo a debito, risultante dall’applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati. In caso contrario, l’estratto conto conserva la sua efficacia probatoria (Cass., 06/06/2018, n. 14640; Cass., 03/05/2011, n. 9695).

1.2.2. Nel caso di specie, l’impugnata sentenza ha ritenuto che il credito della Italfondiario fosse comprovato – in relazione alla sorte capitale ed ai relativi interessi – dall’estratto conto certificato conforme ex art. 50 cit., le cui risultanze avevano costituito oggetto, da parte dei debitori, di contestazioni, oltre che tardive, “generiche e del tutto indimostrate”. Senonchè, va per contro – rilevato, non solo che la contestazione dell’estratto conto menzionato era stata tempestivamente proposta già con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, come si evince dalla parziale trascrizione di tale atto nel ricorso, ma altresì che le contestazioni degli opponenti, men che essere limitate al solo profilo formale inerente alla valenza probatoria di detto documento, si erano, altresì, incentrate sui profili sostanziali concernenti il credito ingiunto, essendo stata contestata – come si desume dalla stessa sentenza impugnata – la spettanza di interessi anatocistici ed a tasso ultralegale.

1.3. Per tali ragioni, il mezzo deve essere, pertanto, accolto.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, la Kira s.r.l., P.V., B.U. e Ba.Vi. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., art. 1815 c.c., comma 2 e art. 1421 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

2.1 I ricorrenti si dolgono anzitutto del fatto che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sui motivo di gravame concernente l’illegittima applicazione, nel rapporto di finanziamento per cui è causa, degli interessi anatocistici previsti dalla clausola B del capitolato allegato al contratto di finanziamento del 26 novembre 1997. Gli istanti censurano, poi, l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che fosse infondato il motivo di doglianza inerente la pretesa applicazione, da parte di Italfondiario, di tassi usurari, ciò in quanto l’allegazione di tale usurarietà dei tassi sarebbe stata effettuata in modo del tutto generico, sì da non consentire neppure il rilievo ufficioso da parte del giudice di appello, non essendo la domanda “fondata su elementi già acquisiti al giudizio (…) stante la mancata allegazione e prova da parte dell’appellante delle condizioni con le quali sarebbe stato pattuito dalle parti il superamento del tasso di soglia previsto dalla legge”. Lamentano, infine, i ricorrenti che il giudice di appello abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda di ammissione della c.t.u., peraltro richiesta fin dal primo grado del giudizio, sebbene si trattasse di un accertamento indispensabile ai fini della verifica dell’illegittimità degli interessi applicati in forza della suddetta clausola.

2.2. Le censure sono fondate, nei limiti che si passa ad esporre.

2.2.1. Va osservato, ai riguardo, che la nullità della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l’assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) del profilo di invalidità ad opera dell’interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l’esercizio del potere di rilievo officioso della nullità de contratto (art. 1421 c.c.) (Cass., 13/10/2005, n. 19882; Cass., 19/05/2005, n. 10599; Cass., 01/03/2007, n. 4853; Cass., 22/03/2011, n. 6518).

Del pari, la nullità delle clausole che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche d’ufficio, non integrando gli estremi di un’eccezione in senso stretto, bensì di una mera difesa, che può essere proposta anche in appello, e perfino formulata in comparsa conclusionale, sempre che sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio (Cass., 28/10/2005, n. 21080; Cass., 09/01/2013, n. 350; Cass., 30/10/2013, n 24483; Cass. 17/08/2016, n. 17150).

2.2.2. Deve, pertanto, ritenersi erroneo l’assunto della Corte territoriale, laddove – a fronte della deduzione della pattuizione ed applicazione di interessi anatocistici (rilevabile dal motivo di appello trascritto nel ricorso) ed usurari, operata dagli appellanti, e fondata sullo stesso contratto di finanziamento stipulato con Italfondiario – ha ritenuto di non poterne rilevare d’ufficio la nullità, per la genericità della contestazione e per la mancanza agli atti delle condizioni alle quali sarebbero stati pattuiti dalle parti interessi superiori al tasso soglia previsto dalla legge. Per contro, rilievo d’ufficio circa la nullità, o meno, delle clausole in questione, ben poteva essere effettuato dalla Corte di merito sulla base dello stesso contratto di finanziamento. In tale prospettiva, questa Corte ha, altresì, precisato al riguardo – muovendo dal succitato principio secondo cui la nullità delle clausole contrattuali che prevedono la corresponsione degli interessi anatocistici o di interessi usurari è rilevabile dal giudice d’ufficio – che, quand’anche le relative eccezioni siano proposte in modo generico, il giudice di appello non può rifiutarsi di esaminarle, ma deve valutarne la fondatezza o infondatezza nel merito (Cass., 05/10/2017, n. 23278).

2.2.3. Deve essere ritenuta, invece, infondata la denuncia di omessa pronuncia, dedotta dai ricorrenti con riferimento alla mancata ammissione della chiesta c.t.u. Va, difatti, osservato – al riguardo – che il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360, n. 4 cit. codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, ovverosia con riferimento all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in merito ai diritto sostanziale dedotto in giudizio, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo – non dedotto nel caso di specie – dei vizio di motivazione (Cass., 18/03/2013, n. 6715; Cass., 05/07/2016, n. 13716; Cass., 02/03/2016, n. 4120; Cass., 20/10/2017, n, 24830).

2.3. Nei limiti suesposti, le censure devono, pertanto, essere accolte.

3. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1370 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Gli esponenti lamentano che la Corte d’appello non abbia accertato l’illegittimità del decreto ingiuntivo opposto, quanto al pagamento richiesto ai fideiussori, dal momento che l’art. 6 del contratto di finanziamento prevedeva un limite alle garanzie rilasciate dai singoli fideiussori, commisurato alla partecipazione dei medesimi alla società Kira s.r.l., debitrice principale.

3.2. Il mezzo è fondato.

3.2.1. Va rilevato che l’art. 6 del contratto di finanziamento riprodotto nella parte essenziale dai ricorrenti – stabilisce che “i garanti P.V., B.U., M.G. e Ba.Ro. (..) in proporzione delle loro quote di partecipazione ne capitale sociale dell’impresa rispettivamente del 45%, del 25%, del 10% e del 20%, prestano a favore dell’Istituto fideiussione a garanzia di ogni credito dell’Istituto, compresi interessi di mora, oneri e commissioni, anche in caso di ammissione dell’impresa a un procedimento concorsuale, Le garanzie sono regolate da quanto previsto alla lettera E) del capitolato”. La citata lettera e), al n. 5, prevede che “i garanti rispondono per l’intero ammontare del debito garantito anche se l’obbligazione di alcuno di essi sia estinta o abbia subito modificazioni per qualsiasi causa, anche per remissione o per transazione”.

Orbene, la Corte d’appello ha ritenuto che, dal combinato disposto dell’art. 6 del contratto di finanziamento e della lettera E, n. 5, del capitolato allegato si debba desumere che i fideiussori erano obbligati alla restituzione del dovuto con vincolo solidale ed indivisibile, e che tutti rispondevano per l’intero ammontare del debito garantito, anche se l’obbligazione di alcuno di essi si fosse estinta per qualsiasi causa.

3.2.2. Tale assunto è erroneo e non può essere condiviso.

3.2.2.1. Va, per vero, osservato che, in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quello funzionale, che attribuisce rilievo alla “ragione pratica” del contratto, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale (Cass., 22/11/2016, n. 23701; Cass., 06/07/2018, n. 17718).

3.2.2.2. Nel caso di specie, l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello privilegia esclusivamente il dato testuale letterale, costituito; a) dal rinvio che l’art. 6 del contratto di finanziamento opera al capitolato allegato, predisposto dall’istituto di credito per una serie di contratti simili (“Le garanzie sono regolate da quanto previsto alla lettera E del capitolato”); h) dalla previsione della lettera E suddetta, laddove stabilisce che “i garanti rispondono per l’intero ammontare del debito garantito anche se l’obbligazione di alcuno di essi sia estinta o abbia subito modificazioni per qualsiasi causa”. Siffatta interpretazione, peraltro, negando qualsiasi rilievo alla previsione principale, contenuta nel contratto, secondo cui i garanti prestano fideiussione a favore della banca “in proporzione alle loro quote di partecipazione al capitale sociale” della Kira s.r.l., non è aderente alla “ragione pratica” voluta dalle parti con la stipula dello specifico contratto di finanziamento per cui è causa, ossia quella di adeguare la garanzia a favore dell’istituti di credito alla quota di partecipazione da ciascuno dei garanti detenuta nella predetta società.

Il criterio di interpretazione che impone di tenere conto della comune intenzione delle parti (art. 1362 c.c.), messa in luce dalla finalizzazione dell’atto di volontà al perseguimento di uno scopo pratico comune, avrebbe dovuto, pertanto, indurre la Corte territoriale ad interpretare la clausola richiamata, di cui alla lettera E, n. 5, del capitolato, tenendo conto deila predetta “ragione pratica” perseguita dai contraenti nell’atto principale richiamante, ed attribuire alla locuzione “i garanti rispondono dell’intero ammontare del debito garantito” un significato compatibile con la previsione contrattuale dell’assunzione della garanzia in proporzione della partecipazione al capitale sociale della società garantita. Sotto tale profilo, la denunciata violazione dell’art. 1362 c.c. deve ritenersi, pertanto, sussistente.

3.2.2.3. Nè va tralasciato di rilevare che – integrando il suddetto capitolato una previsione generalizzata predisposta unilateralmente dall’istituto di credito e prevista per una serie indefinita di casi deve ritenersi sussistente, nella specie, anche la denunciata violazione dell’art. 1370 c.c., secondo cui, “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro”. Tale canone interpretativo è stato, invero, totalmente trascurato dalla Corte d’appello, che ha – ben al contrario interpretato le suddette clausole in senso favorevole al predisponente.

3.3. Il motivo in esame va, di conseguenza, accolto.

4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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