Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31644 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/12/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 06/12/2018), n.31644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6787-2016 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA S. ANDREA

DELLA VALLE, 3, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MELLARO,

rappresentata e difesa dagli avvocati VERONICA SAITTA, GIUSEPPE

SAITTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DI COSTA S.P.A. già D.C.V. INDUSTRIA DOLCIARIA;

– intimata –

Nonchè da:

DI COSTA S.P.A. già D.C.V. INDUSTRIA DOLCIARIA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARLO DEL GRECO 59, presso lo studio

dell’avvocato DORA LA MOTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE PAGANA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA S. ANDREA

DELLA VALLE, 3, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MELLARO,

rappresentata e difesa dagli avvocati VERONICA SAITTA,, GIUSEPPE

SAITTA, giusta delega in atti;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1322/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/11/2015, R.G.N. 1322/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per inammissibilità e in subordine

rigetto del ricorso principale, rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato ALBERTO DOMINICI per delega verbale Avvocato

GIUSEPPE SAITTA;

UDITO l’Avvocato LUCA SILVAGNI per delega verbale Avvocato GIUSEPPE

PAGANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il giudice di primo grado, pronunziando sul ricorso di M.M., dichiarava la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – licenziamento fondato sulla necessità di soppressione del posto di lavoro correlata all’attività stagionale dell’impresa – intimato con lettera in data 24.5.2003 da D.C.V., titolare della ditta D.C.V. Industria dolciaria (poi divenuta Di Costa s.p.a.) e condannava il convenuto a riassumere la lavoratrice entro tre giorni o, in subordine, a corrisponderle un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla scadenza del termine al soddisfo; condannava il Di Costa al pagamento delle differenze retributive limitatamente al tfr ed all’ultima mensilità non corrisposta, calcolate sulla base del c.c.n.l. aziende artigiane; respingeva la domanda di condanna ad ogni ulteriore differenza ed al risarcimento del danno da “mobbing”.

2. La Corte di appello di Messina, pronunziando sull’appello principale di M.M. e sull’appello incidentale della Di Costa s.p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha rideterminato in Euro 13.935,22 le somme dovute a titolo di differenze retributive, tfr, e ROL, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Ha compensato per metà tra le parti le spese del giudizio, ponendo il residuo a carico della società.

2.1. Il giudice di appello ha confermato la illegittimità del licenziamento in ragione della violazione dell’obbligo di “repechage” in quanto all’esito della riorganizzazione aziendale che aveva determinato la distribuzione, secondo un nuovo assetto, dei compiti da ultimo svolti dalla M. nell’ambito del settore produzione, erano comunque residuate due posizioni compatibili con la professionalità della lavoratrice la quale solo nell’ultimo anno era stata adibita al settore produzione mentre in passato aveva svolto mansioni di segretaria; nel settore amministrativo, infatti, l’attività di lavoro non avendo caratteristiche di stagionalità era necessariamente spalmata sull’intero anno ed in tale settore erano state assunte due lavoratrici a tempo determinato il cui contratto, scaduto nell’imminenza del licenziamento della M., era stato prorogato.

2.2. La Corte territoriale ha escluso i presupposti per la tutela reale evidenziando che la documentazione prodotta dalla parte datrice denunziava un numero di lavoratori subordinati occupati non superiore a quindici unità (sei unità) e che tale circostanza, sostanzialmente ammessa dalla lavoratrice, non poteva trovare elementi contrari nell’indagine di carattere meramente esplorativo da quest’ultima richiesta; ugualmente, ha ritenuto generica la contestazione relativa alla natura dell’azienda ed al contratto collettivo applicabile che ha individuato nel c.c.n.l. imprese artigiane e non in quello relativo alle imprese industriali come, invece, sostenuto dalla M.. Ha quindi osservato che sulla base delle previsioni collettive l’inquadramento spettante alla lavoratrice era quello corrispondente al 5 livello.

2.3. In punto di differenze retributive la sentenza impugnata, escluso il diritto al compenso per lavoro straordinario in mancanza di riferimenti specifici agli orari ed all’entità del lavoro svolto oltre quello normale, ha riconosciuto, sulla base di consulenza tecnica d’ufficio, le voci retributive spettanti previste dal contratto collettivo, comprese quelle relative ai ROL, tenuto conto del percepito risultante dalle buste paga in atti sottoscritte dalla lavoratrice la quale non aveva offerto prova della relativa mancata percezione nè articolato idonee richieste istruttorie a riguardo; gli importi corrisposti in misura superiore al trattamento economico corrispondente al 5^ livello attribuito alla M. sino luglio 2000 non potevano essere richiesti in restituzione dal datore di lavoro nè, tantomeno, portati in detrazione delle differenze retributive successivamente maturate atteso che le retribuzioni desumibili dal contratto collettivo erano indicative dei soli minimi comunque suscettibili di incrementi da parte del datore di lavoro; sulla base di tali considerazioni alla M. spettavano, pertanto, Euro 4.342,40 per differenze retributive, Euro 7.222,86 per tfr e Euro 2.031,18 per ROL, oltre accessori di legge.

2.4. Il giudice di appello ha confermato, infine, il rigetto della domanda di risarcimento del danno da mobbing, ritenuta priva di riscontro probatorio, in considerazione del fatto che nessuno dei testi aveva riferito di circostanze direttamente conosciute ma solo apprese del relato actoris e per riferimenti avuti dalla stessa M..

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.M. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale affidato a quattro motivi al quale ha resistito la lavoratrice con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

1. Con il primo motivo di ricorso principale M.M. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2108 c.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. e all’art. 2697 c.c.. Censura la sentenza impugnata per avere escluso il diritto al compenso per lavoro straordinario con motivazione solo apparente; si duole, sotto ulteriore profilo, della valutazione delle emergenze probatorie da parte del giudice di appello lamentando il mancato ricorso al ragionamento presuntivo ai fini dell’accertamento di prestazioni di lavoro oltre l’orario ordinario.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e “comunque nuova violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2697 c.c.”. Premesso di avere in prime cure formulato richiesta di pagamento delle differenze retributive anche per il periodo nel quale aveva lavorato “in nero” e di avere, in assenza di trattazione della questione da parte del primo giudice, formulato con l’atto di appello specifico motivo di gravame a riguardo, censura la sentenza impugnata per omessa pronunzia su tale motivo.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. anche in relazione all’art. 52 del c.c.n.l. di settore del 23.11.1998, censurando il mancato riconoscimento del diritto all’indennità di preavviso che assume attribuito dal consulente tecnico d’ufficio nella misura di Euro 1.072,72 sulla base del contratto collettivo di settore.

4. Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 429 c.p.c.. Premesso di avere, con il secondo motivo del ricorso in appello, denunziato l’errore di diritto nel quale era incorso il Tribunale il quale, dopo avere determinato l’indennità risarcitoria spettante alla M. nella misura di sei mensilità, aveva liquidato interessi legali e la rivalutazione monetaria a decorrere dalla scadenza del termine di tre giorni concessi per la riassunzione fino al soddisfo e non dalla data dell’illegittimo licenziamento, censura la sentenza impugnata per avere omesso di pronunziare su tale questione.

5. Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere regolato le spese di lite del giudizio di merito in violazione del criterio della soccombenza.

Ricorso incidentale.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale D.C. s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1241,1243,1246 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto non suscettibili di restituzione o di compensazione (impropria) le somme erogate dalla società in misura superiore ai minimi contrattuali, somme che aveva chiesto fossero portate in detrazione di quelle maggiori dovute alla M.. Sostiene, in particolare, che versandosi in ipotesi di indebito oggettivo si richiedeva a tal fine solo la prova dell’avvenuto pagamento e della inesistenza di una legittima causa solvendi.

7. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 e dell’art. 41 Cost.censurando la sentenza impugnata per avere affermato la illegittimità del licenziamento. Premesso che le mansioni della lavoratrice attenevano al settore produzione, che era stagionale, e che la istruttoria espletata aveva accertato la effettiva soppressione del posto di lavoro al quale questa era stata da ultimo addetta, sostiene che vi era prova, ricavabile anche in via presuntiva, dell’impossibilità di utile ricollocazione lavorativa della dipendente atteso che tale impossibilità andava riferita alle attitudini ed alla formazione delle quali la lavoratrice era dotata al momento del licenziamento e non con riguardo a periodi anteriori.

8. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 161 c.p.c.. Censura la sentenza impugnata per avere dichiarato dovuta la somma di Euro 13.953,44 a titolo di differenze retributive e tfr condannando essa Costa s.p.a. a corrispondere il relativo importo in tal modo omettendo di considerare l’importo di Euro 8.7777,40 già versato a tale titolo in ottemperanza all’ordinanza ex art. 423 c.p.c. emessa dal giudice di prime cure.

9. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. censurando d regolamento delle spese di lite, parzialmente compensate e per il residuo poste a carico di essa società laddove la sentenza di primo grado aveva determinato la soccombenza prevalente della lavoratrice.

Esame dei motivi del ricorso principale.

10. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.

10.1. E’ noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 03/11/2016 n. 22232), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 07/04/2017 n. 9105) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. 18/09(2009 n. 20112). Tali carenze, che l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del tutto generiche ed assertive, non sono riscontrabili nella sentenza in esame della quale è agevolmente ricostruibile il percorso argomentativo che ha condotto ad escludere la prova dello svolgimento di prestazioni oltre l’orario di lavoro. La sentenza impugnata ha ritenuto che nessun lavoro straordinario potesse essere riconosciuto in mancanza di riferimenti specifici relativi agli orari ed all’entità del lavoro svolto oltre quello normale. Ha dimostrato, in tal modo, sia pure per implicito, di ritenere generiche le acquisizione probatorie a riguardo. L’affermazione è sufficiente a sorreggere la statuizione di mancato accoglimento della domanda di compenso straordinario ed a giustificarla sul piano logico -giuridico, non essendo a tal fine necessario che il giudice del merito dia conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè che confuti ogni singola argomentazione prospettata dalle parti (Cass. 28/6/2006 n. 14972).

10.2. La deduzione del ricorrente, sorretta dal richiamo (parziale) ad alcune deposizioni testimoniali, secondo la quale la sentenza impugnata non avrebbe correttamente valutato le emergenze istruttorie sul punto è inidonea alla valida censura della decisione risolvendosi nella diretta sollecitazione di un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357; Cass. 23/04/2001 n. 5964).

11. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile non essendo stato articolato con modalità coerenti con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

11.1. Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, richiedendosi, altresì, l’indicazione specifica dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettate. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (04/07/2014, n. 15367; Cass. 14/10/2010, n. 21226; Cass. 19/03/2007, n. 6361).

11.1. Parte ricorrente non ha osservato tali prescrizioni; in particolare non ha dimostrato di avere, in seconde cure, denunziato la omessa pronunzia da parte del giudice di primo grado sulla domanda riferita al periodo asseritamente lavorato in nero. Dallo storico di lite del ricorso per cassazione (v. pag. 17) – che sul punto trova corrispondenza nella sentenza impugnata (v. pag. 4 sentenza) – non è dato evincere la proposizione di una siffatta censura alla decisione di primo grado. La circostanza, anzi, sembra smentita per tabulas dalla stessa parte ricorrente che, nell’evocare i motivi formulati nel ricorso in appello (v. pag.17), con riferimento al settimo motivo l’unico concernente il periodo “in nero”- mostra di dolersi (non della omessa pronunzia su tale profilo ma) della mancata considerazione di tale periodo così dimostrando di contestare l’accertamento in concreto operato dalla sentenza di primo grado.

12. Il terzo motivo di ricorso principale è fondato. Secondo quanto si evince dallo storico di lite del ricorso per cassazione (v. ricorso per cassazione, pag. 16), che sul punto trova corrispondenza nella ricostruzione dei motivi di appello operata dalla sentenza impugnata (v. pag. 3, terz’ultimo rigo), con il quarto motivo di appello la M. aveva censurato la sentenza di primo grado per avere omesso di liquidare, fra gli altri, l’importo dovuto a titolo di indennità di mancato preavviso. La sentenza impugnata ha del tutto omesso di trattare tale questione come confermato dalla circostanza che la somma liquidata in seconde cure è stata imputata esclusivamente alle spettanze per differenze retributive, per tfr e per ROL. La sentenza deve, quindi, essere cassata in parte qua con rinvio ad altro giudice di secondo grado per la decisione in ordine alla spettanza del diritto all’indennità in oggetto.

13. Parimenti fondato è il quarto motivo di ricorso avendo il giudice di appello omesso di pronunziare sulla domanda, ritualmente devolutagli con l’impugnazione della odierna ricorrente, relativa alla decorrenza di interessi legali e rivalutazione monetaria sulla indennità risarcitoria, attribuita ai sensi della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 liquidati dal giudice di prime cure a decorrere dalla scadenza del termine di tre giorni concesso per la riassunzione anzichè, come richiesto, dalla data del licenziamento.

14. L’esame del quinto motivo di ricorso che investe il regolamento delle spese è assorbito dall’accoglimento con rinvio del terzo e del quarto motivo del ricorso principale.

Ricorso incidentale.

15. Il primo motivo di ricorso principale non è sorretto, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dalla esposizione del fatto processuale idonea a dare contezza delle allegazioni in fatto e delle deduzioni in diritto formulate dalle parti nel corso del giudizio di merito con riferimento alle somme versate in misura superiore ai minimi contrattuali ed al relativo titolo di imputazione. Neppure sono riprodotti i pertinenti brani della consulenza tecnica di ufficio richiamati a sostegno delle censure articolate. Dalla sentenza impugnata si evince che il giudice di appello ha fondato la propria decisione sul presupposto che la erogazione di un trattamento retributivo superiore ali minimi tabellari non fosse ripetibile nè compensabile, in quanto espressione della volontà di derogare in meglio (ai sensi dell’art. 2077 c.c., comma 2), tacitamente manifestata dal datore ed accettata dal lavoratore. Tale affermazione è coerente con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale in ipotesi di trattamento di miglior favore incombe sul datore di lavoro la dimostrazione che esso sia frutto di errore non imputabile, riconoscibile anche dallo stesso lavoratore (Cass. 16/1/2007 n.818; Cass. 22/9/2014 n. 19923), circostanze queste che la ricorrente incidentale neppure deduce di avere allegato.

15.1. Da quanto osservato scaturisce il diritto del lavoratore a trattenere le somme erogategli oltre i minimi contrattuali e la conseguente inconfigurabilità di una posizione creditoria in favore della parte datrice. In questa prospettiva risultano inconferenti le deduzioni in diritto della ricorrente incidentale riferite alle norme in tema di compensazione e di indebito oggettivo e la stessa pretesa, evocata peraltro in termini del tutto generici, di portare in detrazione il trattamento di miglior favore rispetto a somme risultate dovute sulla base di una differente voce retributiva.

16. Il secondo motivo di ricorso incidentale è infondato. Premessa la insussistenza di un onere di allegazione a carico del lavoratore licenziato in ordine alla esistenza di posizioni lavorative disponibili per la sua ricollocazione lavorativa (Cass. 24882/2017 cit.; Cass. 05/01/2017 n. 160, in motivazione; Cass. 13/06/2016 n. 12101; Cass. 22/03/2016 n. 5592) si rileva che le ulteriori censure articolate dalla odierna ricorrente incidentale si risolvono nella richiesta di una diversa ricostruzione di fatto con riferimento ai presupposti giustificativi dell’obbligo di “repechage”, richiesta inammissibile in quanto non veicolata con la deduzione di “omesso esame” di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in conformità del mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis (Cass. Sez. Un. 07/04/2014n. 8053).

17. Il terzo motivo di ricorso incidentale è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto la carente esposizione della vicenda processuale con riguardo alle differenze dovute sul tfr non consente alcuna verifica, sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione, dell’errore ascritto al giudice di appello. Parte ricorrente, omette, in particolare, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di riprodurre i pertinenti brani della consulenza tecnica d’ufficio disposta in secondo grado, consulenza che è alla base della rideterminazione del quantum liquidato in favore della M., brani dai quali avrebbe potuto evincersi che i conteggi formulati non tenevano conto degli importi già liquidati alla lavoratrice sulla base dell’ordinanza ex art. 423 c.p.c..

18. L’esame del quarto motivo di ricorso incidentale concernente il regolamento delle spese di lite è assorbito dall’accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso principale.

19. In base alle considerazioni che precedono devono, quindi, essere respinti il ricorso incidentale e il primo e il secondo motivo del ricorso principale e accolti il terzo e quarto motivo di ricorso principale con assorbimento del quinto motivo. A tanto consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altro giudice di secondo grado che si indica nella Corte d’appello di Messina in diversa composizione. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

20. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater nei confronti del solo ricorrente incidentale.

PQM

La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso principale, assorbito il quinto; rigetta gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018, all’esito di riconvocazione della camera di consiglio, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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