Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31636 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 04/12/2019), n.31636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2751-2017 proposto da:

IMI SUD SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PAISIELLO 26,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO LOCONTE, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE CAMPANIA, AGENZIA DELLE

ENTRATE;

– intimati –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

IMI SUD SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8668/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 07/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso in data 27 magio 2013 la Srl IMI SUD, in persona del legale rappresentante pro tempore, impugnò l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo ad IRES, IVA ed IRAP per l’anno di imposta 2007, emesso sulla base delle risultanze di una verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza di (OMISSIS) che si era conclusa con il processo verbale di constatazione del (OMISSIS), il quale, anche sulla base dei rapporti emergenti fra la IMI SUD e le società DAGAR Srl ed IMI SUD LAMINAZIONI, facente parte della stesso gruppo e riconducibili alle stesse persone fisiche, aveva constatato la emissione, da parte della DAGAR Srl, di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti di IMI SUD ed aveva accertato una maggiore IVA per Euro 18.364.552,92 disconoscendo altresì il credito derivante dalla dichiarazione per la pregressa annualità, pari ad Euro 21.911.402, procedendo quindi ai relativi recuperi ai fini IRES ed IRAP della parte del costo direttamente utilizzata per la commissione degli illeciti contestati ed alla applicazione delle conseguenti sanzioni.

La Commissione Tributaria provinciale di Napoli, davanti alla quale la società IMI SUD aveva proposto tredici motivi di ricorso, poi ripresi con l’atto di appello, con sentenza n. 6066/31/2015 (trascritta integralmente da pagina 18 a pagina 31 delle controdeduzioni della Agenzia delle Entrate) rigettò il ricorso, ritenendo, preliminarmente, che non sussistesse la dedotta pregiudizialità rispetto ai giudizi che riguardavano la società DAGAR per l’anno di imposta 2002 e, nel merito, che l’accertamento contestato nel presente giudizio fosse stato legittimamente emesso sulla base degli atti prodotti dalla Agenzia delle Entrate, aventi efficacia probatoria, non contrastata da alcuna prova contraria, che dimostravano come la attività della DAGAR e delle consorelle costituissero un sistema volto a realizzare una frode IVA attraverso lo spostamento del credito IVA che nasceva fittizio e tale restava – poichè nasceva da una mera appostazione contabile, come ammesso dalla stessa società DAGAR in sede di adesione al condono per l’anno 2002 e come statuito dalla CTP con la sentenza 408/2012 che aveva respinto il ricorso della DAGAR contro l’accertamento relativo alla annualità 2002, considerato anche che non vi era alcuna necessità della interposizione della società DAGAR per la attività di acquisto e di deposito all’estero, a maggior ragione in virtù del fatto che la stessa era risultata sprovvista di qualsiasi mezzo per il deposito e la lavorazione di materiali – e che fosse altresì correttamente e compiutamente motivato anche con riguardo al pvc già previamente notificato alla contribuente ed, infine, che fosse pure provato che sia la DAGAR che le consorelle avessero piena coscienza del fatto che l’IVA veniva versata ad un soggetto che non aveva legittimazione alla rivalsa nè era tenuto al pagamento dell’imposta, poichè le movimentazioni finanziarie fra le diverse società erano tutte riconducibili ad un’unica direzione strategica che trovava la sua ragione non nel preteso rispetto di accordi commerciali bensì nella scelta del tipo di strumento che consentiva di monetizzare il credito sospetto senza alcun aggravio per la società venditrice e consistenti vantaggi, invece, per la società acquirente, con conseguente piena legittimità anche delle sanzioni irrogate. Infine, la CTP rilevò che nessuna contestazione era stata mossa dalla ricorrente al recupero ai fini IRES ed IRAP della parte dei costi direttamente utilizzati per la commissione degli illeciti contestati nè alle modalità di calcolo dell’imposta accertata come indeducibile.

Presentò appello la Srl IMI SUD con atto depositato in data 15.7.2015 lamentando: illegittimità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa del contribuente poichè il primo giudice aveva respinto la richiesta di rinvio della discussione all’udienza del 25.11.2014 per legittimo impedimento dell’unico difensore Avv. Loconte, ritenendo erroneamente che la ricorrente avesse due difensori; pregiudizialità e/o continenza giuridica, rispetto al presente giudizio di quello già pendente davanti alla CTR (nel frattempo pendente in Cassazione) relativo alla impugnativa dell’IVA 2002 da parte della società DAGAR e di quello pendente davanti alla Corte di Cassazione relativo alla applicabilità del condono a tale annualità di imposta; omessa indicazione nell’accertamento del periodo di sospensione di 180 giorni prescritto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. b, secondo periodo; la ricorrente aveva dimostrato con le sue produzioni la esistenza delle operazioni sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo; assenza di motivazione dell’accertamento poichè non erano esplicitate le ragioni logico – giuridiche poste a base dello stesso e non era stato allegato nè riprodotto il pvc; violazione delle regole relative all’onere della prova poichè il primo giudice si era basato su circostanze non dimostrate; violazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; violazione del divieto di doppia imposizione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 67, poichè l’Ufficio aveva cercato di recuperare più volte lo stesso credito IVA nei confronti di più soggetti dello stesso gruppo societario; illegittima applicazione delle sanzioni per mancanza dell’elemento soggettivo, perchè la sanzione applicabile ratione temporis, per l’asserita compensazione di un credito IVA inesistente, era quella prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, per i ritardati o omessi versamenti diretti e non quella prevista dal cit. D.Lgs., art. 5, comma 4; violazione D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, e non debenza dell’importo richiesto a titolo di aggio per illegittimità del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 29, e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 8668/2016 del 14.4.2016, depositata il 7.10.2016, ha accolto l’appello limitatamente alla rideterminazione delle sanzioni delle sanzioni per effetto dello ius supervieneins costituito dal D.Lgs. n. 158 del 2015, operativo dal 1.1.2016 e dell’aggio in conseguenza della più favorevole misura di cui al D.Lgs. n. 159 del 2015, art. 9, mentre ha rigettato nel resto l’appello ed ha condannato a IMI SUD Srl alle spese del giudizio.

La Commissione Tributaria Regionale ha escluso in primo luogo la sussistenza di un legittimo impedimento dell’Avv. Loconte a partecipare all’udienza di discussione, fissata per ore 9 del 25.11.2014, in conseguenza di una convocazione davanti al Senato per le ore 19 dello stesso giorno, essendo i due impegni del tutto compatibili a tante ore di distanza e comunque la discussione della causa, pur essendo l’Avv. Loconte l’unico difensore, era stata rinviata già numerose volte e nel contempo la parte aveva esposto ampiamente le proprie ragioni negli scritti difensivi. Ha escluso altresì la sussistenza della continenza o pregiudizialità con riguardo alle due cause relative alla DAGAR Srl per la annualità 2002, sia perchè non era applicabile l’art. 295 c.p.c., in presenza, in entrambi i casi, di due sentenze conformi di merito favorevoli all’Ufficio, sia perchè la creazione del credito fittizio nel 2002 da parte della DAGAR Srl era solo l’antecedente storico di una frode che si era sviluppata negli anni successivi, ma non una questione pregiudiziale e nel contempo il disconoscimento del condono, come ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011, non poteva estendersi ai crediti ma solo ai debiti. Ha quindi rilevato che: l’omessa indicazione del periodo di sospensione dell’esecuzione forzata ai sensi del D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. b, non inficiava la validità dell’accertamento; – l’avviso di accertamento era compiutamente motivato sulla base dei processi verbali di constatazione già regolarmente notificati alla parte, non essendo necessaria la loro allegazione o riproduzione e comunque l’accertamento spiegava dettagliatamente, con motivazione del tutto esaustiva sia in punto di fatto che di diritto, sulla base delle argomentazioni contenute nel processo verbale della Guardia di Finanza del 2008 e nel processo verbale della Agenzia delle Dogane del 2012, relativo all’anno di imposta 2007, nonchè delle ordinanze rese in sede penale, confermate dalla Corte di Cassazione, di sequestro per equivalente, nei confronti dell’amministratore della DAGAR, di rilevanti importi relativi ad IVA indebitamente compensata con credito inesistente, come si fosse sviluppata la frode in danno dell’erario, attraverso operazioni aparentemente regolari, ma con la vera finalità di eludere il Fisco consentendo alle acquirenti FAR SUD ed IMI SUD, appartenenti allo stesso gruppo RAGOSTA, di avanzare richiesta di sgravio per la deducibilità dei costi dei beni fittiziamente acquistati; non vi era stata alcuna violazione del criterio del riparto dell’onere della prova e del divieto di doppia presunzione, alla stregua della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, poichè la Amministrazione Finanziaria aveva provato che la prestazione non era stata resa dal fatturante mentre la società contribuente non aveva fornito alcun elemento per contrastare le prove assunte e dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile ed, al contrario, era stata raggiunta la prova della inesistenza del credito IVA indicato dalla DAGAR per l’anno 2002 attraverso la dichiarazione resa dalla DAGAR in sede di condono tombale; – non vi era stata alcuna violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, poichè il meccanismo lecito del deposito IVA Terminal F.G. di (OMISSIS), per il deposito della merce acquistata dalla DAGAR da paesi extracomunitari e la successiva estrazione mediante autofattura, al pari della contestuale cessione delle merci alle altre società del gruppo con clausola franco porto di imbarco, pur se di per sè lecito, come sostenuto dalla IMI SUD, nel caso concreto era stato utilizzato in modo strumentale per attuare una frode fiscale poichè la DAGAR aveva il vantaggio di monetizzare il credito IVA inesistente, trasferendolo in avanti, mentre per le cessionarie c’era il vantaggio di poter usufruire della detrazione IVA, acquisendo ingenti crediti che non avrebbero realizzato se fossero state dirette acquirenti dall’estero, dovendo necessariamente applicare esse stesse il meccanismo del “reverse charge”; – non vi era stata alcuna violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE per cui i principi di neutralità fiscale o di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento non possono essere invocati da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA, per cui la IMI SUD, che era direttamente coinvolta nel fatto illecito realizzato mediante le operazioni fraudolente indicate, non poteva vantare alcun diritto alla detrazione o alla compensazione dell’IVA relativa agli acquisti effettuati; – non vi era stata violazione di principio di doppia imposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, in quanto l’oggetto dell’accertamento impugnato non era lo stesso credito già accertato come inesistente per l’anno 2002 bensì derivava dal protrarsi delle transazioni fittizie con le altre società dello stesso gruppo negli anni successivi e comunque non era mai stata pagata l’imposta corrispondente al falso credito; – le sanzioni erano legittime in quanto gli illeciti erano assistiti da dolo ed anzi da intenzionalità della condotta verso uno scopo illecito ed anche l’aggio era dovuto poichè la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, era stata già dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale con la ordinanza n. 147 del 2015.

Contro la sentenza di appello, notificata in data 18.11.2016, ha presentato ricorso per cassazione la società IMI SUD – nel frattempo sottoposta a sequestro preventivo da parte del GIP del Tribunale di Noia, unitamente alle altre società del gruppo Ragosta -, in persona dell’amministratore giudiziario nominato dal GIP, con atto notificato in data 16.1.2017, affidato a nove motivi e successiva memoria.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate che ha altresì presentato ricorso incidentale contro l’annullamento parziale dell’accertamento in conseguenza della rideterminazione delle sanzioni e dell’aggio per effetto del più favorevole ius superveniens, rilevando che, pur essendo corretto il principio affermato dalla sentenza impugnato, in concreto il ricalcolo della sanzione eseguito in sede di liquidazione della sentenza aveva dimostrato che la sanzione restava la stessa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 24 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 33 e 34, anche in relazione all’art. 112 c.p.c., poichè la sentenza di appello, di fronte al gravame dell’appellante che aveva dedotto la erroneità della motivazione del diniego di rinvio da parte del giudice di primo grado, con riguardo alla presenza di due difensori, aveva offerto una motivazione non in linea con il motivo di appello, incorrendo in una violazione della regola del contraddittorio, con conseguente nullità del procedimento e della sentenza impugnata considerato che la udienza pubblica si era svolta senza la presenza del difensore.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. In primo luogo non è censurabile la circostanza che il giudice di appello abbia corretto ed integrato la motivazione della ordinanza pronunciata in primo grado, poichè rientrava nei suoi poteri del giudice dell’appello, quale giudice del merito, non solo di integrare ma di sostituire la motivazione dei provvedimenti emessi dal giudice di primo grado attraverso una motivazione conforme a legge, ciò rientrando addirittura nei poteri del giudice di legittimità perchè la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto.

1.3. Il ricorrente non si è poi fatto carico della principale ragione giustificatrice della sentenza di appello su tale punto e cioè quella della compatibilità in ordine temporale della partecipazione del difensore all’udienza con la comparizione al Senato, che era programmata ben dieci ore dopo, con un margine temporale largamente superiore a quello occorrente per raggiungere Roma da Napoli con qualsiasi mezzo, il che escludeva la legittimità del dedotto impedimento del difensore, che, ad avviso del ricorrente, avrebbe determinato la nullità della sentenza. E ciò rivela anche un profilo di inammissibilità del motivo poichè, ove la sentenza di merito sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, la omessa censura di una di tale ragioni rende inammissibile il motivo di ricorso per cassazione diretto a censurare solo una di esse, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione non oggetto di censura (v. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15350 del 21/06/2017 Rv. 644814 – 01).

1.4. In ogni caso è ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., allorchè non faccia riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà ora confermata dalla L. n. 247 del 2012, art. 9, comma 2, e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), si risolve nella prospettazione di un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, che non rileva ai fini del richiesto differimento (v. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10546 del 03/05/2018 Rv. 648768 – 01) e lo stesso principio è stato applicato anche con riguardo al processo tributario (v. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25783 del 15/10/2018 Rv. 650983 – 01), per cui si deve ritenere legittima la sentenza di primo grado pronunciata a seguito del legittimo diniego del provvedimento di rinvio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1 bis, per avere il giudice di appello negato la sussistenza di un vincolo di pregiudizialità fra il presente giudizio e quelli promossi da parte della Dagar srl, pendenti in cassazione, relativi all’impugnazione dell’accertamento IVA per l’anno 2002 ed al diniego di condono tombale IVA per lo stesso anno, considerato anche che in altra causa la Corte di Cassazione, con la ordinanza n. 11441 del 2016, respingendo il regolamento improprio di competenza proposto dalla Agenzia delle Entrate contro la ordinanza della CTP di Napoli che aveva sospeso per pregiudizialità il giudizio promosso dalla DAGAR contro l’accertamento dell’IVA per il 2007 per pregiudizialità del giudizio pendente in appello relativamente alla impugnazione dell’IVA per l’anno 2002; e ciò valeva anche con riguardo alla controversia relativa al condono poichè l’attività accertatrice dell’Ufficio era preclusa anche quando il contribuente aveva chiuso a credito e, nel contempo, la “bocciatura comunitaria” delle sanatorie fiscali del 2002 con riguardo all’IVA non poteva riguardare i contribuenti che vi avevano già aderito.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Al di là della applicabilità o meno, in astratto, nel caso in esame, ratione temporis, della sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., la ricorrente non prende infatti in esame le ragioni per cui la CTR ha escluso, con ampia motivazione, la sussistenza, anche in concreto, dei presupposti della continenza o pregiudizialità con riguardo alle due cause relative alla DAGAR Srl per la annualità 2002, in quanto la creazione del credito fittizio del 2002 da parte della DAGAR Srl era solo l’antecedente storico di una frode che si era sviluppata negli anni successivi, ma non una questione pregiudiziale. Tale autonoma ragione giustificatrice, non censurata dalla ricorrente, rende irrilevante l’esame della applicabilità o meno dell’art. 295 c.p.c., poichè, pur ritenendolo applicabile, in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura per cui non sussisteva la causa di pregiudizialità.

2.3. La sussistenza della causa di pregiudizialità non può derivare, comunque, dalla ordinanza n. 11441 del 2016 di questa Corte, che ha deciso, respingendolo, sul ricorso della Agenzia delle Entrate per regolamento improprio di competenza contro la ordinanza della CTP che aveva sospeso per pregiudizialità il giudizio di impugnazione proposto dalla Dagar contro l’accertamento di maggiore IVA per l’anno 2007 con riferimento alla pendenza del giudizio relativo all’IVA per l’anno 2002, non solo e non tanto perchè si tratta di altro giudizio relativo ad una diversa materia del contendere, ma soprattutto perchè quel giudizio riguarda un soggetto diverso e cioè la Dagar mentre nel presente giudizio è in causa la società IMI SUD, per cui, ai fini della sospensione del processo, non è configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, seppur, in ipotesi, legate fra loro da pregiudizialità logica, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (v. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 20072 del 11/08/2017 Rv. 645343 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 12996 del 24/05/2018 Rv. 648748 – 01).

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, sempre sotto il profilo della violazione di legge, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, e della L. n. 212 del 2012, art. 7, per avere i giudici di appello ritenuto motivato l’accertamento con riguardo al pvc già notificato alla parte, benchè i pvc redatti nei confronti della Dagar e della Imi SUD Laminazione non fossero stati notificati alla IMI SUD e la sentenza di appello avesse fatto riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado che avrebbe ampiamente spiegato le ragioni della pretesa tributaria, anche se ciò non era avvenuto.

3.1. Anche tale motivo è inammissibile poichè, sotto il profilo della violazione di legge, tenta di introdurre un vizio di motivazione peraltro inesistente poichè la sentenza di appello, come riassunta nella parte espositiva della presente sentenza, riproduce da pagina 9 a pagina 14 il contenuto dell’accertamento dimostrando quanto fosse ampia e completa la motivazione dello stesso e come nel contempo la motivazione del giudizio di appello fosse autonoma rispetto a quella del giudice di primo grado, pur richiamata ed integrata ed avesse fatto applicazione della giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui gli atti già notificati alla parte, come i pvc redatti in contraddittorio con la stessa, non devono essere allegati e tanto meno ritrascritti nell’accertamento.

3.2. In base ad una giurisprudenza ampiamente consolidata di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02); e ciò è quanto avvenuto nel caso concreto poichè il motivo di ricorso, pur formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in realtà contesta poi la mancata allegazione in concreto di pvc relativi ad altri soggetti e la mancata risposta della sentenza di appello alle sue doglianze di merito, che non sono neppure trascritte e/o riprodotte il che determina pure difetto di autosufficienza del motivo.

4. Il quarto motivo di ricorso deduce sempre violazione di legge con riferimento alla applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., in materia di onere della prova e di applicazione del procedimento presuntivo per avere il giudice di appello ritenuto assolto l’onere probatorio spettante all’Ufficio sulla base delle verifiche eseguite dalla Guardia di Finanze e di presunzioni senza dimostrazione della attendibilità degli elementi posti a base della pretesa in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, pur spettando all’Agenzia, in base alla giurisprudenza comunitaria, l’onere di provare che il concessionario non poteva non sapere di essere coinvolto nella frode ed in particolare di intervenire in una operazione commerciale inserita in un più complesso meccanismo di evasione.

4.1. Il motivo è infondato poichè la sentenza di appello ha richiamato e fatto applicazione di principi giuridici corretti ed ampiamente consolidati, nel pieno rispetto della giurisprudenza comunitaria e di questa Corte, trascritta dalla sentenza impugnata a pagina 17 della motivazione, per cui spetta all’Ufficio fornire la prova non solo della inesistenza delle operazioni, ma anche, nel caso – che qui interessa – di operazioni soggettivamente inesistenti, del fatto che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode, pur con la precisazione che la dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la dimostrazione che il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (v., per tutte, da ulimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019 Rv. 653071 – 01); ed ha poi indicato dettagliatamente tutti gli elementi fattuali sulla cui base ha ritenuto raggiunto la prova non solo della disponibilità di elementi in capo alla IMI SUD per comprendere la esistenza della evasione, ma addirittura della piena consapevolezza e partecipazione da parte della IMI SUD alle operazioni fraudolenti poichè in particolare faceva parte dello stesso gruppo societario della cedente e le società del gruppo facevano capo alla stessa compagine sociale con comunanza pure di amministratori, di mezzi e di strutture amministrative, in assenza peraltro di qualsiasi struttura aziendale in capo alla società Dagar.

4.2. Anche in tal caso la ricorrente cerca in verità, pur invocando il vizio di violazione di legge, di mettere in discussione la valutazione della prova che peraltro attiene al giudizio di merito, nella specie non censurabile anche perchè congruamente e dettagliatamente motivato e privo di errori logici.

5. Il quinto motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, nonchè dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sul relativo motivo di appello, considerato che il giudice di appello avrebbe risposto con motivazione apparente con riferimento esclusivo alla sentenza di primo grado. Il sesto motivo, che può essere esaminato congiuntamente, contesta ugualmente la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, e dell’art. 2727 c.c., sotto il profilo della violazione di legge del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, comma 2, n. 4, per mancata esposizione dei motivi di fatto e di diritto per cui il corrispondente motivo di appello era stato rigettato.

5.1. Premesso che la ricorrente trascrive in parte, a pagina 42 del ricorso, la motivazione della sentenza di appello in ordine al motivo di appello di cui si tratta e già da tale trascrizione si deduce che vi è stata una risposta autonoma da parte del giudice di appello alla doglianza del contribuente, al di là del richiamo alla sentenza di primo grado di cui era confermativa, in realtà a pagina 20 e 21 la sentenza di appello prende in esame specificamente la pretesa violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, e risponde approfonditamente alla doglianza del contribuente spiegando in particolare i motivi sulla cui base aveva ritenuto che la utilizzazione del deposito IVA fosse stata in concreto compatibile con l’utilizzazione del credito IVA inesistente, per cui non si tratta certamente di risposta inesistente, contraddittoria o perplessa, come sostiene la ricorrente. Al contrario, poichè la sentenza di appello riporta sia la doglianza che la risposta, così come riassunte nella parte espositiva della presente sentenza, è dimostrato che ha preso in esame le specifiche doglianze proposte dalla ricorrente, la quale nega indebitamente che vi sia stata una risposta autonoma, la quale, invece, è presente nella sentenza di appello.

6. Il settimo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, poichè era stato erroneamente disconosciuto il diritto di detrarre l’IVA regolarmente versata dalla fornitrice Dagar che doveva essere in ogni caso consentito, anche se non fosse stata precedentemente versata, poichè, decorsi i termini per la rettifica della dichiarazione, l’IVA si stabilizzava e non poteva più essere contestata dalla Amministrazione Finanziaria, mentre invece nel caso in esame le sentenze di merito avevano erroneamente ritenuto che fossero rimaste accertate in causa la inesistenza del credito maturato in capo alla Dagar Srl ed il preteso utilizzo dello stesso per finalità illecite, il che avrebbe giustificato la detraibilità della imposta.

6.1 Sul punto la sentenza di appello ha ritenuto che non vi era stata alcuna violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE per cui i principi di neutralità fiscale o di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento non possono essere invocati da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA, come nel caso della IMI SUD che era direttamente coinvolta nel fatto illecito realizzato mediante le operazioni fraudolente indicate e non poteva perciò vantare alcun diritto alla detrazione o alla compensazione dell’IVA relativa agli acquisti effettuati.

6.2. Con tale motivazione della sentenza impugnata non si confronta la ricorrente, la quale deduce il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, senza considerare che esso deve investire immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, mentre la ricorrente, in concreto, si duole soltanto del fatto che le sentenze di merito avessero erroneamente ritenuto la inesistenza soggettiva del credito e il suo utilizzo per finalità illecite, il che, attenendo ad un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, è, invece, esterno all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (v., per tutte, da ultimo Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv. 652398 – 01).

6.3. Il motivo è pertanto inammissibile, considerato pure che la regola di diritto che la ricorrente vorrebbe trarre dalla norma non è quella che deriva dalla norma stessa, sulla base della interpretazione che ne dato la giurisprudenza consolidata di questa Corte in aderenza alla normativa comunitaria, per cui, se è vero che, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni, peraltro l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, per cui, laddove tale prova sia fornita dalla Amministrazione, come è stato ritenuto dalle due conformi sentenze di merito nel caso in esame, la detrazione non è possibile (v. Sez. 5, Sentenza n. 24426 del 30/10/2013 Rv. 629419 – 01). Ed è stato altresì aggiunto che, al fine di ritenere la buona fede del contribuente, non è neppure sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poichè trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20059 del 24/09/2014 Rv. 632476 – 01). Tanto più che, in tema d’IVA, è precluso al cessionario dei beni il diritto alla detrazione nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo, nonostante i beni siano entrati effettivamente nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, poichè l’indicazione mendace di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 07/10/2015 Rv. 636663 – 01); il che determina, pure, in conseguenza, la irrilevanza delle argomentazioni addotte dalla ricorrente, peraltro senza alcun riferimento ad una elaborazione giurisprudenziale di legittimità, che non trovano riscontro nel diritto vivente.

7. Infine con l’ottavo ed il nono motivo la ricorrente la ricorrente contesta la applicabilità delle sanzioni sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5, 6 e 13, e del D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 5 e 13, e del D.L. n. 472 del 1997, art. 3, per non avere la sentenza impugnata motivato compiutamente sulla sussistenza dell’elemento soggettivo della coscienza e volontà della violazione e della esistenza di possibili cause giustificative dell’errore, nonchè la erronea applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, nella formulazione peggiorativa entrata in vigore il 29 novembre 2008 – e quindi successivamente alla commissione del fatto – in luogo di quella pregressa più favorevole, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, per il caso di compensazione di un credito inesistente.

7.1. Anche tali motivi sono inammissibili poichè – in disparte il rilievo che la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge mentre poi si duole, in concreto, di un vizio di motivazione – nessuno dei suddetti vizi è prospettabile, considerato che la sentenza impugnata ha ampiamente motivato sulla sussistenza del dolo intenzionale, per cui nulla doveva aggiungere sulla esistenza della colpa o sulla sussistenza di errori colpevoli, restando tale deduzione assorbita, mentre la sanzione è stata correttamente contestata ad applicata con l’accertamento in relazione al fatto contestato che era quello della indicazione in dichiarazione di una imposta inferiore a quella dovuta e non invece, come assume erroneamente la ricorrente, in relazione ad una contestazione di indebita compensazione.

8. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater, essendo stato il ricorso notificato il 16.1.2017.

9. Il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate è invece inammissibile. Con esso non si deduce infatti alcun vizio dell’atto impugnato e non si formula neppure una richiesta di annullamento della statuizione della sentenza impugnata; al contrario si riconosce la correttezza della applicazione della ius superveniens, mentre la osservazione in merito al fatto che, in concreto, la determinazione della sanzione non sarebbe cambiata attiene alla fase della liquidazione delle disposizioni della sentenza senza incidere sulla necessità che ciò, anche per quanto attiene al conteggio dell’aggio, avvenga sulla base dello ius superveniens.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 15.600,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito. Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale della Agenzia delle Entrate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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