Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31635 del 06/12/2018

Cassazione civile sez. II, 06/12/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 06/12/2018), n.31635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 23004/’15) proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Paolo Montalenti

e Eva Desana ed elettivamente domiciliata presso lo studio del

secondo, in Roma, Largo Messico, n. 7;

– ricorrente –

contro

CONSOB, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente e legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Salvatore

Providenti, Paolo Palmisano e Clementina Scaroni, elettivamente

domiciliata presso la propria sede, in Roma, alla v. G.B. Martini,

n. 3;

– controricorrente –

e

L.J.F. (C.F.: (OMISSIS)) e E.E.

(C.F.: (OMISSIS));

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 475/2015,

depositata il 27 marzo 2015 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

settembre 2018 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

uditi gli Avv.ti Salvatore Providenti e Paolo Palmisano per la

controricorrente Consob e l’avv. Desana per il ricorrente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con delibera n. 18839 del 2014, la CONSOB irrogava nei confronti di Fondiaria Sai s.p.a. il pagamento della sanzione amministrativa di euro 450.000,00 e, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6, comma 3, nei riguardi di L.J.F. ed E.E., quali ritenuti autori dell’illecito di manipolazione del mercato previsto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-ter(d’ora in poi T.U.F.), nonchè il pagamento, in proprio, dell’ulteriore somma di Euro 450.000,00, in relazione alla violazione di cui all’art. 187-quinquies, comma 1, lett. a), del T.U.F., per aver posto in essere la condotta nell’interesse della stessa Fondiaria Sai, oltre ad ordinare alla Milano Assicurazioni il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 200.000,00, ai sensi del citato art. 6, comma 3, della menzionata L. n. 689 del 1981, in solido con E.E., quale assunto autore dell’infrazione contemplata dall’art. 187-ter T.U.F., congiuntamente al pagamento, in proprio, della somma di euro 200.000,00, ai sensi all’art. 187-quinquies, comma 1, lett. a), T.U.F., per aver posto in essere la condotta nell’interesse della medesima Milano Assicurazioni.

Con tale delibera la CONSOB allegava di aver accertato la diffusione, nei bilanci consolidati del 2010 della Fondiaria-Sai e della Milano Assicurazioni, di informazioni false e suscettibili di fornire indicazioni non corrispondenti al vero ovvero fuorvianti in merito alle azioni di dette società, così da ingenerare, dal punto di vista oggettivo, l’illecito di manipolazione del mercato di tipo informativo di cui all’art. 187-ter, comma 1, del T.U.F., la cui responsabilità era ascrivibile anche a L.J. ed E.E..

Avverso la suddetta delibera proponeva, in data 22 maggio 2014, ricorso in opposizione la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. (quale società risultante dalla fusione in Fondiaria-Sai s.p.a. di Milano Assicurazioni s.p.a., Unipol s.p.a. e Premafin s.p.a., efficace dal 6 gennaio 2014), con sede in (OMISSIS), deducendo vizi del procedimento sanzionatorio e contestazioni in merito agli illeciti amministrativi contestati. Nella resistenza della CONSOB e nella contumacia delle altri parti evocate in giudizio ( L.J. ed E.E.), l’adita Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 475 del 2015, depositata il 27 marzo 2015 (e non notificata), rigettava integralmente l’opposizione, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della costituita Consob e disponendo la pubblicazione del provvedimento per estratto nel bollettino della stessa Consob.

Con l’adottata sentenza la Corte felsinea respingeva, innanzitutto, il motivo di opposizione con il quale era stata dedotta l’assunta violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa nel presupposto procedimento amministrativo sanzionatorio (anche in relazione al profilo della determinazione delle sanzioni poi irrogate), da considerarsi, peraltro, nel loro complesso, siccome riferibili “stricto iure” solo al procedimento giurisdizionale, non valendo in senso contrario all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità (affermato, in particolare, con la sentenza delle Sezioni unite n. 20935/2009) l’orientamento seguito dalla Corte EDU (soprattutto con la sentenza relativa al giudizio “Grande Stevens c. Italia” del 2014).

In secondo luogo, il giudice dell’opposizione ravvisava l’infondatezza del motivo mediante il quale era stata prospettata l’inosservanza del termine di 180 giorni entro cui – ai sensi dell’art. 187-septies, comma 1, T.U.F. – sarebbe dovuta avvenire la contestazione degli addebiti. Al riguardo la Corte bolognese si conformava all’indirizzo già manifestatosi in plurime pronunce giurisprudenziali in base al quale l’accertamento dell’illecito si deve considerare perfezionato solo quando siano stati acquisiti, sulla scorta delle verifiche e delle valutazioni compiute dalla Consob in piena autonomia, tutti gli elementi informativi idonei a comprovarne la sussistenza (con riferimento, nella specie, alla condotta materiale e agli effetti ovvero alla capacità delle informazioni diffuse sul mercato di fornire indicazioni false e fuorvianti). Pertanto, prendendo come riferimento in funzione della individuazione del “dies a quo” del suddetto termine il momento finale della definitività della fase dell’accertamento (all’esito della quale era emersa la configurazione della contestata sottoriservazione), nel caso in questione tale termine risultava essere stato rispettato.

Infine la Corte emiliana rigettava anche l’ultima censura tesa a denunciare l’insussistenza di interesse della ricorrente società in relazione all’illecito contestato, avuto riguardo al profitto e, quindi, al vantaggio che la stessa aveva ritratto dalla consumazione delle infrazioni, senza escludere la circostanza che la medesima società non aveva assolto all’onere di provare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione dei fatti costituenti illecito amministrativo (e rilevanti anche sul piano penale), modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenirli, in tal senso incorrendo in “colpa organizzativa”, come tale legittimante l’attribuzione delle infrazioni anche nei confronti della società in discorso.

Avverso la suddetta sentenza (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione la menzionata UnipolSai Assicurazioni s.p.a., articolato in sei motivi, al quale ha resistito con controricorso la CONSOB, mentre le altre due parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso veniva fissato, ai fini della sua trattazione, per la pubblica udienza del 7 novembre 2017, ma – all’esito della sua celebrazione – con ordinanza interlocutoria n. 7852/2018 ne veniva disposto il rinvio a nuovo ruolo in attesa delle decisioni della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE investita di quattro rinvii pregiudiziali aventi ad oggetto la questione sulla compatibilità di sistemi di doppio binario sanzionatorio nell’ordinamento italiano con il divieto del “ne bis in idem” sancito, nell’ordinamento eurounitario, dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

A seguito della definizione dei predetti rinvii pregiudiziali si è provveduto alla rifissazione dell’udienza pubblica per il 26 settembre 2018, in prossimità della quale entrambe le difese delle parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha censurato la sentenza impugnata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – per assunta violazione e falsa applicazione dell’art. 187-septies, comma 2, TUF e della L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, comma 1, oltre che dell’art. 6 della CEDU per assenza di idoneo contraddittorio nel procedimento sanzionatorio.

Ha osservato, in sintesi, la difesa della UnipolSai Assicurazioni s.p.a che, nel procedimento de quo, difetterebbero le caratteristiche di quel “contraddittorio rinforzato” da considerarsi necessario nei procedimenti sanzionatori – di per sè afflittivi – che impongono il rispetto di una maggiore attenzione al diritto di difesa degli interessati (come sarebbe stato evincibile pure dalla volontà del legislatore manifestatasi nell’introduzione del comma 2 dell’art. 187-septies TUF), anche in ragione delle sanzioni “sostanzialmente” penali derivanti dalla conclusione di siffatti procedimenti (alla stregua di quanto statuito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014), ai quali non potrebbero applicarsi regole di garanzia a “geometria variabile”, ovvero suscettibili di essere applicate o meno in funzione della varietà della tipologia dell’apprezzamento dell’organo accertatore. Nella prospettiva della difesa della ricorrente la riprova che – nella fattispecie – si era venuta a verificare la violazione del principio del contraddittorio si sarebbe dovuta evincere dalla sopravvenuta adozione, da parte dello stesso Istituto di vigilanza, di un nuovo regolamento del procedimento sanzionatorio (susseguente ad un apposito indirizzo formatosi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato) sostanziatosi nella delibera 29 maggio 2015, n. 19158 (modificativa di quella n. 18750/2013). Infatti, con il nuovo regolamento era stata prevista la trasmissione della relazione conclusiva dell’U.S.A. agli interessati, comprensiva della proposta sanzionatoria, oltre ad essere contemplata l’assegnazione di un termine per replicarvi: solo l’osservanza di questi passaggi ulteriori avrebbe potuto consentire il rispetto del principio della pienezza del contraddittorio nel procedimento sanzionatorio in oggetto.

2. Con il secondo motivo – riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e denunciato il vizio di nullità della sentenza impugnata per assunta omessa pronuncia sull’eccezione di assenza di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie in dispregio di quanto stabilito dall’art. 187-septies, comma 2, TUF, dall’art. 24, comma 1, della citata L. n. 262 del 2005, oltre che dall’art. 6 della CEDU.

3. Con la terza doglianza la ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – il vizio di omesso esame dei fatti decisivi riguardanti la redazione dell’atto di accertamento da parte dell’U.S.A. e la presenza del direttore generale alla riunione della Commissione.

4. Con la quarta censura la ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione dell’art. 187-septies, comma 1, TUF e dell’art. 24 Cost., assumendo l’illegittimo superamento del termine per la contestazione degli addebiti e l’omessa valutazione della conoscenza dei fatti posti a base delle contestazioni già il 20 giugno 2012 (data della contestazione ai sensi dell’art. 154-ter del TUF per mancata conformità del bilancio consolidato della Fondiaria in relazione all’anno 2011).

5. Con il quinto motivo la ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 187-septies, comma 1, TUF, in relazione all’art. 37 cod. ss., e l’omessa valutazione delle deduzioni di essa opponente sull’inesistenza della c.d. “sottoriservazione”.

6. Con la sesta ed ultima doglianza la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 187-quinquies TUF (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avuto riguardo all’assunta erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva motivato la sussistenza di un interesse dell’ente sulla base di un’astratta possibile coincidenza del vantaggio dell’autore con quella dell’ente stesso, omettendo la valutazione di fatti contrari, nonchè sull’asserita carenza di dimostrazione dell’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione, con applicazione erronea del principio di inversione dell’onere della prova.

7. Rileva il collegio che, in via del tutto preliminare, occorre farsi carico della questione prospettata dalla difesa della ricorrente – con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. – in ordine all’asserita sussistenza, in modo assorbente, dei presupposti per l’accoglimento del riferito sesto motivo di ricorso.

A tal proposito, la menzionata difesa ha prodotto copia della sentenza (relativa al proc. iscritto al n. 14442/14 del R.G.N.R.) dell’Ufficio G.I.P. del Tribunale penale di Milano, depositata il 23 maggio 2016, con la quale era stato dichiarato, nei confronti della FONDIARIA-SAI (poi confluita nell’UNIPOLSAI), costituita ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, il non luogo a procedere per insussistenza del fatto in ordine all’imputazione di cui agli artt. 5 e 25-sexies del medesimo D.Lgs. n. 231 del 2001 (corrispondente all’illecito amministrativo previsto dall’art. 187-quinquies del TUF) relativamente all’operazione di sottoriservazione della voce “riserva sinistri RCA” contenuta nei bilanci consolidati del 2010 di Fondiaria-SAI e Milano Ass.ni contestata con delibera Consob n. 18839 del 20 marzo 2014. La sentenza così come emessa nei confronti della suddetta società FONDIARIA-SAI risulta passata in giudicato in data 22 luglio 2016, come da relativa annotazione risultante in calce apposta dal competente funzionario giudiziario. Peraltro, dalla stessa sentenza emerge che anche le persone fisiche L.G.P., B.P.G. e G.F. sono stati assolti dai reati loro rispettivamente ascritti in ordine alla stessa vicenda societaria, ma – per tale parte – non risulta in atti che sia intervenuta l’irrevocabilità della sentenza stessa.

Orbene, sulla scorta di tali documenti e per effetto delle tre sentenze emesse il 20 marzo 2018 dalla Corte di Giustizia dell’UE (nelle cause C-537/16, C524/15, C-596/16 E C-597/16, nelle more della cui definizione era stata adottata, da parte di questo collegio, l’ordinanza interlocutoria n. 7852/2018), la difesa della ricorrente ha chiesto l’annullamento della sanzione irrogata ex art. 187-quinquies TUF nei confronti di detta società essendo già intervenuta una pronuncia irrevocabile nel parallelo procedimento penale riferita all’omologo e corrispondente reato di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5 e 25-sexies, con cui è stato dichiarato il luogo a procedere nei riguardi della stessa società per insussistenza del fatto. E ciò sul presupposto che, con le tre pronunce della Corte di Giustizia – pur essendo stata riconosciuta l’ammissibilità del concorso tra sanzioni penali e sanzioni amministrative rimettendo, però, al giudice nazionale la valutazione caso per caso della proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivo così risultante – è stata, in ogni caso, in applicazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dell’art. 4 del protocollo 7 della CEDU, sancita l’illegittimità della prosecuzione del giudizio civile nell’ipotesi in cui per i corrispondenti fatti imputati in sede penale sia intervenuta (come nel caso di specie) una sentenza penale definitiva di assoluzione.

Ritiene il collegio che la riferita pronuncia così come richiesta dalla difesa della ricorrente non possa essere emessa per la mancata configurazione dei relativi presupposti, soprattutto per l’insussistenza del necessario requisito dell’idem factum e, quindi, per la mancata configurazione della prospettata violazione del principio del ne bis in idem.

Invero, come si evince dalla documentazione prodotta, la Fonsai s.p.a. (poi assorbita dall’Unipol-Sai) era stata chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5 e 23-sexies in qualità di persona giuridica responsabile del reato previsto dall’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 185, la cui commissione era imputata, in concorso tra loro, a L.G.P., B.P. e G.F., i quali erano ritenuti – nella prospettazione dell’accusa – quali unici autori del reato presupposto in relazione al quale la predetta società era stata, per l’appunto, chiamata a rispondere (dinanzi allo stesso Ufficio giudiziario) del suddetto illecito di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001. Pertanto, alla statuita assoluzione per insussistenza dei fatti dei tre indicati autori dei reati, era conseguita anche la dichiarazione di non luogo a procedere nei confronti della Fondiaria-Sai, costituita ai sensi del citato D.Lgs. n. 231 del 2001, perchè il fatto non sussiste.

Senonchè – sempre per quanto documentalmente riscontrato – solo la decisione assunta nei confronti dell’anzidetta società risulta passata in cosa giudicata, mentre la sentenza nella parte in cui ha riguardato i sigg. L.G.P., B.P. e G.F. non è – nemmeno a seguito della sentenza di appello intervenuta il 10 luglio 2018, confermativa di quella di primo grado – ancora divenuta irrevocabile, posto che ancora non risulta depositata la motivazione della sentenza di secondo grado e, ovviamente, non sono decorsi i termini per l’eventuale proposizione del ricorso per cassazione.

Al di là della rilevanza di questo aspetto, ciò che risulta decisivo per la reiezione della richiesta in esame della difesa della ricorrente è la circostanza che – per quanto si desume inequivocabilmente dalla sentenza qui impugnata della Corte di appello di Bologna – la Unipol-Sai (quale società succeduta, a seguito di fusione, alla Fonsai s.p.a. e alla Milano Ass.ni) era stata chiamata a rispondere (con l’opposta delibera Consob n. 18839/2013) per la violazione di cui all’art. 187-quinquies TUF in relazione agli illeciti commessi nell’interesse delle due appena indicate società dai sigg. L.J. e E.E. in ordine all’infrazione di manipolazione del mercato ex art. 187-ter, comma 1, TUF, quali ritenuti responsabili in solido ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, e, perciò, da soggetti diversi rispetto a quelli a cui si riferisce la sentenza assolutoria del G.I.P. di Milano del 16 dicembre 2015 (oltretutto ancora non divenuta irrevocabile nei confronti delle persone fisiche). Peraltro, sul versante penale, è emerso – sulla scorta della rituale documentazione depositata dalla Consob – che la sig.ra L.J. è stata condannata, per i fatti in questione relativi all’operazione di sottoriservazione, dal Tribunale di Torino con sentenza (ancora non irrevocabile, pendendo l’appello) depositata il 10 aprile 2017 (in relazione al proc. pen. iscritto al n. 21713 del R.G.N.R.), nel cui giudizio emerge che la Unipol-Sai è stata citata come responsabile civile e, quindi, risulta destinataria di una statuizione non sanzionatoria agli effetti che rilevano in questa sede e, come tale, insuscettibile di costituire il presupposto per l’applicazione del principio evocato dalla difesa della ricorrente nell’ultima memoria ex art. 378 c.p.c..

E’, quindi, evidente che non si è venuta a configurare alcuna violazione del principio del ne bis in idem nei confronti della società ricorrente alla stregua della diversità del fatto – rispetto a quello su cui è intervenuta la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Milano del 16 dicembre 2015 – discendente dalla “alterità soggettiva” degli autori, rispettivamente, del reato e dell’illecito amministrativo presupposti. E’, infatti, chiaro che, sia nel sistema previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, sia ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 187-quinquies TUF, il “fatto” oggettivo per il quale l’ente può essere chiamato a rispondere deve identificarsi con la stessa condotta ascritta all’autore dell’illecito presupposto, in tutte le sue componenti costitutive, ragion per cui la differenza soggettiva degli autori del reato (presupposto) rispetto ai responsabili dell’illecito amministrativo (presupposto) comporta la conseguenza della diversità del fatto materiale ascritto alla sfera di responsabilità dell’ente nei due casi.

8. Risolta in senso negativo per la società ricorrente la questione dell’assunta violazione del principio del ne bis in idem, si può passare all’esame dei singoli motivi proposti nel suo interesse.

Il primo motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Infatti, nel respingere la doglianza relativa all’asserita assenza di idoneo contraddittorio nel procedimento amministrativo sfociato nella irrogazione della opposta sanzione, il giudice bolognese si è conformato alla – ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha affermato i seguenti principi:

– in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, previsto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-septies, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non violano il principio del contraddittorio l’omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della Consob e la sua mancata personale audizione innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento giurisdizionale (cfr., ex multis, Cass. S.U. n. 20935/2009; Cass. n. 18683/2014 e Cass. n. 8210/2016);

– In tema di opposizione a provvedimenti irrogativi di sanzioni amministrative gli eventuali vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto (v. Cass. S.U. n. 1786/2010 e Cass. n. 6778/2015);

– di conseguenza, si è statuito che, nella materia delle sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale (come quelle emanate a seguito del procedimento amministrativo regolato dall’art. 187-septies TUF), la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr., per tutte, Cass. n. 770/2017).

Pertanto, come pure correttamente sostenuto dalla Corte territoriale, è stato ulteriormente chiarito che, sempre in tema di intermediazione finanziaria, nel procedimento amministrativo sanzionatorio previsto dal citato art. 187-septies TUF, l’omessa previsione della trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative, e la conseguente impossibilità di interloquire, non si pone in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quando – come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, “Grande Stevens c. Italia” -, pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato – come, appunto, quello adottato ex art. 187 septies cit., anche nel testo vigente “ratione temporis” – ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo (v. Cass. n. 8210/2016 e Cass. n. 20689/2018).

Essendosi la Corte di appello di Bologna attenuta ai richiamati principi la doglianza in questione è del tutto immeritevole di accoglimento.

9. Anche il secondo motivo è destituito di fondamento e deve essere, quindi, respinto.

Non sussiste affatto il dedotto vizio processuale ricondotto alla supposta violazione dell’art. 112 c.p.c. (nè si configura, a maggior ragione, l’asserita nullità) poichè la Corte felsinea ha, nella sentenza impugnata (v. pagg. 8-9), propriamente pronunciato sulla non necessità della separazione – nell’ambito del procedimento amministrativo sanzionatorio in questione – tra la fase istruttoria e quella fase decisoria, avendo chiarito che, al fine di garantire il rispetto delle prerogative difensive dell’incolpato, occorre considerare – per inferirne il suo legittimo svolgimento – unitariamente il procedimento stesso nel suo complesso (facente capo per intero alla Consob), senza quindi che le singole fasi che lo compongono debbano essere distinte (in conformità, del resto, alla stessa giurisprudenza della Corte EDU, come ugualmente rilevato dalla Corte territoriale, anche a seguito della sentenza pronunciata nel caso Grande Stevens c. Italia: v. pag. 9).

10. La terza censura deve qualificarsi propriamente inammissibile.

Invero, con essa, la ricorrente – nel contestare la mancata considerazione di alcune argomentazioni difensive relative al mancato rispetto del principio di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie nell’ambito del procedimento conclusosi con la delibera Consob opposta dinanzi alla Corte di appello di Bologna – ha, in effetti, inteso denunciare un’asserita insufficienza della motivazione della impugnata sentenza. Senonchè, come è risaputo (v., per tutte, Cass. S.U. n. 8053 e 8054 del 2014), la riformulazione (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie poichè la decisione impugnata risulta pubblicata successivamente all’11 settembre 2012) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, precisandosi che tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

In ogni caso non si versa nell’omessa valutazione di un fatto da considerarsi come “decisivo” per la già rilevata non indispensabilità della separazione tra la fase istruttoria e quella decisoria nel corso del procedimento amministrativo sanzionatorio attivato dalla Consob.

11. Il quarto motivo è, anch’esso, infondato e va respinto, avendo la Corte bolognese applicato i conformi principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla prospettata questione.

Da un punto di vista generale è opportuno ricordare che – ad avviso della uniforme giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 25836/2011 e Cass. n. 8687/2016)- in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob (così come della Banca d’Italia), non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, nè con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine, nè con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la “constatazione” dei fatti non comporta di per sè il loro “accertamento”. Ne consegue che, mentre la redazione della relazione ed il suo esame debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa. In altri termini, l’attività di accertamento dell’illecito, in relazione alla quale collocare il dies a quo del termine per la notifica degli estremi della violazione, non può coincidere con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti gli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione correlata alla complessità, nella fattispecie, delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione (cfr. Cass. n. 13050/2014; Cass. n. 1043/2015 e Cass. n. 770/2017, cit.).

Orbene, sulla base di tale complessivo principio, la Corte di appello ha – con adeguata motivazione – disatteso la prospettazione della ricorrente (poi riproposta in questa sede), avendo riscontrato che, nel procedimento de quo, i riferimenti (implicanti solo censure di ordine procedurale e metodologico) riconducibili all’attività ispettiva Isvap (come da missive indirizzate alla Consob nell’aprile e nell’ottobre 2012) avevano svolto solo una funzione propulsiva e funzionale all’esercizio della conseguente e necessaria attività di indagine poi autonomamente condotta dalla Consob, solo a seguito della quale era rimasta accertata la configurazione dell’illecito amministrativo di manipolazione informativa del mercato e della sua capacità decettiva. In particolare, tale accertamento non poteva che trovare il presupposto nella valutazione degli effetti che una corretta determinazione della riserva RCA avrebbe prodotto sulla rappresentazione della complessiva situazione economico-finanziaria riconducibile ai bilanci del 2010, e, quindi, sul patrimonio netto e sulle perdite subite dalla società, sicchè tale accertamento definitivo si era venuto a realizzare solo a seguito dei restatement che Fondiaria-Sai e Milano Ass.ni avevano pubblicato il 27 dicembre 2012 in ottemperanza alle delibere Consob del 21 dicembre precedente, a seguito del quale si era poi provveduto, tempestivamente, alla formale contestazione intervenuta il 19 aprile 2013.

12. Anche il quinto motivo non merita accoglimento.

Con tale censura la ricorrente mira, in effetti, ad ottenere una rivalutazione nella presente fase di legittimità degli apprezzamenti di merito compiuti dalla Corte territoriale sulla ritenuta configurazione dell’illecito amministrativo ascritto alla stessa società ricorrente, ma tale richiesta non può essere considerata ammissibile siccome la motivazione del giudice bolognese è corredata da un idoneo e logico percorso argomentativo sul punto al fine di addivenire al rigetto della formulata opposizione, donde la sua insindacabilità.

La Corte emiliana – richiamando al riguardo anche la sentenza della Corte di appello di Milano che si era pronunciata sull’opposizione proposta da L.J. (quale persona fisica ricoprente la carica di presidente-amministratrice delegata della società) avverso la medesima delibera Consob n. 18839/2014 ha dato sufficientemente conto degli elementi da cui si era desunta l’esistenza della sottoriservazione nel bilancio 2010 come accertata in seguito ai controlli effettuati dalla Consob, partendo dall’esito degli stessi e dalle risultanze dei restatement che Fondiaria-Sai e Milano Ass.ni avevano pubblicato il 27 dicembre 2012; in tal modo, in conseguenza di questa nuova valutazione patrimoniale assunta dalla Fonsai sotto la sua responsabilità, tale società aveva contravvenuto al disposto dell’allora vigente D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 37, senza rispettare, altresì, i metodi di calcolo indicati nel regolamento Isvap allo scopo di consentire l’adeguata costituzione delle riserve tecniche in grado di far fronte agli impegni derivanti dai contratti in corso e, quindi, di iscrivere a bilancio un valore che potesse essere considerato obiettivamente congruo. Da ciò era scaturito che l’operazione di sottoriservazione, compiuta in violazione del suddetto regolamento, aveva realizzato il presupposto logico-giuridico dell’esposizione nel bilancio consolidato dei 2010 di un dato contabile non corrispondente, in effetti, a quello reale, siccome apparentemente orientato ad esteriorizzare una situazione patrimoniale molto più positiva di quella invero esistente, in tal modo risultando idonea a fuorviare il mercato sul valore delle azioni della società, con la conseguente configurazione del contestato illecito amministrativo di manipolazione del mercato ai sensi dell’art. 187-ter del TUF.

L’altro prospettato profilo inerente l’asserita rilevanza delle conclusioni del P.M. nel procedimento penale dinanzi al Tribunale di Milano investe un aspetto che non aveva costituito specifico oggetto dei motivi dell’opposizione proposta dinanzi alla Corte emiliana e, perciò, non può essere esaminato in questa sede siccome afferente ad una circostanza nuova (peraltro, in ogni caso, irrilevante ai fini dell’accertamento della violazione amministrativa contestata alla società ricorrente).

13. Infine anche la sesta censura – sull’asserita carenza di interesse della società nell’illecito contestato – si prospetta infondata e deve essere respinta. Deve tenersi presente, sul piano generale, che – ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di intermediazione finanziaria a carico degli enti ai sensi dell’art. 187-quinquies TUF – sono necessarie determinate condizioni, ovvero: – che sia rimasta accertata la sussistenza di uno degli illeciti riconducibili all’abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato;

– che risulti la circostanza della commissione di uno di detti illeciti da parte di persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente, nonchè di persone che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso o, altresì, di persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei predetti soggetti; – che l’illecito sia stato posto in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente, il quale potrebbe esentarsi da responsabilità solo dimostrando che i suddetti soggetti hanno agito esclusivamente nel loro interesse o di quello di terzi. A quest’ultimo proposito deve, più specificamente, aggiungersi che – ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6 (richiamato dal comma 4 del citato art. 187-quinquies TUF) – l’ente può sottrarsi alla propria responsabilità provando il possesso di adeguati modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire illeciti della specie di quello verificatosi e la fraudolenta elusione dei modelli stessi da parte degli autori materiali del c.d. “illecito presupposto”.

Solo l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli in discorso, la cui concreta determinazione è rimessa in tutto e per tutto all’ente, se realizzati prima della commissione dell’illecito amministrativo o del reato, valgono ad escludere la “colpa d’impresa” ovvero la “colposa disfunzione organizzativa” che sono alla base della responsabilità dell’ente. La soglia di efficienza che viene richiesta nella predisposizione di tali modelli organizzativi si raggiunge quando il sistema di prevenzione delle fattispecie illecite da essi approntato non può essere aggirato se non fraudolentemente: l’ente, infatti, non risponde se prova che gli illeciti sono stati commessi eludendo fraudolentemente i modelli in discorso.

Orbene, sulla base di tali condizioni, la Corte di appello di Bologna ha, in primo luogo, rilevato che, in linea di massima, è ravvisabile un interesse della società nei casi in cui, perseguendo un proprio autonomo interesse, l’autore materiale o morale dell’illecito oggettivamente realizzi, o ponga in essere una condotta idonea a realizzare anche quello dell’ente. Da ciò ha logicamente inferito che una tale situazione è, per l’appunto, configurabile allorquando venga rappresentata una condizione economico-patrimoniale della società più florida di quella (effettivamente) reale, siccome idonea ad orientare le scelte degli investitori (come avrebbe potuto essere quella relativa all’eventuale sottoscrizione di aumenti di capitale deliberati dalle società Fonsai e Milano Ass.ni nel corso del 2011): appare, in tal caso, evidente un interesse di dette società a fornire sul mercato informazioni inveritiere e fuorvianti sui valori economici patrimoniali, come tale compatibile con quello degli autori materiali dell’illecito presupposto conseguente alla illegittima operazione di sottoriservazione.

Nè coglie nel segno la critica della ricorrente circa l’asserita erroneità, nella sentenza impugnata, dell’applicazione del principio di inversione dell’onere della prova. Infatti, lungi dall’incorrere nel prospettato errore, la Corte emiliana ha dato conto – in virtù di un’adeguata valutazione di merito – della mancata idonea dimostrazione, da parte dell’opponente, dell’approntamento delle idonee e complete cautele tali da esonerarla dalla c.d. “colpa organizzativa” (desumibile dal disposto di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6), non essendo, a tale scopo, bastevoli la mera predisposizione di modelli organizzativi utilizzati dalle società e la semplice asserzione della loro validità, in difetto dell’allegazione e della prova in concreto che essi sarebbero stati effettivamente in grado di prevenire la commissione dei comportamenti illeciti che, invece, erano stati accertati come consumati. Come, invero, si è già sottolineato, la soglia di efficienza che si esige nella predisposizione dei predetti modelli organizzativi risulta soddisfatta solo quando il sistema di prevenzione delle fattispecie illecite da essi approntato non può essere aggirato se non fraudolentemente: l’ente, infatti, non risponde se prova che gli illeciti siano stati commessi eludendo fraudolentemente i modelli in discorso, riscontro che la Corte di appello di Bologna ha accertato non essere stato concretamente offerto dalla società opponente.

14.. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna della soccombente società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio (nei soli confronti della costituita CONSOB), liquidate nella misura di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore della controricorrente Consob, liquidate in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15 % ed accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della stessa ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018

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