Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31631 del 04/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 04/12/2019), n.31631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19997-2013 proposto da:

IMI SUD SRL, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA SS. APOSTOLI

66, presso lo studio dell’avvocato LOCONTE STEFANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 168/2013 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 02/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. CORRADINI GRAZIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con due separati ricorsi depositati in data 11.11.2009 la Srl IMI SUD, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. l.G., impugnò due avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) ai fini IRES, IRAP ed IVA, emessi dalla Direzione Regionale della Campania – Ufficio Grandi Contribuente a seguito di processo verbale di verifica redatto in data 15 dicembre 2008 a conclusione di una verifica contabile del Nucleo di Polizia tributaria di Napoli con cui erano stati disconosciuti, ai fini IVA, le detrazioni fiscali derivanti da fatture passive emesse dalla società Dagar Srl nei confronti della Srl Imi Sud ed, ai fini IRES, i correlativi costi, per l’importo imponibile di Euro 26.458.234,90 per l’anno 2005 e di Euro 82.431.240,23 per l’anno 2006, in quanto ritenuti riferibili ad operazioni soggettivamente inesistenti.

La ricorrente, con i due ricorsi, successivamente riuniti, dedusse: inesistenza degli atti impugnati per carenza di potere della Direzione Regionale delle Entrate ad emettere gli accertamenti in difetto dei presupposti che avrebbero legittimato l’esercizio del potere del controllo e per carenza di legittimazione del messo notificatore che era incardinato nella pianta organica dell’Agenzia delle Entrate di Nola; inesistenza della attività ispettiva ai sensi della L. n. 241 del 1990 per inesistenza giuridica del processo verbale di constatazione la cui notifica era avvenuta direttamente presso la residenza dell’amministratore della società con conseguente nullità della notificazione; difetto di motivazione degli avvisi di accertamento e violazione del diritto di difesa poichè erano motivati per relationem al processo verbale di constatazione che non era stato mai notificato alla parte e neppure allegato agli accertamenti.

L’Agenzia delle Entrate si costituì in giudizio con controdeduzioni depositate il 23.12.2009 con cui oppose, in particolare, che gli accertamenti erano stati notificati da un messo della Agenzia delle Entrate di Noia poichè ivi era la sede della società e che il pvc era stato precedentemente notificato al legale rappresentante della società, l.G., che aveva rifiutato di sottoscrivere e di ritirarlo, il che escludeva che dovesse essere allegato agli accertamenti, dovendo essere ritenuto notificato a mani proprie, tanto più che nessuna censura era contenuta negli atti introduttivi con riguardo ai recuperi posti in essere dalla Amministrazione Finanziaria che erano quindi definitivi e basati anche sugli atti penali che nel frattempo avevano determinato il rinvio a giudizio, da parte del GIP del tribunale di Noia, dei legali rappresentanti delle società MI SUD e DAGAR.

Successivamente, in data 12.4.2010, la ricorrente depositò nuova documentazione, fra cui copia della sentenza di primo grado n. 202/6/2009 che aveva accolto il ricorso contro l’accertamento emesso per l’anno 2003 sempre nei confronti della IMI SUD, e note illustrative della stessa tese a dimostrare la l’effettività delle operazioni commerciali disconosciute in sede di verifica, cui l’Ufficio replicò con memorie illustrative in data 9.6.2010 eccependo preliminarmente la inammissibilità di motivi nuovi per violazione del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24 e ribadendo le difese di merito; a sua volta la ricorrente depositò in data 11.6.2009 ulteriori memorie illustrative deducendo, fra l’altro, la esistenza di un vincolo di pregiudizialità ai sensi dell’art. 295 c.p.c., tra le controversie relative agli accertamenti nei confronti della Dagar Srl per le annualità di imposta 2002 e 2003 ed il presente giudizio.

Con sentenza n. 479/31/2010, emessa in data 22.6.2010 e depositata in data 16.7.2010, la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettò i ricorsi riuniti. Preliminarmente rigettò la istanza di sospensione del processo escludendo un rapporto di pregiudizialità con riguardo ai giudizi pendenti in relazione agli accertamenti emessi nei confronti della società DAGAR, perchè le censure presentate nel presente giudizio non riguardavano il merito degli accertamenti e l’oggetto della attività posta in essere dalla polizia tributaria, che erano quindi materie estranee al presente giudizio e comunque i motivi esposti dalla ricorrente non erano sufficienti a riconoscere la validità della richiesta. Nel merito rilevò che la Direzione Regionale delle Entrate era competente ad emettere gli accertamenti poichè rientravano nei suoi compiti; che la notifica degli accertamenti era valida in quanto eseguita dal competente messo notificatore della Agenzia delle Entrate di Nola; che il pvc esisteva ed era stato validamente notificato al legale rappresentante della società ricorrente che aveva rifiutato di sottoscriverlo e che l’obbligo di motivazione degli accertamenti era stato assolto mediante il rinvio ad altri atti conosciuti o conoscibili dalla contribuente.

Presentò appello la Srl IMI SUD lamentando: omessa pronuncia, da parte della sentenza di primo grado, sulla doglianza relativa alla motivazione per relationem e sul mancato deposito del verbale della Guardia di Finanza operato nei confronti della Srl Dagar, il cui contenuto non era conosciuto dalla ricorrente; non era sufficiente, ai fini della validità della motivazione dell’avviso di accertamento, la conoscibilità dell’atto menzionato per relationem, se non compiuto in presenza del destinatario o comunicato allo stesso nelle forme di legge, il che rendeva illegittimo l’accertamento che rinviava ad un atto non allegato o redatto a carico di un terzo e non conosciuto dal contribuente; l’Ufficio non aveva provato la inesistenza delle fatture poichè le contestazioni si basavano su presunzioni ed argomenti congetturali, mentre la ricorrente aveva provato, attraverso certificazioni degli organi di controllo e la documentazione prodotta, la validità delle operazioni di trasferimento; vizio di motivazione in ordine alla mancata valutazione del rapporto di pregiudizialità sussistente fra il presente giudizio e quelli promossi dalla società DAGAR, trovando gli accertamenti impugnati nel presente giudizio la loro genesi nel disconoscimento del credito IVA della Srl Dagar esposto nella dichiarazione presentata per l’anno 2002; vizio di motivazione per l’erronea valutazione in ordine alla validità della notifica degli accertamenti per carenza di potere del messo notificatore; vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della competenza del soggetto accertatore alla emissione degli accertamento per assoluta carenza di potere poichè le norme istitutive della competenza in questione avrebbero dovuto sostanziarsi in atti aventi forza di legge; vizio di motivazione in ordine alla inesistenza della attività ispettiva e violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 poichè la verifica fiscale doveva avvenire presso i locali destinati all’esercizio della attività; vizio di motivazione e violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, poichè le verifiche fiscali si erano protratte oltre il termine di 30 giorni.

Successivamente alla presentazione dell’appello, in data 6.12.2012, la ricorrente presentò una memoria difensiva ribadendo i motivi di appello e chiedendo inoltre la applicazione della nuova disciplina in tema di “costi da reato” introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, cui la Agenzia replicò in data 3 aprile 2013 rilevando, in particolare, quanto alla richiesta applicazione retroattiva della più favorevole disciplina dei “costi da reato”, che vi ostava il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 3, poichè tali costi erano definitivi non essendo stati contestati con il ricorso introduttivo.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 168/28/2013 del 15.4.2013, depositata il 2.5.2013 ha rigettato l’appello e compensato le spese del giudizio. Ha rilevato che il pvc era stato correttamente notificato al legale rappresentante della società, l.G., a norma degli art. 138 c.p.c., comma 2 e art. 145 c.p.c.; che gli accertamenti erano stati altrettanto correttamente disposti dall’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale delle Entrate all’uopo istituito e notificato tramite l’Ufficio periferico della Agenzia delle Entrate di Nola sulla base del verbale della Guardia di Finanza che era stato notificato al legale rappresentante della società, il quale aveva rifiutato di riceverlo, ma era consapevole del contenuto avendolo impugnato; gli accertamenti erano stati motivati per relationem, in ossequio alla giurisprudenza consolidata, mediante rinvio ad altri atti conosciuti e conoscibili dal contribuente ed in particolare al pvc già notificato al legale rappresentante della società.

Contro la sentenza di appello, notificata in data 28 maggio 2013, ha presentato ricorso per cassazione la società IMI SUD – nel frattempo sottoposta a sequestro preventivo da parte del GIP del Tribunale di Nola, unitamente alle altre società del gruppo Ragosta -, in persona dell’amministratore giudiziario nominato dal GIP, con,atto notificato in data 26 luglio 2013, affidato a nove motivi.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo n. 4 dell’atto di appello con cui era stato dedotto il vizio di carente motivazione della sentenza di primo grado con riguardo alla valutazione del rapporto di pregiudizialità del giudizio incardinato dalla società Dagar contro l’avviso di accertamento relativo all’anno 2002, pendente avanti alla Commissione Tributaria Regionale.

2. Con il secondo motivo si duole, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, di omessa pronuncia sul secondo motivo di appello con cui aveva lamentato la mancata valutazione dell’inadempimento dell’ordine probatorio ex ad. 2697 c.c. nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non avendo il primo giudice considerato che la prova della inesistenza delle operazioni gravava sull’Ufficio che aveva addotto la falsità delle fatture, prova che invece l’Ufficio non aveva fornito poichè non aveva nè allegato nè depositato successivamente il pvc emesso a carico della Dagar, utilizzato per la verifica fiscale, ed il provvedimento penale di rinvio a giudizio, mentre la ricorrente aveva provato che la Dagar era una società esistente ed altamente specializzata nell’approvvigionamento di prodotti siderurgici ed aveva altresì dedotto, con le memorie illustrative in sede di appello, la deducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti in virtù del mutato contesto normativo di riferimento derivante dalla introduzione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito dalla L. n. 44 del 26 aprile 2012.

3. Il terzo motivo deduce, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione ed errata applicazione dell’art. 295 c.p.c. poichè i giudici di appello avrebbero dovuto sospendere il presente giudizio in attesa della definizione del giudizio promosso dalla Dagar Srl contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti per l’anno 2002 (che pendeva davanti alla CTR in sede di appello contro la sentenza n. 408/01/2012 che aveva respinto il ricorso proposto dalla Dagar contro il detto avviso di accertamento) poichè le contestazioni mosse erano inscindibilmente fondate sulla inesistenza del credito IVA, indicato dalla Dagar nella dichiarazione per l’anno 2002, costituente il presupposto degli accertamenti successivi nei confronti della Dagar per il 2005 e 2006, non rilevando che i giudizi riguardassero soggetti diversi, dovendosi invece valutare se la sentenza definitiva, pronunciata nella causa pregiudicante farà stato, quando emessa, anche nel giudizio relativo al rapporto dipendente.

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 109, L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, e D.L. n. 16 del 2012, art. 8, per non avere il giudice di appello applicato d’ufficio la disposizione, avente efficacia retroattiva, intervenuta nelle more fra il deposito dell’atto di appello ed il deposito della sentenza di appello, che consentiva la deducibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti con l’unico limite delle rettifiche definitive.

5. Con il quinto ed il sesto motivo si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti con riguardo alle contestazioni della ricorrente sulla erronea valutazione della validità della notifica degli accertamenti “per l’asserita incontestata qualificazione dell’agente notificatore” e in riferimento alla sussistenza della competenza del soggetto accertatore, per assoluta carenza di potere trattandosi di motivazioni stereotipe che non rispondevano alla osservazioni poste in essere dal contribuente.

6. Con il settimo motivo lamenta, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti con riguardo alle contestazioni della ricorrente in merito alla inesistenza della attività ispettiva e del processo verbale di constatazione ed alla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.

7. L’ottavo motivo di ricorso deduce omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sull’ottavo motivo di appello con cui aveva dedotto che il giudice di primo grado non aveva dato risposta alla sua doglianza in merito alla circostanza che la verifica fiscale si era protratta per più di trenta giorni sia per la società Imi Sud che per Dragar, in violazione del Statuto dei diritti del contribuente, art. 12, comma 5.

8. Infine, con il nono motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. 22 luglio 2000 n. 212, art. 7, per avere il giudice di primo e secondo grado ritenuto corretta la motivazione degli accertamenti con riguardo al richiamo ad atti già conosciuti o conoscibili, benchè l’obbligo di allegazione degli atti richiamati in accertamento fosse ineludibile e non surrogabile dalla conoscibilità in astratto, e ciò con riguardo anche al pvc redatto nei confronti della Dagar Srl, onde tutelare la effettività della difesa.

9. Il primo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione.

9.1. Con essi in sostanza la ricorrente si duole, in entrambi i casi per error in procedendo di omessa pronuncia, della mancata risposta, da parte del giudice di appello, sul motivo n. 4 dell’atto di appello con cui era stata dedotta carente motivazione della sentenza di primo grado con riguardo alla valutazione del rapporto di pregiudizialità del giudizio incardinato dalla società Dagar contro l’avviso di accertamento relativo all’anno 2002, pendente avanti alla Commissione Tributaria Regionale a seguito di appello contro la sentenza n. 408/01/2012, la quale aveva respinto il ricorso proposto dalla Dagar contro il detto avviso di accertamento ed, in ogni caso, della violazione dell’art. 295 c.p.c., da parte del giudice di appello, il quale avrebbe dovuto sospendere il presente giudizio in attesa della definizione del giudizio promosso dalla Dagar Srl, poichè le contestazioni mosse erano inscindibilmente fondate sulla inesistenza del credito IVA, indicato dalla Dagar nella dichiarazione per l’anno 2002, costituente il presupposto degli accertamenti successivi nei confronti della Dagar per il 2005 e 2006, non rilevando che i giudizi riguardassero soggetti diversi.

9.2. La Agenzia delle Entrate ha opposto la inammissibilità dei motivi, ai sensi del D.Lgs. n. 54 del 1992, art. 24, poichè la questione di cui veniva dedotta la pregiudizialità ai fini della sospensione del processo non era stata dedotta con il ricorso introduttivo del giudizio bensì solo con memorie difensive in corso di causa, neppure notificate alla controparte, per cui non esisteva un obbligo di pronuncia da parte del giudice di appello su una questione tardivamente proposta e, come tale, esclusa dal thema decidendum e che comunque non sussiteva alcuna pregiudizialità fra le due cause poichè il preteso credito denegato alla Dagar non aveva alcuna influenza nel presente giudizio, considerato che la Dagar non aveva mai provato in alcun modo come e quando quel preteso credito si sarebbe formato nè tanto meno l’esistenza dello stesso.

9.3. In disparte tale rilievo, occorre osservare che, in tema di contenzioso tributario, secondo la disciplina vigente “ratione temporis”, anteriormente al 1″ gennaio 2016 ed alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 156 del 2015, la sospensione necessaria del processo civile di cui all’art. 295 c.p.c. non era applicabile allorchè la ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello potendo in tal caso trovare applicazione solo l’art. 337 c.p.c., comma 2, in forza del quale “Quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso, se tale sentenza è impugnata” (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17613 del 05/09/2016 Rv. 640959 – 01). Ma, anche al di là di tale ulteriore rilievo – che potrebbe apparire formalistico con riguardo alla norma erroneamente citata dalla ricorrente, considerato che l’indirizzo prevalente di questa Corte, anche prima del 1 gennaio 2016, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 156 del 2015, che ha introdotto la applicabilità nel processo tributario dell’art. 337 c.p.c., comma 2, era già nel senso della applicabilità della sospensione facoltativa del processo tributario ex art. 337 c.p.c., comma 2, pur non citato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, in presenza di una causa pregiudicante, ove una delle parti invochi l’autorità di una sentenza a sè favorevole, ma non ancora definitiva (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21505 del 19/09/2013, Rv. 628096 – 01; Sez. U, Sentenza n. 10027 del 19/06/2012, Rv. 623042 – 01), il che è stato poi confermato, dopo la modifica legislativa, ritenendosi di dovere applicare la pregressa disposizione del codice di rito in senso “costituzionalmente orientato” (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23480 del 06/10/2017 Rv. 646407 – 01) – è dirimente il rilievo che i giudici di merito non erano onerati dall’obbligo di esaminare la questione della sospensione facoltativa ex art. 337 c.p.c., comma 2, poichè, come ha rilevato la Agenzia delle Entrate, la questione dedotta come pregiudicante non rientrava fra quelle costituenti il thema decidendum, come peraltro chiaramente esposto dalla sentenza di primo grado (trascritta a pagina 7 del ricorso per cassazione), poichè con il ricorso introduttivo del giudizio non era stata in alcun modo posto la questione delle esclusione delle spese bensì erano stati proposti esclusivamente rilievi formali, cosicchè quella questione era estranea alla “regiudicanda”.

9.4. In ogni caso, ii fini della sospensione del processo, non è configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, seppur legate fra loro da pregiudizialità logica, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (v. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 20072 del 11/08/2017 Rv. 645343 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 12996 del 24/05/2018 Rv. 648748 – 01).

9.5. Ne consegue il rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso. 10. il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

10.1. La ricorrente si duole, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, di omessa pronuncia sul secondo motivo di appello con cui aveva lamentato la mancata valutazione dell’inadempimento dell’ordine probatorio ex art. 2697 c.c. nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non avendo il primo giudice considerato che la prova della inesistenza delle operazioni gravava sull’Ufficio che aveva addotto la falsità delle fatture. Non si fa però carico della motivazione relativa alla omessa pronuncia sul merito della questione, che, in proposito, aveva già dato il giudice di primo grado.

10.2. La sentenza di primo grado, così come integralmente trascritta a pagina 7 del ricorso per cassazione, aveva premesso che occorreva precisare il thema decidendum poichè “dall’esposizione dei motivi di impugnazione, riportati sopra, emerge chiaramente che le censure non impingono anche nel merito dei provvedimenti, nel senso che non contestano l’assunto dell’organo accertatore, che ritiene appurate le operazioni soggettivamente inesistenti in capo all’IM/ SUD, per cui l’oggetto della attività posta in essere dalla polizia giudiziaria, richiamata nella motivazione degli atti impugnati, è estraneo al tema dedotto in giudizio. Ciò ha ricevuto autorevole conferma da parte del Prof. F. all’udienza. Tanto precisato al fine di focalizzare rettamente la res iudicanda, onde evitare sconfinamenti …”.

10. 3. Orbene, di fronte a tale motivazione contenuta nella sentenza di primo grado, la contribuente aveva rilevato, con il secondo motivo di appello, che il giudice di primo grado avrebbe violato il disposto dell’art. 2697 c.c. relativo alla omessa prova, da parte dell’ente impositore, dei fatti costitutivi legittimanti la ripresa a tassazione, però non aveva preso in esame la ragione giustificatrice della decisione (e cioè la inammissibilità della doglianza perchè non proposta con il ricorso e quindi estranea al thema decidendum o al “perimetro della regiudicanda” per usare la espressione della sentenza di primo grado), il che determinava la inammissibilità del motivo di appello. Infatti, avendo la sentenza di primo grado fornita di una specifica motivazione sul punto, del tutto autosufficiente ed autonoma, l’appellante avrebbe dovuto impugnare quella specifica ragione giustificatrice, essendo altrimenti il motivo di appello non specifico e tale da non imporre una risposta da parte del giudice di appello, risposta che peraltro sostanzialmente vi è stata in quanto ha richiamato la sentenza di primo grado che ha pienamente condiviso e confermato.

10.4. Ciò posto, anche il ricorso per cassazione sul punto è inammissibile perchè la ricorrente riconosce di avere dedotto la questione con l’appello e non indica e non trascrive la parte del ricorso introduttivo che avrebbe dovuto contenerla (mentre a pagine 4 e 5 del ricorso per cassazione indica i motivi dell’iniziale impugnazione davanti alla CTP che non contengono alcuna doglianza relativa al recupero dei costi), il che determina la inammissibilità anche del motivo di ricorso per cassazione sulla base del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, per cui è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, poichè nel giudizio tributario opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicchè l’invalidità non può essere fatta valere con riguardo a situazioni definitive e non più contestabili (v., da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12313 del 18/05/2018 Rv. 648662 – 01).

11. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

11.1. Il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 109, della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, e del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, per non avere il giudice di appello applicato d’ufficio la disposizione. avente efficacia retroattiva, intervenuta nelle more fra il deposito dell’atto di appello ed il deposito della sentenza di appello, che consentiva la deducibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti con l’unico limite delle rettifiche definitive.

11.2. La Agenzia delle Entrate ha opposto che nella specie si verteva appunto in tale ultima situazione, poichè la questione di deducibilità dei costi non aveva costituito motivo di impugnazione con il ricorso iniziale ed era perciò divenuta incontestabile, non costituendo oggetto del thema decidendum, come già sostenuto con le difese in primo grado a seguito della memoria difensiva della ricorrente che aveva invocato la deducibilità dei costi nel corso del giudizio e con le controdeduzioni in grado di appello.

11.3 La argomentazione è corretta, considerato che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, per cui i motivi di invalidità non dedotti dal contribuente non possono essere rilevati di ufficio, nè possono essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità, ma neppure nel corso dei giudizi di merito, se non prospettati con il ricorso introduttivo. Il giudizio tributario è infatti caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità sostanziale e / o formale della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2,, sicchè in sede di gravame le parti non possono proporre nè nuovi motivi e neppure nuove eccezioni, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 (v., per tutte, Sez. 5, Sentenza n. 25756 del 05/12/2014 Rv. 634056 – 01). Ciò vale anche con riguardo alla rilevabilità dello “ius superveniens” ed alla sua applicabilità nei giudizi in corso, poichè tale applicabilità non opera indiscriminatamente, ma deve essere coordinata con i principi che regolano l’onere dell’impugnazione e le relative preclusioni, con la conseguenza che la loro operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazione alle questioni, su cui avrebbe dovuto incidere la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punti (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 6101 del 17/03/2014 Rv. 630449 – 01 e successive conformi).

11.4. Poichè, nella specie, non era stata contestata con il ricorso la indeducibilità dei costi, su cui su cui si era formata la preclusione derivante dai principi sopra indicati, ne discende che lo ius superveniens non può essere invocato nel giudizio di cassazione (e non poteva essere invocato neppure nel corso del giudizio di appello) essendo preluso l’esame della questione della deducibilità dei costi. D’altronde la ricorrente non si è fatta carico della questione della preclusione che pure la Agenzia ha prontamente dedotto sia nel giudizio di appello che nel presente giudizio.

12. Possono essere esaminati congiuntamente il quinto ed sesto motivo di ricorso per cassazione con cui la ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nella nuova formulazione derivante dal D.L. n. 13 del 2012, come convertito dalla L. n. 143 del 2012, con riferimento all’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti.

12.1. Essi sono entrambi inammissibili.

12.2. La ricorrente, dopo avere premesso che i vizi dedotti riguardano l’omesso esame di fatti decisivi che hanno costituito oggetto di discussione fra le parti, avendo quindi ben presente che deduce il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione del 2012, vigente, ratione temporis, nel caso in esame, sostiene poi che l’omesso esame, da parte del giudice di appello, riguarderebbe le contestazioni della ricorrente sulla erronea valutazione della validità della notifica degli accertamenti “per l’asserita incontestata qualificazione dell’agente notificatore” e la rilevata incompetenza del soggetto accertatore, per assoluta carenza di potere. E la risposta in proposito, da parte del giudice di appello, consisterebbe in motivazioni stereotipe che non rispondevano alla osservazioni poste in essere dal contribuente, specie con riguardo alla risposta alla censura relativa alla dedotta incompetenza della Direzione delle Entrate in relazione ai “Grandi contribuenti”, poichè la sentenza impugnata non avrebbe colto che essa si riferiva in realtà alla illegittimità del provvedimento del Direttore della Agenzia delle Entrate che aveva definito i criteri per la individuazione dei “Grandi contribuenti”.

12. 3. Con la pregressa precisazione le censure sono inammissibili, perchè s’infrangono contro il principio di diritto, applicabile ratione ternporis (all’impugnazione della sentenza, depositata il 2 maggio 2013, si applica il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014).

12. 4. Nel caso in esame, difatti, il giudice d’appello, richiamando altresì la sentenza di primo grado con la quale quella di appello, confermativa pienamente della prima, andava a saldarsi, ha congruamente motivato, rilevando che era stato utilizzato per la notifica il messo dell’Ufficio della Agenzia delle Entrate di Nola, perfettamente abilitato a tanto (v. trascrizione della sentenza di primo grado a pag. 7 del ricorso) e che gli avvisi di accertamento erano stati altrettanto correttamente emessi dalla Direzione Regionale delle Entrate poichè la ricorrente rientrava nella categoria dei “grandi contribuenti” e gli anni 2005 e 2006 erano compresi, ratione temporis, nella sfera di attività della DRE ed in particolare dell’Ufficio che era stato appositamente istituito proprio per le procedure accertative che si riferivano a tale categoria di contribuenti, per cui, in presenza di una motivazione presente e comprensibile, il motivo di ricorso si traduce nella denuncia d’insufficiente motivazione, inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

12.5. Sul punto questa Corte (Cass., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14477) ha ulteriormente precisato che la nuova previsione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. legittima solo la censura per l’omesso esame circa un “fatto” decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02) e si deve poi trattare proprio di “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (v., da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018 Rv. 650798 – 01), come nel caso in esame in cui viene dedotta la omessa valutazione non già di fatti naturalistici, bensì di deduzioni e di difese della ricorrente, il che costituisce un ulteriore profilo di inammissibilità.

12.6. In ogni caso le predette censure sarebbero altresì infondate. Quanto alla prima censura, infatti, a parte il rilievo che la ricorrente non ha mai spiegato sotto quale profilo il messo che aveva eseguito la notifica non sarebbe stato abilitato a farlo, anche se non fosse stata legittima la investitura del messo, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, si sarebbe in presenza di una nullità sanabile (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27375 del 18/11/2008 Rv. 605439 – 01: La notificazione di un atta tributario effettuato dal messo comunale, il cui provvedimento di nomina sia illegittimo, non è inesistente ma è affetta da nullità, sanabile non solo a seguito di costituzione in giudizio della parte, ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova dell’avvenuta comunicazione dell’atto notificato), analogamente ai casi di incompenza dell’ufficiale giudiziario ormai ritenuta una semplice irregolarità che non incide sull’idoneità della notificazione a rispondere alla propria funzione nell’ambito del processo (v. Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17533 del 04/07/2018 Rv. 649751 – 01), nella specie sanata poichè la ricorrente aveva tempestivamente impugnato gli accertamenti che le erano pervenuti. Quanto poi alla seconda censura è solo il caso di rilevare che il potere di investitura della DRE con riguardo ai cd. “grandi contribuenti” deriva direttamente dalla legge ed anche la individuazione di tale categoria di contribuenti si rinviene direttamente nella legge poichè il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 27, coordinato con la legge di conversione L. 28 gennaio 2009, n. 2, prevede al comma 13: “Ferme restando le previsioni di cui ai commi da 9 a 12, a decorrere dal 1 gennaio 2009, per i contribuenti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiore a cento milioni di Euro, le attribuzioni ed i poteri previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 60, art. 31 e ss., nonchè quelli previsti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 e ss., sono demandati alle strutture individuate con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 71 ” e, al comma 14, “le attività attribuite a tali strutture, fra cui quelle di “c) di controllo sostanziale con riferimento alla quale, alla data del 1 gennaio 2009, siano ancora in corso i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, ed e) di gestione del contenzioso relativo a tutti gli atti di competenza delle strutture stesse” ed infine, al comma 15: “L’Agenzia delle Entrate svolge i compiti previsti dal presente articolo e procede alla riorganizzazione ai sensi del comma 13 con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente”.

13. E’ inammissibile pure il settimo motivo con cui la ricorrente si duole, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti con riguardo alle contestazioni della ricorrente in merito alla pretesa inesistenza della attività ispettiva, del conseguente processo verbale di constatazione ed alla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52. Poichè la contribuente aveva dedotto con l’appello che l’accesso poteva avvenire solo nei locali della impresa e che senza accesso non poteva esservi una valida verifica fiscale, anche se l’Ufficio era già in possesso della documentazione fiscale oggetto di sequestro penale ed il cui utilizzo a fini fiscali era stato autorizzato dalla Autorità giudiziaria, ora, con il ricorso per cassazione, sostiene che a tali doglianze non aveva dato risposta il giudice di appello il quale si era limitato a sostenere che il pvc era stato notificato al legale rappresentante della società, il che comportava omesso esame delle difese sul punto della appellante (pag. 66 del ricorso per cassazione).

13.1. La Agenzia delle Entrate ha opposto che il motivo è inammissibile poichè la parte si era doluta di omessa o insufficiente motivazione alla stregua della formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. anteriore alla novella del 2012. La affermazione coglie nel segno alla stregua delle considerazioni già svolte con riguardo ai precedenti motivi di ricorso in riferimento alla necessità, nel vigore della attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che venga dedotto l’omesso esame di un fatto storico decisivo e non solo una deficienza di motivazione con riguardo ad argomenti giuridici sviluppati in sede di appello, come nel caso in esame, posto anche che la risposta da parte del giudice di appello è stata ben più pregnante di quella riportata dalla ricorrente nel ricorso per cassazione poichè la sentenza impugnata ha richiamato la motivazione della sentenza di primo grado con riguardo alla fase procedurale posta in essere per la emissione dell’accertamento, aggiungendo che “l’accertamento è poi da ritenersi regolarmente disposto e riferentesi al verbale della Guardia di Finanza, conosciuto dal legale rappresentante della società”; per cui ha risposto in merito alla esistenza e validità del verbale della Guardia di Finanza.

13.2. Esiste poi un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo poichè il rilievo non è stato dedotto con il ricorso introduttivo, nè la parte riporta o indica dove lo avrebbe dedotto in sede di ricorso introduttivo, come sarebbe stato doveroso ai fini della autosufficienza del motivo di ricorso, il che non onerava il giudice di appello di pronuncia su una questione non posta con il ricorso introduttivo e rende inammissibile in conseguente ricorso per cassazione. E’ peraltro singolare e non condivisibile la tesi del ricorso della inesistenza del pvc per inesistenza dell’accesso che sarebbe obbligatorio in caso di verifica, considerato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, invocato dalla ricorrente, prevede l’accesso come facoltà e non come obbligo (“Gli Uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso d’impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio d’attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonchè in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni”), ben potendo le verifiche essere eseguite anche d’ufficio e senza accesso presso la sede del contribuente, con i dati – sempre maggiori – di cui dispone l’Amministrazione Finanziaria, come nel caso in esame, in cui lo stesso ricorrente ha riconosciuto che i verificatori avevano già la disponibilità della documentazione sequestrata in sede penale (pag. 62 del ricorso).

13.3. L’ottavo motivo di ricorso, con cui si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia sul motivo di appello riguardante la omessa risposta, da parte del giudice di primo grado, sulla doglianza in merito alla circostanza che la verifica fiscale si era protratta per più di trenta giorni, in violazione dello Statuto dei diritti del contribuente, art. 12, comma 5, è ugualmente inammissibile.

13.4. Premesso che la ricorrente non ha mai neppure allegato di avere dedotto la doglianza con il ricorso introduttivo, nè tanto meno ha trascritto o indicato dove e quando avrebbe dedotto tale preteso motivo di nullità degli accertamenti, limitandosi a riportare di averlo dedotta con l’atto di appello, mentre la Agenzia delle Entrate ha rilevato che era stato proposto solo con le memorie aggiuntive dell’I 1 giugno 2009 alle quali aveva subito opposto la inammissibilità per tardività (pagg. 18 e 62 63 delle controdeduzioni), è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicchè l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, nè può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità, ma neppure nel corso dei giudizi di merito, se non prospettata con il ricorso introduttivo (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015 Rv. 637348 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 12313 del 18/05/2018 Rv. 648662 – 01).

13.5. In ogni caso, in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, nè l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 2055 del 27/01/2017 Rv. 64245901; Sez. 5, Sentenza n. 7584 del 15/04/2015 Rv. 635175 – 01); ed è stato la stessa ricorrente a riconoscere che la verifica non si era svolta nei locali dell’impresa (pag. 62 del ricorso) per cui la disposizione invocata non sarebbe neppure applicabile.

14. E’ infine inammissibile anche il nono motivo con cui la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. 22 luglio 2000 n. 212, art. 7, per avere il giudice di primo e secondo grado ritenuto corretta la motivazione degli accertamenti con riguardo al richiamo ad atti già conosciuti o conoscibili, benchè l’obbligo di allegazione degli atti richiamati in accertamento fosse ineludibile e non surrogabile dalla conoscibilità in astratto e ciò con riguardo anche al pvc redatto nei confronti della Srl Dagar.

14.1. Premesso che il rilievo relativo alla omessa allegazione agli accertamenti del separato verbale di verifica redatto nei confronti della Srl Dagar non ha costituito oggetto dell’iniziale motivo di ricorso (v. pagg. 5 e 6 del ricorso per cassazione, laddove la ricorrente trascrive in proposito le memorie illustrative dell’I 1 giugno 2011, nelle quali ha lamentato per la prima volta la mancata allegazione agli accertamenti del pvc redatto nei confronti della società terza), per cui sul punto il ricorso è inammissibile per quanto già esposto in relazione al precedente motivo, quanto alla mancata allegazione del pvc redatto nei confronti della Srl Imi Sud, i giudici di primo e di secondo grado hanno fatto corretta e concordante applicazione del principio di diritto conforme alla giurisprudenza di questa Corte per cui, in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima neppure per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v., per tutte, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017 Rv. 646303 -01 e precedenti e successive conformi); il che determina la inammissibilità anche a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

14.2. La ricorrente adombra che occorrerebbe la conoscenza effettiva del pvc, non surrogabile dalla conoscibilità in astratto, con riguardo a situazioni in cui il pvc non era stato notificato, il che non rileva nel caso in esame considerato che il pvc era stato notificato al legale rappresentante della società, anche se costui aveva rifiutato di sottoscrivere l’atto. Occorre aggiungere che la sentenza impugnata contiene sul punto una specifica ed autonoma ragione giustificatrice della correttezza della motivazione dell’accertamento con riguardo al rilievo che l’accertamento era “da ritenersi regolarmente disposto e riferentesi al verbale della guardia di finanza, conosciuto dal rappresentante legale della società”, il quale era “cosciente del contenuto, in quanto ha impugnato i detti atti, motivandone la richiesta dichiarazione di illegittimità, per il contenuto e le motivazioni, gli effetti” e di tale ragione autonoma la ricorrente non ha tenuto conto, il che determina un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo di ricorso. Infatti, ove la sentenza di merito sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rilievo di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione diretto a censurare solo una di esse rende irrilevante l’esame degli altri motivi, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (v., per tutte, Cass. Ordinanza n. 15350 del 21/06/2017 Rv. 644814 – 01).

15. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis e comma 1-quater, essendo stato il ricorso notificato il 26 luglio 2013.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 23.490,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito. Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis e comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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