Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31646 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. I, 04/12/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 04/12/2019), n.31646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19629/2018 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato a L’Aquila, in via Enrico

De Nicola n. 1/A, presso lo studio dell’Avv. Mauro Ceci, che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

avverso la sentenza n. 487/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2019 da SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame proposto da I.M., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

La Corte distrettuale ha basato la propria decisione di rigetto del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, sub lett. a e b in quanto il racconto è generico e vago e privo di riscontri, inoltre, è risalente nel tempo e il riferimento alla situazione generale non consente d’individualizzare il rischio. In riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c) sulla base delle fonti EASO la Corte d’appello ha accertato che non c’è una situazione generalizzata di violenza indiscriminata, specie con riferimento all’area di provenienza del ricorrente. Sulla richiesta di protezione umanitaria, la Corte territoriale ha rilevato come non siano state allegate specifiche situazioni di vulnerabilità soggettiva, in quanto, la mera instabilità del Paese e la situazione di povertà sono insufficienti per integrare i presupposti della protezione richiesta.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello: (i) sotto un primo profilo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5 deducendo la nullità del provvedimento impugnato e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi nella lingua conosciuta dallo straniero, nonchè per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14 come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 48 e s.m.i., e violazione dell’art. 137 c.p.c., in quanto, la copia del provvedimento della C.T. consegnata all’interessato era stato comunicato in forma libera e informale e priva dell’attestazione di conformità all’originale, nonchè nullità del provvedimento per difetto di sottoscrizione, perchè mancava il codice identificativo della firma digitale, con conseguente inesistenza della sottoscrizione e nullità dell’atto per carenza di sottoscrizione; (ii) sotto un secondo profilo per la mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra del 1951 e per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e per la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., nonchè omessa valutazione della documentazione attestante l’attività lavorativa ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto, erroneamente, la Corte d’Appello aveva ritenuto che dallo stesso racconto del richiedente, risultasse evidente che i fatti narrati non lo avrebbero esposto al rischio di subire un danno grave ai sensi delle norme di cui alla rubrica, ovvero non avevano evidenziato la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e neppure la protezione sussidiaria.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la parte ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa (Cass. ordd. nn. 11271/19, 11295/19, 11871/14) e quali specifiche istanze difensive, a causa dell’omessa traduzione del provvedimento, non si siano potute svolgere.

Mentre, in riferimento al profilo di censura relativo alla mancanza nel provvedimento della Commissione Territoriale dell’attestazione di conformità all’originale e quello sulla mancanza del codice identificativo nella firma digitale apposta sul medesimo documento, deve rilevarsi che nella pronuncia impugnata viene dato atto che l’atto è stato sottoscritto in conformità alla legge, con firma digitale i cui codici sono riportati a margine dell’atto unitamente alla coccarda identificativa degli atti ministeriali. Ne consegue, che la censura prospettata può essere formulata soltanto come vizio revocatorio.

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Da una parte, vi è un giudizio insindacabile di non credibilità soggettiva del richiedente (minaccia di morte da parte dei talebani, perchè il padre si sarebbe rifiutato di concedere la figlia in sposa a uno degli appartenenti al gruppo), da parte della Corte d’Appello, in virtù del quale non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso sulla prospettata situazione persecutoria nel paese d’origine (Cass. ord. n. 16925/18), dall’altra, dal punto di vista oggettivo, la Corte d’Appello ha accertato svolgendo una precisa indagine officiosa corredata della indicazione delle fonti consultate, che fosse da escludere che nella regione di provenienza del ricorrente ci fosse una situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato rientrante nella ipotesi della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) (v. p. 7 della sentenza e cfr. Cass. n. 17075/18). Infine, anche in riferimento alla protezione umanitaria è stato svolto un adeguato esame relativo alle situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, nella specie non ritenute insussistenti.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Il ricorrente non paga il doppio del contributo unificato, in quanto risulta, allo stato, ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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