Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31637 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 04/12/2019), n.31637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6694-2017 proposto da:

DAGAR SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PAISIELLO 26,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO LOCONTE, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

DAGAR SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PAISIELLO 26,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO LOCONTE, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 8600/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 06/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 8600/51/2016, depositata il 6.10.2016, la Commissione Tributaria Regionale della Campania ritenne tempestivamente proposta la istanza per revocazione della sentenza della stessa CTR n. 11153/50/2014, pronunciata in data 23.6.2014 e depositata il 19.12.2014, proposta dalla Srl Dagar con atto spedito in data 3.4.2015, in quanto la notifica della sentenza al difensore era avvenuta in data 4.2.2015, non essendo idonea a determinare l’inizio del decorso del termine breve la notifica eseguita il 22.1.2015 presso la sede della società a mani del portiere dello stabile, ma la dichiarò inammissibile per insussistenza del dedotto errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

La ricorrente aveva dedotto che l’errore doveva individuarsi nella circostanza che la CTR non aveva preso in esame i documenti prodotti successivamente alla deliberazione della sentenza di appello, ma prima del suo deposito, che avrebbero potuto determinare un diverso esito del giudizio, essendo il giudice obbligato ad esaminare lo ius superveniens prima della immutabilità della sentenza, che avveniva con il deposito, ma la CTR escluse che si fosse trattato di un errore di percezione o di una svista materiale che poteva avere indotto il giudice a supporre l’esistenza (o la inesistenza) di un fatto decisivo, risultante invece in modo incontestabile escluso (o accertato) in base ad atti e documenti di causa e anche che fosse applicabile il regime giuridico dello ius superveniens nello spazio temporale fra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza con conseguente rimessione della causa in istruttoria.

Avverso detta sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la società Dagar, sottoposta a sequestro preventivo a seguito di ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli, in persona del custode ed amministratore giudiziario, con atto notificato in data 7 – 13.3.2017, affidato ad un unico motivo e successiva memoria.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate che ha proposto a sua volta un motivo di ricorso incidentale, notificato in data 18.4.2017, con riguardo alla ritenuta tempestività del ricorso per revocazione. La società Dagar ha depositato controricorso in replica al ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un solo motivo di ricorso la società Dagar lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè la sentenza impugnata, resa nel giudizio per revocazione, non aveva considerato che era stato dedotto un errore percettivo dei giudici di merito consistente nell’omesso esame di una prova documentale – in particolare di una di una informativa di polizia giudiziaria ex art. 357 c.p.c. – attestante un fatto di natura sostanziale, ossia l’originaria conoscenza, da parte della Guardia di Finanza, del reale oggetto e delle effettive finalità della verifica fiscale condotta nei confronti della società, che aveva portato la Commissione Tributaria Regionale a supporre l’inesistenza di un fatto certo (conoscenza da parte della Guardia di Finanza delle reali ragioni della verifica) che sarebbe risultato positivamente appurato se gli atti fossero stati opportunamente vagliati dalla CTR. Infatti la valutazione della informativa prodotta, con cui si attestava che l’oggetto dei controlli avviati nel 2008 riguardava le sole annualità 2003 e seguenti, salvo poi estenderlo anche al 2002, avrebbe dimostrato che i militari della Guardia di Finanza avevano agito in spregio ai principi di trasparenza, correttezza e buona e buona e delle garanzie difensive, poichè, fin dall’inizio, intendevano svolgere controlli relativi all’anno 2002 ed avrebbe fatto emergere come la condotta tenuta dai suddetti militari fosse stata strumentale a rendere possibile nel 2008 una verifica fiscale relativa alla annualità 2002, quando i termini accertativi era scaduti, il che integrava un errore essenziale e decisivo.

2. La Agenzia delle Entrate ha opposto che la pretesa svista, così come denunciata con il ricorso per revocazione, non atteneva alla erronea percezione di un fatto, bensì ad un errore di diritto che sarebbe disceso dalla mancata valutazione dei fatti rappresentati nel documento prodotto dopo la deliberazione della sentenza, risolvendosi in una contestazione concernente l’esistenza o meno dell’obbligo del giudice di tenere conto dei documenti prodotti oltre i termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 58 e 32, dal che derivava la inammissibilità del ricorso, correttamente dichiarata dalla sentenza impugnata. Ha inoltre proposto ricorso incidentale in ordine alla statuizione della sentenza di primo grado riguardante la ritenuta tempestività del ricorso per revocazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 46 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 17, 21 e 51, e dell’art. 145 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove aveva ritenuto che la prima notifica, ricevuta a mani del portiere presso la sede della società – e non invece a mani proprie del legale rappresentante – non fosse idonea a fare decorrere il termine breve per la impugnazione, poichè la giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione aveva ritenuto valida la notifica presso la sede della società a mani di qualsiasi persona addetta all’ufficio o all’azienda, ivi compreso il portiere dello stabile, perchè tenuto alla distribuzione della posta al destinatario.

3. Entrambi i ricorsi sono infondati.

4. Quanto al ricorso principale, è consolidato il principio per cui l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una “svista” materiale e cioè in una falsa percezione su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti di causa, con carattere di assoluta immediatezza e semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto, sicchè non rientrano nella relativa nozione le valutazioni giuridiche sulle risultanze processuali (v., per tutte, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27570 del 30/10/2018 Rv. 651070 – 02). Ne consegue che il vizio con il quale si imputi alla sentenza un’erronea valutazione delle prove raccolte è, di per sè, incompatibile con l’errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio (v. Cass. Sez. L -, Sentenza n. 8828 del 05/04/2017 Rv. 643752 – 01).

5. Nella specie, ad avviso della ricorrente, in base alla prospettazione del ricorso per revocazione, la svista o errore percettivo sarebbe consistito nell’omesso esame di una prova documentale – in particolare di una informativa di polizia giudiziaria ex art. 357 c.p.c. – attestante un fatto di natura sostanziale, ossia l’originaria conoscenza, da parte della Guardia di Finanza, del reale oggetto e delle effettive finalità della verifica fiscale condotta nei confronti della società, che aveva portato la Commissione Tributaria Regionale a supporre l’inesistenza di un fatto certo (conoscenza da parte della Guardia di Finanza delle reali ragioni della verifica) che sarebbe risultato positivamente appurato se gli atti fossero stati opportunamente vagliati dalla CTR ed avrebbe potuto condurre ad una diversa soluzione della controversia. Tuttavia, già in base a tale prospettazione, risulta evidente che nessuna svista o errore percettivo è stato in concreto addebitato alla CTR, mentre la doglianza riguarda la omessa presa in esame di un documento depositato quando la causa era stata già decisa, ma la sentenza non ancora depositata; il che non poteva costituire una svista bensì eventualmente un error in procedendo (come tale, infatti, in concreto, imputato dalla ricorrente alla CTR, come si evince anche dalla lettura dei ricorso per cassazione) per non avere preso in esame il documento depositato nel lasso temporale fra la pronuncia della sentenza ed il suo deposito.

6. In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dal citato D.Lgs., art. 61, alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dallo stesso decreto, art. 32, comma 1, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1. Tale termine, anche in assenza di espressa previsione legislativa, deve ritenersi di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio): con la conseguenza che resta inibito al giudice di appello fondare la propria decisione sul documento tardivamente prodotto anche nel caso di rinvio meramente “interlocutorio” dell’udienza su richiesta del difensore, o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva, essendo la sanatoria a seguito di acquiescenza consentita con riferimento alla forma degli atti processuali e non anche relativamente all’osservanza dei termini perentori, ai sensi dell’art. 153 c.p.c. (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2787 del 08/02/2006 Rv. 589768 – 01; da ultimo v. anche Cassazione, sentenza 13 novembre 2018, n. 29087)

7. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, prevede infatti espressamente: “II giudice d’appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. E’ fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”. Dal tenore di quanto previsto dall’art. 58 si comprende la generale esigenza legislativa di introdurre, nel contenzioso tributario, così come avviene nel processo civile, un giudizio di secondo grado ad istruttoria c.d. “chiusa”. L’art. 58, comma 1, fa espresso divieto di produzione di nuove prove in appello, laddove per nuova prova si deve intendere quella che non è stata dedotta in primo grado, ovvero quella che non è stata ritualmente richiesta dalla parte. L’art. 58, comma 2, invece, consente espressamente alle parti di produrre in appello nuovi documenti, purchè gli stessi abbiano, comunque, attinenza con i motivi espressi in primo grado. Ciò nonostante, la possibilità di produrre documenti incontra un limite, anche in grado di appello, nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, il quale stabilisce che le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione. E tale termine ha natura perentoria, con la conseguenza che la presentazione tardiva di un documento non consente al giudice di fondare la propria decisione sul documento stesso, poichè l’art. 153 c.p.c. prevede che i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti.

8. Laddove la CTR non ha preso in esame i documenti prodotti dopo la deliberazione della sentenza non ha quindi commesso alcuna svista o errore percettivo, bensì ha fatto corretta applicazione di una precisa norma giuridica che vieta al giudice tributario in tutti i casi di esaminare e di porre a base della decisione i documenti tardivamente prodotti nel grado nel merito, non solo con riguardo a quelli prodotti dopo la decisione, ma anche a quelli prodotti dopo la scadenza del termine dei 20 giorni liberi prima della udienza di trattazione o di discussione, sui quali non deve neppure deliberare.

9. Tutte le altre argomentazioni della ricorrente restano assorbite.

10. Quanto al ricorso incidentale, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, in virtù del quale la notificazione della sentenza della commissione tributaria provinciale effettuata a mani proprie della parte, sebbene la stessa fosse costituita a mezzo di un difensore nel giudizio “a quo”, è valida ed idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 51, comma 1, in quanto il medesimo D.Lgs., art. 17, comma 1, fa comunque salva la consegna in mani proprie, a cui, dunque, resta sempre possibile ricorrere attesa la prevalenza delle disposizioni processuali tributarie su quelle processuali civili D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 1, comma 2, operando il richiamo di cui al D.Lgs. n. 546 cit., art. 49, solo ad alcune del codice di rito in tema di impugnazioni in generale (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7059 del 26/03/2014 Rv. 629940 – 01; Conformi: N. 5504 del 2007 Rv. 596928 – 01, N. 10961 del 2009 Rv. 608136 – 01).

11. In applicazione dell’anzidetto principio di prevalenza delle normi speciali del contenzioso tributario su quelle ordinarie processuali del codice di rito, proprio in un caso identico a quello in esame, questa Corte ha escluso l’idoneità a far decorrere il termine breve per l’impugnazione alla notifica di una sentenza eseguita, nei confronti di una società, mediante consegna non al suo legale rappresentante, ma al portiere presso la sede della stessa. L’espressione “mani proprie”, secondo una stretta interpretazione letterale, imposta dalla natura processuale speciale della norma, è da riferire infatti esclusivamente alla parte e, quindi, la consegna in mani proprie della parte rappresenta la modalità di comunicazione e notificazione di atti e provvedimenti alla quale si può sempre ricorrere. Pertanto, la notificazione della sentenza della commissione tributaria provinciale a mani proprie della parte (nella specie il rappresentante legale della società ricorrente), quand’anche nel giudizio “a quo” si sia costituita a mezzo di un difensore, è valida ed idonea a fare decorrere il termine breve di impugnazione previsto dal citato D.Lgs., art. 51, comma 1, mentre ad essa non è equiparabile la notificazione a mani di un terzo, pur se incaricato, considerato che non assolve la funzione di conoscenza certa ed effettiva assicurata dalla consegna a mani proprie che la norma speciale vuole garantire.

12. La giurisprudenza richiamata dalla Agenzia con riguardo alle forme ordinarie di notificazione non è appropriata e non è applicabile nel caso in esame, poichè, pur essendo vero che la più recente elaborazione giurisprudenziale di questa Code è nel senso che, “ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede (art. 145 c.p.c., comma 1), senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria non occasionalmente ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica, con la conseguenza che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere una sua dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno” (v. da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27420 del 20/11/2017 Rv. 646424 – 0), però i suddetti principi non sono pertinenti nel caso in cui, come quello in esame, solo la notificazione alla parte sostanziale a mani proprie è ritenuta equiparabile a quella al domiciliatario, per la particolare finalità di fare decorrere il termine breve della impugnazione nel processo tributario, in considerazione della particolare garanzia che essa offre.

13. Ne consegue la infondatezza anche del ricorso incidentale.

14. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

15. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato relativamente alla ricorrente Srl Dagar, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, essendo stato il ricorso notificato il 7.3.2017, mentre la Agenzia delle Entrate è esonerata, quale Amministrazione statale, dal pagamento del contributo.

PQM

La Corte: rigetta i ricorsi principale ed incidentale; dichiara compensate fra le parti le spese del presente giudizio; dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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