Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31636 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. II, 06/12/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 06/12/2018), n.31636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25068-2014 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE

122, presso lo studio dell’avvocato FABIO MICALI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

R.F., già titolare e legale rappresentante della cessata

ditta individuale COSTRUZIONI EDILPRA’, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato

RAFFAELLO GIOIOSO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LODOVICO FABRIS;

– controricorrente –

e contro

B.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2508/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

C.M. conveniva innanzi al Tribunale di Bassano del Grappa R.F., quale titolare dell’impresa di costruzioni Edilprà, ed il geom. B.S. deducendone la responsabilità, il primo in qualità di appaltatore, il secondo di direttore dei lavori, per l’esistenza di vizi e difformità nell’esecuzione dell’edificio unifamiliare loro commissionato in forza di contratto d’appalto del 5.9.2000.

L’attore lamentava altresì il ritardo nella consegna dell’opera, chiedendo il pagamento della relativa penale e del corrispettivo per il quantitativo di ghiaione estratto dal proprio suolo.

Nel costituirsi in giudizio, i convenuti chiedevano il rigetto delle domande di parte attrice e spiegavano domanda riconvenzionale per il pagamento del loro residuo credito, rispettivamente di 13.513,34 Euro, a titolo di corrispettivo dell’appalto e di 12.888,31 Euro a titolo di compenso per l’attività di direzione dei lavori.

Il Tribunale di Bassano del Grappa con sentenza 1043/2009:

– accertava l’esistenza di vizi, determinando in 2.981,00 la somma necessaria a porvi rimedio;

– riteneva sussistente un ritardo nell’esecuzione delle opere di gg.60, liquidando a tale titolo una penale di 1.549,37 Euro;

– determinava il credito residuo dell’appaltatore in 13.105,86 Euro ed, operata la compensazione tra le reciproche ragioni di debito e di credito, condannava il C. al pagamento di 8.575,00 Euro in favore del R. e di 5.310,48 Euro in favore del geom. B., oltre al pagamento delle spese di lite.

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza 2508/2013, per quanto in questa sede ancora rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva la rivalutazione monetaria sul debito dell’appaltatore e per l’effetto condannava il C. al pagamento della minor somma di 8.275,49, Euro.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, C.M..

Resiste con controricorso R.F., già titolare della ditta Edilprà.

B.S. non ha svolto, nel presente giudizio, attività difensiva. Considerato in diritto.

Il primo, articolato, motivo di ricorso denuncia l’illogicità e carenza della motivazione per travisamento di norme di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 1668 c.c., omessa pronuncia su un fatto decisivo, violazione del principio di corrispondenza tra “chiesto e pronunciato” in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), per avere la Corte territoriale ritenuto che l’attore avrebbe dovuto chiedere l’eliminazione dei vizi e non già esperire azione di riduzione e di risarcimento del danno.

Con il secondo, articolato, motivo di ricorso si denuncia motivazione carente e/o contraddittoria con riferimento al rigetto della domanda risarcitoria ex artt. 1668 c.c., l’omessa pronuncia su un fatto decisivo, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5) per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, ritenendo di rigettarla in quanto formulata per danni ulteriori rispetto a quelli riconosciuti.

I presenti motivi, che vanno unitariamente esaminati in quanto riguardano l’identica questione, sono inammissibili nella parte in cui denunciano il vizio di omessa e contraddittoria motivazione.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. (Cass. 23940/2017).

Vanno invece disattese le censure di violazione di legge sostanziale (art. 1668 c.c.) e processuale (art. 112 c.p.c.).

La Corte territoriale, infatti, premesso che la riscontrata difformità tra l’opera progettata e quella eseguita comporta un inadempimento dell’appaltatore, ha peraltro rilevato che, ove il committente non intenda avvalersi della speciale azione diretta ad eliminare vizi e difformità, egli può esperire, come nel caso di specie, azione risarcitoria in relazione alla quale dovrà, secondo i principi generali fornire la prova del danno.

Orbene la Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di merito, ha escluso che l’odierno ricorrente avesse dimostrato l’esistenza di un concreto pregiudizio derivante dall’aumento di volume-superificie, posto che. come già ritenuto dal giudice di prime cure, in conformità a quanto accertato dal ctu, l’errata perimetrazione risultava ampiamente compensata dall’aumento di superficie e di volume che aveva determinato un incremento di valore dell’immobile.

Del parti inammissibile la censura di violazione del principio di corrispondenza tra “chiesto” e “pronunciato”.

Il giudice di merito ha infatti specificamente preso in esame il mezzo d’impugnazione, escludendo, con motivazione logica, coerente ed adeguata, la sussistenza del pregiudizio lamentato ed ha conseguentemente rigettato la domanda risarcitoria.

Il terzo motivo di ricorso denuncia illogicità e carenza della motivazione per travisamento di norme di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per aver la Corte liquidato il compenso del Direttore dei Lavori, in misura superiore a quanto concordato tra le parti, in assenza di specifica domanda.

Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia, che ha specificamente pronunciato in ordine alla censura sollevatft, come mezzo di impugnazione e qui riproposta dal ricorrente, onde non appare ravvisabile la dedotta violazione di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La Corte territoriale, anche in questo caso in conformità con quanto accertato dal primo giudice, ha preso a base della determinazione del compenso del direttore dei lavori l’accordo tra le parti, in applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 1.

Il giudice di appello ha peraltro liquidato un importo maggiore rispetto a quanto indicato dal consulente di parte dell’odierno ricorrente, sulla base dell’espletata ctu, che ha accertato che le prestazioni poste in essere dal direttore dei lavori riguardavano profili che non erano stati considerati nel preventivo originario e per i quali erano dunque dovute ulteriori voci di compenso.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi 2.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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