Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31634 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 04/12/2019), n.31634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28893-2016 proposto da:

DAGAR SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PAISIELLO 26,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO LOCONTE, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

DAGAR SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4250/2016 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 09/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/1012019 dal Consigliere Dott.ssa CORRADINI GRAZIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Srl DAGAR, in persona del legale rappresentante pro tempore, impugnò l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo ad IRES, IVA ed IRAP per l’anno di imposta 2007, per complessivi Euro 23.916.979,00, oltre alle consequenziali sanzioni, emesso sulla base delle risultanze di una verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza di Napoli che si era conclusa con il processo verbale di constatazione del 5 luglio 2013, il quale, anche in relazione ai rapporti emergenti fra società DAGAR e le società IMI SUD, IMI SUD LAMINAZIONI e FAR SUD, facenti parte della stesso gruppo e riconducibili alle stesse persone fisiche ed allo stesso amministratore, aveva constatato la emissione, da parte della DAGAR Srl, di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti di società dello stesso gruppo, disconoscendo altresì il credito IVA e procedendo quindi ai relativi recuperi ai fini IRES ed IRAP ed alla applicazione delle conseguenti sanzioni.

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, davanti alla quale la società DAGAR aveva proposto tredici motivi di ricorso, poi ripresi con l’atto di appello, con sentenza n. 6067/31/2015, depositata in data 31.3.2015 (trascritta integralmente da pagina 16 a pagina 30 delle controdeduzioni della Agenzia delle Entrate), rigettò il ricorso, ritenendo, preliminarmente, che non sussistesse la dedotta pregiudizialità rispetto ai giudizi che riguardavano la società DAGAR per l’anno di imposta 2002 e, nel merito, che l’accertamento contestato nel presente giudizio fosse stato legittimamente emesso sulla base degli atti prodotti dalla Agenzia delle Entrate, aventi efficacia probatoria, non contrastata da alcuna prova contraria, che dimostravano come la attività della DAGAR e delle società collegate costituissero un sistema volto a realizzare una frode IVA attraverso lo spostamento del credito IVA che nasceva fittizio e tale restava – poichè nasceva da una mera appostazione contabile, come ammesso dalla stessa società DAGAR in sede di adesione al condono per l’anno 2002, considerato anche che non vi era alcuna necessità della interposizione della società DAGAR per la attività di acquisto e di deposito all’estero, a maggior ragione in virtù del fatto che la stessa era risultata sprovvista di qualsiasi mezzo per il deposito e la lavorazione di materiali – e che fosse altresì correttamente e compiutamente motivato anche con riguardo al pvc già previamente notificato alla contribuente ed, infine, che fosse pure provato che sia la DAGAR che le società collegate avevano piena coscienza del fatto che l’IVA veniva versata ad un soggetto che non aveva legittimazione alla rivalsa nè era tenuto al pagamento dell’imposta, poichè le movimentazioni finanziarie fra le diverse società erano tutte riconducibili ad un’unica direzione strategica che trovava la sua ragione nella scelta del tipo di strumento che consentiva di monetizzare il credito sospetto senza alcun aggravio per la società venditrice e consistenti vantaggi, invece, per la società acquirente, con conseguente piena legittimità anche delle sanzioni irrogate sulla base del credito IVA che non era stato recuperato.

Presentò appello la Srl DAGAR con atto depositato in data 15.7.2015 lamentando: illegittimità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa del contribuente poichè il primo giudice aveva respinto la richiesta di rinvio della discussione all’udienza del 25.11.2014 per legittimo impedimento dell’unico difensore Avv. Loconte, ritenendo erroneamente che la ricorrente avesse due difensori; pregiudizialità e/o continenza giuridica, rispetto al presente giudizio, di quello già pendente davanti alla CTR (nel frattempo pendente in Cassazione) relativo alla impugnativa dell’accertamento IVA 2002 e di quello pendente davanti alla Corte di Cassazione relativo alla applicabilità del condono a tale annualità di imposta; omessa indicazione nell’accertamento del periodo di sospensione di 180 giorni prescritto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. b, secondo periodo; la ricorrente aveva dimostrato con le sue produzioni la esistenza delle operazioni sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo; assenza di motivazione dell’accertamento poichè non erano esplicitate le ragioni logico – giuridiche poste a base dello stesso e non era stato allegato nè riprodotto il pvc; violazione delle regole relative all’onere della prova poichè il primo giudice si era basato su circostanze non dimostrate; violazione del D.L 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis e del D.P.R. n. 633 del 972, art. 54; violazione del divieto di doppia imposizione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 67 poichè l’Ufficio aveva cercato di recuperare più volte lo stesso credito IVA nei confronti di più soggetti dello stesso gruppo societario; illegittima applicazione delle sanzioni per mancanza dell’elemento soggettivo, perchè la sanzione applicabile ratione temporis, per l’asserita compensazione di un credito IVA inesistente, era quella prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 per i ritardati o omessi versamenti diretti e non quella prevista dallo stesso D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4; violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, e non debenza dell’importo richiesto a titolo di aggio per illegittimità del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 29 e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 4250/15/2016 del 4.4.2016, depositata il 9.5.2016, ha accolto l’appello limitatamente alla rideterminazione delle sanzioni per effetto dello ius supervieneins costituito dal D.Lgs. n. 158 del 2015 operativo dal 1.1.2016 e dell’aggio in conseguenza della più favorevole misura di cui al D.Lgs. n. 159 del 2015, art. 9, mentre ha rigettato nel resto l’appello ed ha condannato la Srl DAGAR alle spese del giudizio.

La Commissione Tributaria Regionale ha escluso, in primo luogo, la sussistenza di un legittimo impedimento dell’Avv. Loconte a partecipare all’udienza di discussione, fissata per ore 9 del 25.11.2014, in conseguenza di una convocazione davanti al Senato per le ore 19 dello stesso giorno, essendo i due impegni del tutto compatibili a tante ore di distanza e comunque la nomina in sostituzione non implicava la revoca del precedente difensore. Ha escluso altresì la sussistenza della continenza o pregiudizialità con riguardo alle due cause relative alla DAGAR Srl per la annualità 2002, sia perchè non era applicabile l’art. 295 c.p.c. in presenza, in entrambi i casi, di due sentenze conformi di merito favorevoli all’Ufficio, sia perchè la creazione del credito fittizio nel 2002 da parte della DAGAR Srl era solo l’antecedente storico di una frode che si era sviluppata negli anni successivi, ma non una questione pregiudiziale e nel contempo il disconoscimento del condono, come ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011, non poteva estendersi ai crediti ma solo ai debiti. Ha quindi rilevato che:

– l’omessa indicazione del periodo di sospensione dell’esecuzione forzata ai sensi del D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. b, non inficiava la validità dell’accertamento;

– l’avviso di accertamento era compiutamente motivato sulla base dei processi verbali di constatazione già regolarmente notificati alla parte, in persona dell’amministratore che poi era il medesimo sia per la società venditrice (Dagar) che per le società acquirenti (FAR SUD ed IMI SUD) non essendo necessaria la loro allegazione o riproduzione e comunque l’accertamento spiegava dettagliatamente, con motivazione del tutto esaustiva sia in punto di fatto che di diritto, sulla base delle argomentazioni contenute nel processo verbale della Guardia di Finanza del 2008 e nel processo verbale della Agenzia delle Dogane del 2012, relativo all’anno di imposta 2007, come si fosse sviluppata la frode in danno dell’erario, attraverso operazioni apparentemente regolari, ma con la vera finalità di eludere il Fisco consentendo alle acquirenti FAR SUD ed IMI SUD, appartenenti allo stesso gruppo RAGOSTA, di avanzare richiesta di sgravio per la deducibilità dei costi dei beni fittiziamente acquistati;

– non vi era stata alcuna violazione del criterio del riparto dell’onere della prova e del divieto di doppia presunzione, alla stregua della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, poichè la Amministrazione Finanziaria aveva provato che la prestazione non era stata resa dal fatturante mentre la società contribuente non aveva fornito alcun elemento per contrastare le prove assunte e dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile ed, al contrario, era stata raggiunta la prova della inesistenza del credito IVA indicato dalla DAGAR per l’anno 2002 attraverso la dichiarazione resa dalla DAGAR in sede di condono tombale;

– non vi era sproporzione fra la pretesa fiscale nei confronti delle società ed i crediti che queste avrebbero vantato verso il Fisco, alla stregua di una consulenza di parte prodotta dalla società DAGAR, poichè la Amministrazione Finanziaria aveva correttamente ricondotto a tassazione sia le operazioni condotte dalle DAGAR che quelle condotte dalla FAR SUD e dalla IMI SUD, mentre la DAGAR non aveva provato la reale esistenza dei pretesi crediti, nè aveva spiegato come avesse iniziato ad operare solo nel 2005, senza dipendenti o con pochissimi dipendenti, con amministratore comune ed uguale compagine sociale delle altre società e quindi nell’ambito di un previo accordo tra le stesse volto ad un legittimo arricchimento ai danni del Fisco;

– le sanzioni erano legittime in quanto gli illeciti erano assistiti da dolo ed anzi da intenzionalità della condotta verso uno scopo illecito ed anche l’aggio era dovuto poichè la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 era stata già dichiarata inammissibile dalla Corte Cost., Ord. n. 147 del 2015.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la società DAGAR – nel frattempo sottoposta a sequestro preventivo da parte del GIP del Tribunale di Napoli, unitamente alle altre società del gruppo Ragosta -, in persona dell’amministratore giudiziario nominato dal GIP, con atto notificato in data 9.12.2016, affidato a sette motivi e successiva memoria.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate che ha altresì presentato ricorso incidentale contro l’annullamento parziale dell’accertamento in conseguenza della rideterminazione delle sanzioni e dell’aggio per effetto del più favorevole ius superveniens, rilevando che, pur essendo corretto il principio affermato dalla sentenza impugnata, in concreto il ricalcolo della sanzione eseguito in sede di liquidazione della sentenza aveva dimostrato che la sanzione restava la stessa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 24 Cost., poichè la sentenza di appello, di fronte al gravame dell’appellante che aveva dedotto la erroneità della motivazione del diniego di rinvio da parte del giudice di primo grado, con riguardo alla presenza di due difensori, aveva offerto una motivazione non in linea con il motivo di appello, incorrendo in una violazione della regola del contraddittorio, con conseguente nullità del procedimento e della sentenza impugnata considerato che la udienza pubblica si era svolta senza la presenza del difensore, benchè la produzione documentale avesse dimostrato che la nomina del nuovo difensore (Avv. Loconte) era avvenuta in sostituzione del precedente difensore (Avv. Leo) e fosse ovvio che la presentazione in Senato avrebbe richiesto un tempo di preparazione.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Il ricorrente non si è fatto carico della principale ragione giustificatrice della sentenza di appello su tale punto, in conformità con quella già utilizzata dal giudice di primo grado, e cioè quella della compatibilità in ordine temporale della partecipazione del difensore all’udienza con la comparizione al Senato, che era programmata ben dieci ore dopo, con un margine temporale largamente superiore a quello occorrente per raggiungere Roma da Napoli con qualsiasi mezzo, il che escludeva la legittimità del dedotto impedimento del difensore, che, ad avviso del ricorrente, avrebbe determinato la nullità della sentenza. E ciò rivela anche un profilo di inammissibilità del motivo poichè, ove la sentenza di merito sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, la omessa censura di una di tale ragioni rende inammissibile il motivo di ricorso per cassazione diretto a censurare solo una di esse, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione non oggetto di censura (v. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15350 del 21/06/2017 Rv. 644814 – 01).

1.4. In ogni caso è ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., allorchè non faccia riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà ora confermata dalla L. n. 247 del 2012, art. 9, comma 2, e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), si risolve nella prospettazione di un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, che non rileva ai fini del richiesto differimento (v. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10546 del 03/05/2018 Rv. 648768 – 01) e lo stesso principio è stato applicato anche con riguardo al processo tributario (v. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25783 del 15/10/2018 Rv. 650983 – 01), per cui si deve ritenere legittima la sentenza di primo grado pronunciata a seguito del legittimo diniego del provvedimento di rinvio. Ed in tale ambito anche il rilievo, da parte del ricorrente, della necessità di considerare che doveva prepararsi per la audizione della sera attiene a considerazioni di puro fatto che non possono essere dedotte in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole, in relazione all’ari. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., per avere il giudice di appello negato la sussistenza di un vincolo di pregiudizialità fra il presente giudizio e quelli promossi da parte della Dagar srl, pendenti in cassazione, relativi all’impugnazione dell’accertamento IVA per l’anno 2002 ed al diniego di condono tombale IVA per lo stesso anno, considerato anche che in altra causa la Corte di Cassazione, con la ordinanza n. 11441 del 2016, aveva respinto il regolamento improprio di competenza proposto dalla Agenzia delle Entrate contro la ordinanza della CTP di Napoli che aveva sospeso il giudizio promosso dalla DAGAR contro l’accertamento dell’IVA per il 2007 per pregiudizialità del giudizio pendente in appello relativamente alla impugnazione dell’IVA per l’anno 2002; e ciò valeva anche con riguardo alla controversia relativa al condono poichè l’attività accertatrice dell’Ufficio era preclusa anche quando il contribuente aveva chiuso a credito e, nel contempo, la “bocciatura comunitaria” delle sanatorie fiscali del 2002 con riguardo all’IVA non poteva riguardare i contribuenti che vi avevano già aderito.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Al di là della applicabilità o meno, in astratto, nel caso in esame, ratione temporis, della sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., la ricorrente non prende infatti in esame le ragioni per cui la CTR ha escluso, con ampia motivazione, la sussistenza, anche in concreto, dei presupposti della continenza o pregiudizialità con riguardo alle due cause relative alla DAGAR Srl per la annualità 2002, in quanto la creazione del credito fittizio del 2002 da parte della DAGAR Srl era solo l’antecedente storico di una frode che si era sviluppata negli anni successivi, ma non una questione pregiudiziale. Tale autonoma ragione giustificatrice, non censurata dalla ricorrente, rende irrilevante l’esame della applicabilità o meno dell’art. 295 c.p.c. poichè, pur ritenendolo applicabile, in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura per cui non sussisteva la causa di pregiudizialità.

2.3. La sussistenza della causa di pregiudizialità non può derivare, comunque, dalla ordinanza n. 11441 del 2016 di questa Corte, che ha deciso, respingendolo, sul ricorso della Agenzia delle Entrate per regolamento improprio di competenza contro la ordinanza della CTP che aveva sospeso per pregiudizialità il giudizio di impugnazione proposto dalla Dagar contro l’accertamento di maggiore IVA per l’anno 2007 con riferimento alla pendenza del giudizio relativo all’IVA per l’anno 2002, poichè si trattava di altro giudizio relativo ad una diversa materia del contendere.

2.4. Peraltro la richiesta di sospensione del presente giudizio è ormai superata poichè entrambe le controversie sono state decise da questa Code in senso sfavorevole alla contribuente con le sentenze n. 18816 del 2017, che, decidendo sulla impugnazione dell’accertamento a carico della Dagar per l’anno 2002, ha escluso la esistenza del diritto alla detrazione IVA per l’anno 2002 e n. 19834 del 2017, che, ritenuta la mancanza di soggettività tributaria in capo alla Dagar, ha escluso la validità della istanza di condono presentata dalla stessa società sempre per l’anno 2002.

3. Con il terzo e con il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, considerata la loro connessione, è stata denunciata, in entrambi i casi a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia e violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, con riguardo alla esposizione della ratio decisoria che aveva condotto i giudici a confermare la legittimità degli accertamenti e la concludenza delle prove offerte dalla Agenzia che non trovavano spiegazione nella sentenza impugnata.

3.1. I suddetti motivi sono inammissibili, sia perchè trascurano l’articolata motivazione resa sul punto dal giudice d’appello – non cogliendone, apparentemente, la portata complessiva – sia perchè, sotto la veste formale di una censura di omessa pronuncia (fra l’altro già prima facie completamente destituita di fondamento posto che il ricorso trascrive stralci della motivazione del tutto eloquenti in merito alle ragioni per cui è stato confermato da entrami i giudici di merito l’impianto probatorio offerto dagli accertamenti), contestano in realtà la valutazione dei fatti e del materiale probatorio da parte del giudice di secondo grado, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non può costituire uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio, essendo perciò inammissibile il ricorso che tenda a sollecitare una nuova valutazione di risultanze di fatto. La ricorrente si duole del fatto che l’onere della prova spettava all’Ufficio ma è appunto questo che è stato sostenuto dai giudici di appello i quali hanno poi autonomamente esaminato, a pagine 22 e 23 della sentenza, il materiale probatorio versato in atti dalla Agenzia delle Entrate (riportato nella prima parte della sentenza) per desumerne, con giudizio critico, che era stata raggiunta la piena prova (pag. 23 della sentenza), attraverso i plurimi, gravi e convergenti elementi anche già indicati nella sentenza di primo grado (alla quale la sentenza di appello, in quanto confermativa, si è correttamente richiamata) e riproposti nelle pagine precedenti della motivazione di appello, che le tre società aventi un unico amministratore, la medesima compagine sociale ed una unitaria direzione strategica, si erano accordate per utilizzare crediti inesistenti creati della Dagar (la quale, alla stregua delle verifiche fiscali eseguite e compendiate in pvc già notificati alla parte ed alla altre società del gruppo Ragosta, negli anni in contestazione era priva di qualsiasi struttura, di dipendenti, di fornitori e di rimanenze e non poteva perciò avere un volume di affari di 730.000.000 di Euro) e poi riversati sulle altre società dello stesso gruppo, ai fini di illecito arricchimento ai danni del fisco, posto che l’IVA non era mai stata versata. Inoltre la sentenza di appello ha altresì indicato i principi giuridici (del tutto corretti ed elaborati dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, ampiamente richiamata) di cui ha fatto applicazione in materia di operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti e di prova del dolo specifico in capo alle società coinvolte, che, fra l’altro, avevano la stessa compagine societario ed un amministratore comune.

4. il quinto motivo di ricorso deduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 sul divieto di doppia imposizione poichè, avendo la Dagar adempiuto ai propri doveri fiscali, la stessa imposta non poteva essere richiesta una seconda volta all’acquirente.

5.1. Anche tale motivo è infondato E’ infatti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio, applicato correttamente dalla sentenza impugnata, per cui l’avviso di accertamento per il recupero d’IVA non versata, emesso nei confronti di società che ha effettuato cessioni di beni, non può essere ritenuto illegittimo in quanto analoga azione è stata avviata nei confronti del cessionario, atteso che non sussiste, in tale ipotesi, alcuna violazione del divieto della cd. doppia imposizione, ravvisabile solo quando una medesima imposta gravi sullo stesso soggetto e non già invece quando l’ente impositore la richieda a persone diverse. In quest’ultimo caso, individuato il soggetto effettivamente debitore, l’estraneo maturerà il diritto a richiedere il rimborso di quanto eventualmente versato (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18917 del 24/09/2015 Rv. 636544 – 01). Ciò in quanto la doppia imposizione si verifica soltanto nell’ipotesi di due avvisi di accertamento che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto, non quando l’imposta venga chiesta in pagamento a fronte di due diversi titoli a due soggetti diversi (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27625 del 30/10/2018 Rv. 651079 – 01; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18917 del 24/09/2015 Rv. 636544 – 01).

4.2. Pare che il ricorso voglia adombrare che la Dagar avrebbe versato l’IVA, ma la sentenza impugnata dà atto, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, che si trattava di un credito fittizio per operazioni inesistenti a fronte del quale nessun versamento era mai avvenuto.

5. Con il sesto motivo la ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 5 e 13 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 per avere la sentenza impugnata ritenuto corretta la applicazione di una sanzione amministrativa sproporzionata in relazione alle molteplici operazioni poste in essere dalle società del gruppo, pur essendo nella specie applicabile la sanzione del 30% dell’importo indebitamente compensato, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 per i ritardati od omessi versamenti diretti e non invece quella ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, per illegittima utilizzazione del credito.

5.1. Il motivo è infondato poichè si è trattato nella specie di una indicazione in dichiarazione di una imposta inferiore a quella dovuta e cioè di una infedele dichiarazione, condotta prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 4, mentre l’art. 13 sanziona “Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorchè non effettuati e cioè il mancato versamento di imposte dichiarate”. Nella specie la sanzione applicata è stata quella prevista per la condotta contestata e ritenuta posta in essere dal contribuente, mentre il contribuente ipotizza nel ricorso che fosse stato contestato l’indebito utilizzo in compensazione di un credito IVA inesistente, che peraltro, come ha rilevato l’Ufficio nelle proprie controdeduzioni, costituiva l’oggetto di un diverso atto di recupero di credito di imposta per l’anno 2008, mentre l’anno in contestazione è il 2007.

6. Infine è infondato anche il settimo motivo di ricorso con cui viene dedotta, sempre con riguardo alle sanzioni, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 poichè la responsabilità dell’autore si deve fondare su una azione od omissione volontaria compiuta con dolo o negligenza, mentre nella specie la violazione era indipendente dalla volontà e dalla diligente condotta della ricorrente, la quale, sulla base di valide ragioni economiche ed imprenditoriali, aveva effettuato operazioni commerciali nel pieno rispetto delle previsioni legislative.

6.1. In disparte il rilievo che la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge mentre poi si duole, in concreto, di un vizio di motivazione, nessuno dei suddetti vizi è prospettabile, considerato che la sentenza impugnata ha ampiamente motivato sulla sussistenza del dolo intenzionale, per cui nulla doveva aggiungere sulla esistenza della colpa o sulla sussistenza di errori colpevoli, restando tale deduzione assorbita.

7. Il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate è invece inammissibile. Con esso non si deduce infatti alcun vizio dell’atto impugnato e non si formula neppure una richiesta di annullamento della statuizione della sentenza impugnata; al contrario si riconosce la correttezza della applicazione della ius superveniens, mentre la osservazione in merito al fatto che, in concreto, la determinazione della sanzione non sarebbe cambiata attiene alla fase della liquidazione delle disposizioni della sentenza senza incidere sulla necessità che ciò, anche per quanto attiene al conteggio dell’aggio, avvenga sulla base dello ius superveniens.

8. Le spese seguono la soccombenza della ricorrente principale, con la conseguente applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a carico della stessa, in ordine al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato. La Agenzia è esonerata dal pagamento del contributo in quanto amministrazione statale.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso principale e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 15.600,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito. Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e 1 quater.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale della Agenzia delle Entrate.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 dicembre 2019

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